Operetta intorno al galleggiare dei solidi

Treatise on floating bodies written in response to Galileo's on the same topic

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            <title>Giorgio Coresios' Operetta (1612): A Basic TEI Edition.</title>
            <author>Galileo’s Library Digitization Project</author>
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                <orgName>the TEI Archiving, Publishing, and Access Service (TAPAS)</orgName>
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               <title>Operetta intorno al galleggiare dei corpi solidi, ecc. Di Giorgio Coresio lettore di lingua greca nel famosissimo Studio di Pisa.</title>
               <author>Coresios, Giorgio</author>
               <pubPlace>Florence</pubPlace>
               <publisher>Sermartelli, Bartolomeo</publisher>
               <date>1612</date>
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            <p>This TEI edition is part of a project to create accurate, machine-readable versions of books known to have been in the library of Galileo Galilei (1563-1642).</p>
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         <samplingDecl>
            <p>This work was chosen to maintain a balance in the corpus of works by Galileo, his opponents, and authors not usually studied in the history of science.</p>
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         <editorialDecl>
            <correction>
               <p>Lists of errata have not been incorporated into the text. Typos have not been corrected.</p>
            </correction>
            <normalization>
               <p>The letters u and v, often interchangeable in early Italian books, are reproduced as found or as interpreted by the OCR algorithm. Punctuation has been maintained. The goal is an unedited late Renaissance text for study.</p>
            </normalization>
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               <p></p>
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               <p>Hyphenation has been maintained unless it pertains to a line break (see "segmentation").</p>
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               <p>Word breaks across lines have not been maintained. The word appears in the line in which the first letters were printed. Words broken across pages appear on the page on which the first letters appear. Catch words are not included.</p>
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 <docTitle>Operetta intorno al galleggiare dei corpi solidi. All'Illustrssimo, et Eccellentissimo Principe Il Signore Don Francesco Medici. Di Giorgio Coresio lettore di lingua greca nel famosissimo Studio di Pisa. In Firenze Appresso Bartolommeo Sermartelli, e fratelli. MDCXII. Con Licenza de' Superiori.</docTitle>
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  <date>1612</date>
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<pb n = "unnumbered i"/>
<lb/>OPERETTA 
<lb/>INTORNO 
<lb/>AL GALLEGGIARE 
<lb/>DE CORPI SOLIDI.
<lb/> ALL'ILLUSTRSSIMO, ET ECCELLENTISSIMO 
<lb/>PRINCIPE 
<lb/>IL SIGNORE DON FRANCESCO 
<lb/>MEDICI. 
<lb/>Di Giorgio Coresio Lettore di Lingua Greca 
<lb/>nel famosissimo Studio di Pisa. 
<lb/>IN FIRENZE 
<lb/>Appresso Bartolommeo Sermartelli, e fratelli. MDCXII. 
<lb/>Con Licenza de' Superiori. 
<pb n = "unnumbered ii"/>
<lb/>ALL'ILLVSTRISSIMO 
<lb/>ET ECCELLENTISSIMO 
<lb/>SIGNORЕ 
<lb/>PADRON MIO COLENDISSIMO, 
<lb/>IL SIGNOR PRINCIPE 
<lb/>DON FRANCESCO MEDICI 
<lb/>IL desderio, che ho sempre
<lb/>havuto di corrispondere con 
<lb/>qualche virtuoso effetto all' 
<lb/>obbligatigissima mia servitù
<lb/>verso il Sereniss. Gran 
<lb/>Duca suo frattelo mio Signor
<lb/>m’indusse a formare come ho fatto il presente
<lb/>Discorso intorno al galleggiare de solidi secondo 
<lb/>l'opinione d' Aristotile, per l'occasione che 
<lb/>già diedero di ciò le superbe Machine fatte nelle 
<lb/>Reali Nozze dell' A. S. e la continuata favoritissima
<lb/>sua protezzione verso di me, dedicandolo 
<lb/>a V.E. pubblicarlo, cioè porgero al Mondo, 
<pb n = "unnumbered iii"/>
<lb/>la fatica mia stabilita, &amp; illustrata con 
<lb/>l'autorità, e splendore di Lei, la quale con ogni 
<lb/>riverenza supplico ad accettarlo, e per fare 
<lb/>questo nvovo honore, che è grandissimo all'ossequentissima
<lb/>devozione, e servitù, che le tengo, 
<lb/>è si per accrescere l'ardire a quelli, che la riveriscono
<lb/>di spendere allegramente il tempo a benifizio
<lb/>universale, con lodevoli fatiche, e riverente
<lb/>all'E.V. Le prego ogni contento da chi 
<lb/>può dar ogni bene. Di Firenze il dì 10. di Settembre
<lb/>1612. 
<lb/>Di V. Eccell. 
<lb/>Servitore devotissimo, e humilissimo 
<lb/>Giorgio Coresio 
<pb n = "1"/>
<lb/>DICHIARAZIONE 
<lb/>DELL'OPINIONE 
<lb/>D'ARISTOTILE 
<lb/>Intorno al galleggiare della Figura 
<lb/>DI GIORGIO CORESI NOBILE GRECO 
<lb/>Lettore della Lingua Greca nello Studio 
<lb/>di Pisa. 
<lb/>Contro l'opposizione del Signor Galileo 
<lb/>Galilei.
<lb/>SE GLI Huomini si quietassero ugualmente 
<lb/>nella cognizione del vero, Illustrissimo &amp; Eccellentissimo
<lb/>Principe, e non fossero più tosto
<lb/>dalla celeste providenza partiti i petti, e 
<lb/>gl’ingegni di molto isuariamento: starebbono, 
<lb/>senza dubbio oltr’à tutti gl’altri, i letterati
<lb/>in continua concordia tra di loro; e si goderebbono tranquillamente
<lb/>il proprio ozio. Ma poi che questo non è concesso;
<lb/>ma addiuiene, che ciascuno si muova à diversi fini, e ’ntendimenti;
<lb/>e operi, secondo il numero delle forme dell’animo, 
<lb/>che non e minor di quelle de' corpi; quindi è, che nascono
<lb/>in altrui l’opinioni diverse: e da queste le discordie il più 
<lb/>delle volte, non meno tra gli huomini volgari delle cose loro, 
<lb/>che delle scienze tra’ letterati. le quali; come l’altre cose caduche;
<lb/>secondo gli autori, e le qualità loro; camminano à diversi
<lb/>fini di bene, e di male. Non altrimenti che, ne’reggimenti
<lb/>le discordie civili, che mutano le forme primiere: perche
<lb/>altre portano alla dirittura delle Leggi loro peggioramento.
<lb/>&amp; altre miglioramento. Ma se vorremo considerare quali
<lb/>di queste apportino più spesso alcun bene a' mortali; non si 
<lb/>dubita, che più spesso d'ogn'altra, il fanno quelle delli scienziati.
<pb n="2"/>
<lb/>Conciosiacosa che la loro contenzione illustri sempre 
<lb/>via maggiormente la verità delle cose, e la maestà sereni della 
<lb/>sapienza humana. Per lo che sono coloro grandemente 
<lb/>da commendare, che per acutezza d'intelletto porgono a' dotti 
<lb/>occasioni di contemplazioni nuove, e maravigliose, così 
<lb/>risuegliando gl'intelletti altrui, troppo per aventura addormentati 
<lb/>nell'ozio; ovvero generando nvovi parti al Mondo. 
<lb/>Il mouversi adunque qualche volta alcuna discordia tra' letterati, 
<lb/>sarà cosa utile, bella, e gioconda, e degna altresì d’un' 
<lb/>amator di virtù, e conveniente alla difensione, che si dee prendere 
<lb/>degli huomini grandi, e delle dottrine di quegli, in cui 
<lb/>altri ha smarrito il fior degl’anni suoi. La onde essendo uscito 
<lb/>fuori il discorso del Signor Galilei, e considerate in quello 
<lb/>cose degne di impugnazione, ho giudicato grazioso, e forse 
<lb/>utile à gl'amici miei, e secondo l’opera, e’l tempo, cosa degna 
<lb/>di qualche stima; imprendere in brevi divisamenti ad impugnare 
<lb/>con le seguenti mie ragioni, alcune sue proposizioni. 
<lb/>Affin chè, da questo, in vn certo modo sprovveduto, e contenzioso 
<lb/>accidente, si produca qualche effetto conveniente alla Filofosia: 
<lb/>che dourà forse essere, il nascimento di molte considerazioni 
<lb/>intorno alla ’nvestigazion del vero. Avvegna chè: come 
<lb/>dice quel savio Greco, la dubitazione sia madre della ’nvenzione. 
<lb/>E potrà in alcun modo avvenir questo à noi proporzionatamente 
<lb/>alle proposizioni, che pigliamo ad oppugnare.
<lb/>contro le quali volgo queste presenti mie ragioni: come 
<lb/>amico della verità, che supera ogn'altra cosa in nobiltà.
<lb/>per lo cui abbellimento si ha voletieri à combattere, e soffrite 
<lb/>ogni molestia, e fatica; perchè, se per la sanità del corpo
<lb/>si sottopogniamo à cose travagliose, dobbiamo questo molto 
<lb/>più fare per essa sanità, e forma dell'anima, che è secondo Aristotile 
<lb/>come una tavola rasa. L’obbligo adunque di difender 
<lb/>questa, e non altra cosa, mi ha mosso à formare queste ragioni 
<lb/>contr’al discorso del Galilei. E stimando che egli l'habbia
<lb/>mandato in luce, per risuegliare più tosto gli animi de' letterati, 
<lb/>che per altra sua opinione. Ma perche da' fondamenti, 
<lb/>come dice Demostene, si conosce ogn’ azione; terminando 
<lb/>hora mai il Proemio, che dee essere, come pur vuole Platone, 
<lb/>breve verso gli amici; sarà bene, ch’io mi rivolga à por 
<lb/>quelli, che sono necessari à quest'operetta delle nostre ragioni: 
<lb/>e lasceremo il giudicare di essi (perciocche gli amici propri
<pb n = "3"/>
<lb/>difficilmente lascian mutare sentenza altrui) à gl'huomini 
<lb/>d'alto, e incorrotto intelletto e discendendomene già già all'opera, 
<lb/>porrò imprima in essa i fondamenti universali, e poi i 
<lb/>particolari, adattando partitamente alle proposizioni del 
<lb/>Galilei quelle risposte, che faranno convenienti alla qualità 
<lb/>delle nostre ragioni.
<lb/>DISCORSO PRIMO.
<lb/>Che’l ghiaccio sia acqua per se condensata.
<lb/>LE parole adunque; onde il Galilei prende la mossa alle 
<lb/>sue proposizioni; diano cominciamento à questo primo 
<lb/>nostro discorso. le quali sono. che trovandosi in una conversazione 
<lb/>di letterati; fù detto che'l condensare era proprietà 
<lb/>del freddo. e glie ne fù addotto l'esempio del ghiaccio. a’ quali 
<lb/>disse. credere più tosto il ghiaccio essere acqua rarefatta, 
<lb/>che condensata, perche la condensazione partorisce diminuzione 
<lb/>di mole, &amp; augumento di gravità. e la rarefazione fa 
<lb/>maggior leggerezza, &amp; augumento di mole; e l'acqua nel 
<lb/>ghiacciarsi cresce di mole, e'l ghiaccio esser più leggieri delľ
<lb/>acqua, standovi à galla. Intorno alle quali parole sono da 
<lb/>considerare tre cose, che'l Galilei contr'à quei letterati, ó negava 
<lb/>il ghiaccio esser condensato; negando essere proprietà 
<lb/>del freddo, il condensare, ò vero non negava questa proposizione 
<lb/>in universale, ma in particolare sì. Cioè, che’l freddo 
<lb/>non condensava il ghiaccio, come l'altre cose. ó vero, egli intendeva, 
<lb/>il ghiaccio non essere rarefatto propriamente, ma 
<lb/>accidentalmente. E cominciando dal primo modo della distinzione, 
<lb/>sarò breve, sì perche la cosa è assai ben manifesta 
<lb/>sì perche queste materie sono diffusamente trattate da altri. 
<lb/>Ma non per tanto tralascierò le descrizioni d'Aristotile 
<lb/>del caldo, e del freddo, nel secondo libro della generazione, 
<lb/>e corruzione. ove dice. il caldo è quello che congiugne le cose 
<lb/>del medesimo genere. ò vero quello, che disgiugne le cose 
<lb/>del diverso. e'l freddo è quello, che congiugne tanto le cose 
<lb/>del medesimo genere, quanto quelle del diverso. ma è da notare 
<lb/>intorno à tale descrizioni. che se bene la cera, con la pece, 
<lb/>e li medicamenti, e altre simiglianti cose, tra loro diverse 
<lb/>si congiungono insieme dal caldo; basti che egli fa ancora
<pb n="4"/>
<lb/>questo, secondo gl'Interpreti d'Aristotile, per ragion di qualche 
<lb/>simiglianza. E'l medesimo ristrigne ancora qualche volta 
<lb/>per accidente discacciando le cose humide, come, per accidente, 
<lb/>e non propriamente nel fango avviene, cioè non per 
<lb/>la virtù dell’operazione; ma per la disposizione della materia, 
<lb/>che havendo poca humidità, e quella cacciata dal Sole, 
<lb/>viene à condensarsi. E venendo alla descrizione del freddo, 
<lb/>egli (quantunque propriamente congiunga le cose, tanto del 
<lb/>medesimo genere, quanto quelle del diverso) nientedimeno 
<lb/>disgiugne ancora per accidente scacciando le cose sottili. 
<lb/>Come si vede nello ’nverno, che mediante il costregnimento 
<lb/>del gran freddo, vengono premute le lagrime da gl'occhi. dileguandosi 
<lb/>nel medesimo modo per lo agghiacciamento le 
<lb/>parti sottili dall’acqua. Ma torniamo alle descrizioni d’Aristotile, 
<lb/>che non è da dubitare s’elle sian vere; perche elevandosi 
<lb/>dalla terra, e dall’acqua riscaldati da' raggi del Sole 
<lb/>operanti la rarefazione; due aliti esalazione, e vapore; le parti 
<lb/>della terra per cotali ragioni, divengono rade, e si convertono 
<lb/>in esalazioni fumose. Il vapore per lo contrario, levato in alto, 
<lb/>e congelato dal freddo, e per la gelazione condensato, 
<lb/>si fa pioggia, o rugiada, o brina, o grandine, o neve; e
<lb/>simigliantemente dal caldo s'allargano i pori ne’ corpi degli 
<lb/>animali, e li medesimi dal freddo per contrario si ristringono; 
<lb/>e queste, con altre simili cose, sono manifeste al senso; como 
<lb/>anche è manifesto la cera liquefatta, rappigliandosi dal freddo, 
<lb/>unire mescolatamente insieme sassetti, e altre simili materie, 
<lb/>le quali sono poi dal caldo disunite; e questo è si chiaro, 
<lb/>che se alcuno lo volesse negare, negherebbe, oltr’alla ragione, 
<lb/>ancora il senso; principalmente considerando, che le 
<lb/>nature, le quali hanno queste operazioni, sono tali; cioè che'l 
<lb/>fuoco, e l'aria sono rari, e perciò rarefanno, e l’acqua, e la 
<lb/>terra sono densi, e perciò condensano e ciascuno di questi da 
<lb/>solamente quello, che ha, e non mai quello, che non ha.
<lb/>Onde Simplicio nel comento 70. del terzo del Cielo dicea, 
<lb/>questo proposito eccellentemente in questa guisa. E simigliantemente, 
<lb/>e li Pittagotici ricorrendo alle figure piane, e stimando 
<lb/>le figure, e le grandezze essere le cause del caldo, e del freddo. 
<lb/>Impercioche quelle, che sono disunitive, e divisive ritenevano 
<lb/>senso di caldo: e quelle che univano, e condensavano
<lb/>ritenevano quello del freddo. E percioche ogni cosa secondo
<pb n="5"/>
<lb/>la sostanza vien di poi fatta quanta. Ma la figura eziandio 
<lb/>che ella sia qualità, nientedimeno è presa del genere della 
<lb/>quantità; per lo che ciascheduno de' corpi è un quanto figurato. 
<lb/>E nel medesimo luogo soggiugne. E questa instanza 
<lb/>sciogliendo Proclo dice, bene al producente il freddo essere 
<lb/>stata assegnata conveniente figura, e bisognare insieme ridurre 
<lb/>a memoria del caldo; in che modo non dicevano la Piramide 
<lb/>essere il caldo; ma la virtù incisiva per quella acutezza, 
<lb/>che è secondo gli angoli, e per quella sottigliezza, che è secondo 
<lb/>i lati. Che adunque il freddo, ne esso sia il primo, si come, 
<lb/>ne il caldo; ma la virtù di alcuna figura, e che, come questa è 
<lb/>divisiva, così quella è unitiva per iscacciamento; e che, come 
<lb/>questa secondo l’acutezza degli angoli, e la sottigliezza de' lati, 
<lb/>così per lo contrario quella, per l’ottusità degl’angoli, e 
<lb/>grossezza de' lati opera. La contraria virtù adunque questa 
<lb/>a quella non essendo contrarie le figure, ma le virtù, che sono 
<lb/>nelle figure. E’nferisce la ragione non figura; ma virtù 
<lb/>contraria. Qualunque per tanto hanno angoli ottusi, e lati 
<lb/>grossi, queste hanno virtù contrarie alla Piramide, e sono unitive 
<lb/>de' corpi. Ma tali Elementi de’ tre corpi, per lo che tutte 
<lb/>le cose unitive sono costrignenti per iscacciamento; E solo 
<lb/>il fuoco, come detto habbiamo, è disunitivo. Ne più oltre 
<lb/>del primo modo della distinzione. E venendo al secondo; se 
<lb/>l'Autore concede, che’l freddo condensi; ma non il ghiaccio. 
<lb/>Sarà una maraviglia; che condensando egli tutte l’altre cose, 
<lb/>rarefaccia solamente l’Acqua. E massimamente perche essendo 
<lb/>l’operazione d’esso una in numero; come potrebbe mai 
<lb/>fare cose contrarie, in un medesimo tempo. Ma che 'l ghiaccio 
<lb/>sia acqua condensata, e non rarefatta dimostrisi con queste 
<lb/>ragioni. 
<lb/>Il ghiaccio si fa lo ’nverno, quando il freddo costrigne tutte 
<lb/>le cose. costrignerà adunque altresi lo ghiaccio: perche essendo 
<lb/>il freddo una causa, non può produr due effetti, e contrari 
<lb/>in un medesimo tempo. Il ghiaccio, se fosse acqua rarefatta, 
<lb/>non costrignerebbe insieme cose diverse: perche le 
<lb/>cose quanto più son rarefatte, tanto meno ritengono. 
<lb/>Le cose più sensibili al tatto, &amp; più vifbili sono più dense, 
<lb/>il ghiaccio è più sensibile al tatto, &amp; più visibile, che l’acqua. 
<lb/>adunque il ghiaccio è più denso d’essa. 
<lb/>Le cose, quanto son più dense, tanto più difficilmente si tagliano.
<pb n="6"/>
<lb/>il ghiaccio più difficilmente si taglia, che l’acqua. adunque 
<lb/>è piu denso di essa. e tagliansi più difficilmente le cose 
<lb/>più dense: per l’union maggiore delle parti; quando però 
<lb/>non fossero secche: come il ferro, per la cui durezza, il piombo, 
<lb/>ben che sia di lui più denso, nulladimeno più facilmete si 
<lb/>taglia. ma parliamo delle cose del medesimo genere. E cosi 
<lb/>sarà vero, che mai le cose diventando più rare siano più forti, 
<lb/>perche vengono a disunirsi, e la disunione partorisce la debolezza. 
<lb/>Quello, che si rarefà, e s’assottiglia dal caldo. innanzi è costretto 
<lb/>dal freddo, questo avviene nel ghiaccio. adunque non 
<lb/>è raro, ma denso. Il ghiaccio, se non fosse fatto per congelazione, 
<lb/>nessuna ragion ci havrebbe, per la quale non essendo 
<lb/>dell’acqua più freddo, e' si facesse in ogni modo sentir più 
<lb/>gelato; come e’ fà. Se questa non fosse la densità, la quale, 
<lb/>per haver maggior quantità di parti, opera più; In quanto 
<lb/>nella maggior quantità, e maggior virtù. Come si vede, che 
<lb/>il caldo abbrucia più nel ferro infocato, che nella fiamma. 
<lb/>E per la medesima ragione il ghiaccio è ancora secco, e si ditermina 
<lb/>da' termini propri dileguandosi per lo costrignimento, 
<lb/>e gran frigidità, contraria all'humido, le parti humidi in 
<lb/>esso; percioche, si come l'humidità non può stare col gran 
<lb/>caldo; com’è quel del fuoco. Così non può stare con l'estremo 
<lb/>freddo. 
<lb/>Se'l ghiaccio non si facesse, per costrignimento, qual sarebbe 
<lb/>la ragione; per la quale, l’acque delle nevi, e de' ghiacci 
<lb/>fossero mal sane? Se nel costrignimento, come dice Hippocrate, 
<lb/>e Aristotile, non unissero le parti più sottili, e rimanessero 
<lb/>le terree; e da questo nasce, che nel disgelarsi il ghiaccio, 
<lb/>o la neve, l'acqua non ritorna mai in quella medesima 
<lb/>quantità, che era innanzi alla congelazione. 
<lb/>Il ghiaccio, se fosse più raro dell'acqua, si dissiperebbe più 
<lb/>facilmente di essa; ma veggiamo il contrario: che resiste più: 
<lb/>adunque è più denso di essa, e più resiste. Come degli Elementi; 
<lb/>l'acqua, e la terra resistono più, che'l fuoco, e l'aria, come 
<lb/>che questi habbino maggiore operazione. 
<lb/>E finalmente se'i ghiaccio non fosse cosa costretta, e condensata, 
<lb/>non havrebbe, ne da' Greci, ne da’ Latini, ne da altri, 
<lb/>conseguito nome di tal concetto. i quali essendo nel corso di 
<lb/>tanti secoli stati tanti, e di sì gran valore nelle scienze; non farebbe 
<pb n="7"/>
<lb/>mai stato possibile, che tutti si fossero ingannati. perche; 
<lb/>lasciando altri argomenti, che si potrebbono fare; seguiam 
<lb/>il proverbio, che dice. lascia anche qual cosa a’ Medi.
<lb/>Se poi il Galilei intende, il ghiaccio essere acqua rarefatta
<lb/>per accidente: come diremo poi. è errore il contradire in 
<lb/>quella maniera, che fa: perche non si niega mai la proposizione 
<lb/>necessaria per accidente alcuno. Se egli però non volesse
<lb/>ancora negare che Pietro fosse sustanza: perche come Padre, 
<lb/>o Filosofo, fosse accidente. Percioche, si come questo non si 
<lb/>dee fare: così ancora non si può negare che 'l ghiaccio, non sia 
<lb/>condensato, se bene per accidente è rarefatto. 
<lb/>Ma è da distinguere la rarità: secondo le diverse cause: delle 
<lb/>quali una è secondo la sottigliezza delle parti, di cui Giovanni 
<lb/>Grammatico nel secondo della generazione parlò così. 
<lb/>L'Aria diciamo rara, e l’acqua densa: non perche le parti 
<lb/>dell'aria siano distanti tra di loro, e habbino interposti vacui: 
<lb/>perche veramente niente è di vacuo nell'aria; ne altro corpo è 
<lb/>interposto tra le sue parti. Ma perche l’aria ha fustanza sottile, 
<lb/>e l’acqua grossa. E pare, che questa densità proceda dalla 
<lb/>sustanza del freddo, e la rarità del caldo. L’altra rarità è 
<lb/>la quale non consiste nella sottigliezza della sustanza; ma nella 
<lb/>distanza delle parti tra di loro; come nella spugna. E questa
<lb/>rarità è quella, che si fa nel ghiaccio, poi che non tutte le 
<lb/>parti dell’acqua sono atte à congelarsi, ma quelle, che hanno, 
<lb/>qualche siccità per tenere più di terra, che le fa anche più grosse, 
<lb/>e però le parti più sottili, come inette sono cacciate, e per 
<lb/>supplire al vacuo, parte si costringono le grosse, e parte vi resta 
<lb/>l'Aria, che l’agghiaccia.
<lb/>DISCORSO SECONDO
<lb/>Nel quale si pruova, che Aristotile senza ragione è biasimato 
<lb/>dall’Autore intorno a' Princìpi del discendere 
<lb/>il solido.
<lb/>ORa; poi che l'Autore dice, che Aristotile non conobbe
<lb/>che’l più grave discendesse più giù; Cioè, che le parti terree 
<lb/>non cercassero d'andare al lvogo loro; Cosa veramente che
<pb n = "8"/>
<lb/>non solo da Aristotile, ma ne da niun altro, quantunque rozzo, 
<lb/>è stata mai ignorata; toccherò per necessità alcuni luoghi 
<lb/>del medesimo Aristotile, da' quali si cava la vera specolazione 
<lb/>di questi principi. E perche il discendere, come il salire son
<lb/>moti secondo l’Ove. considereremo intorno a ciò alcune cose 
<lb/>per conoscere quello, che fa di bisogno in questo proposito. 
<lb/>Dico per tanto, che nel moto locale degli Elementi si 
<lb/>hanno da considerare cinque cose. Il movente principio del 
<lb/>moto; il mosso; il luiogo; la causa finale; e’l tempo. Quanto
<lb/>al principio o ver causa, si distingue in due modi, nell’essenziale, 
<lb/>&amp; accidentale. E dall'essenziale, che produce il moto, cominciando; 
<lb/>Intorno ad essa considereremo cinque opinioni, 
<lb/>differenti l'una dall’altra. poi che.
<lb/>Empedocle hebbe opinione, che'l Cielo fosse principio 
<lb/>scacciando col svo rapidissimo moto gli Elementi. 
<lb/>Che fu in questa guisa rifiutata da Aristotile. Se'l Cielo 
<lb/>scacciasse gli Elementi, i moti loro sarebbono violentati. 
<lb/>Oltracciò l’Aria non si muoverebbe in giù, ma sarebbe scacciata 
<lb/>dal Cielo. Altri dicono, che non havendo il Cielo altro 
<lb/>moto, che quel della luce, non può muover gli Elementi. 
<lb/>A questo aggiungo, che l'agente sarebbe molto lontano dal 
<lb/>mosso. Ma s'Empedocle non havesse detto altro, che quello, 
<lb/>cioè, che’l Cielo fosse principio, senza quell'altre parole, che 
<lb/>scaccia gli Elementi; non direbbe forse una novella. Considerando 
<lb/>io, che Aristotile nel terzo delle Meteore ci insegna, 
<lb/>che le qualità degli Elementi procedono dal Cielo. anzi, come 
<lb/>saviamente dice Ermino, il Mondo inferiore al superiore 
<lb/>viene ad essere, come materia all’operante. E però i Filofosi 
<lb/>dissero; che, tutte le cose del Mondo sottano si governano 
<lb/>dal sovrano costituite da esso per azione, ovver privazione.
<lb/>E la seconda opinione fu di quegli, che pensavano che’l luogo 
<lb/>fosse principio; perche il desiderio d’esso muove gli Elementi 
<lb/>ad acquietarsi, e riposarsi in lui. Ma egli non è veramente 
<lb/>causa, ma è più tosto causa di quiete, che di moto. E' adunque 
<lb/>causa finale, e non efficiente. per lo che Alessandro, e Simplicio 
<lb/>dividono il moto dell'Elemento in due modi, nel proprio, 
<lb/>in quello, cioè, che riceve dal generante per acquistare 
<lb/>il suo luogo, e nell’accidentale: quando uscitone cerca di riacquistarlo. 
<lb/>la onde è manifesto, che’l luogo è causa finale, e 
<pb n="9"/>
<lb/>non agente. Habbiamo fino a quì veduto il mosso, e'l luogo. 
<lb/>lasciata al presente la causa finale, di cui parleremo poi. 
<lb/>La terza opinione fu di quelli, che tennero principio il generante; 
<lb/>poi che, chi da la forma, da ancora le cose, che la seguono. 
<lb/>Ma questi parlano delle parti degli Elementi, che sono 
<lb/>generabili, e corruttibili, e non del tutto. Generante sarà 
<lb/>poi quello, che trasmuta da un'Elemento a un’altro; qual 
<lb/>che si sia o Sole, o Elemento. La quale opinione si conferma 
<lb/>con due prove. Una d'Aristotile, il quale nell'ottavo della 
<lb/>Fisica, e nel quarto del Cielo: facendo differenza tra le cose animate, 
<lb/>e inanimate; dice; l'animate muoversi da principio 
<lb/>intrinseco, e l'inanimate da estrinseco, cioè, dal generante. 
<lb/>E l’altra, ben che sia anzi ragione, che autorità; nulladimeno 
<lb/>è fondata in Aristotile, ed è questa. Che ogni cosa, che si muove, 
<lb/>è mossa da altra; perche niuna cosa può da se medesima 
<lb/>patire; ne esser più nobile di se stessa. Conciosia cosa che l'Agente 
<lb/>sia più nobile del Paziente. 
<lb/>La quarta opinione fu di coloro, che vollono, la causa essere, 
<lb/>il togliente lo impedimento inquanto, essendo lo Elemento 
<lb/>impedito da lui nel muoversi, chi lo toglie, opera che l'Elemento 
<lb/>vada al luogo suo. Ma questa è causa per accidente. E 
<lb/>conferisce a togliere lo’mpedimento; ma non al moto naturale 
<lb/>dell’Elemento: ed evvi ancora altra ragione, che la causa 
<lb/>volontaria non può produrre effetto naturale. 
<lb/>La quinta, &amp; ultima hebbero quegli, che dissero muoversi 
<lb/>li Elementi dalla propria natura; cioè dalla forma: essendo 
<lb/>la materia solamente radice delle passioni. perciò affermarono 
<lb/>alcuni, in latino si dice, Actus: perche agit, non havendo 
<lb/>considerato loro, che in Greco si dice εντελεχεια. per haver 
<lb/>ridotta la cosa nel fine. come la significazione del vocabolo 
<lb/>vuole. Si che dice fine: per lo quale la natura opera propriamente 
<lb/>come è l'anima. Significa anco l'operazione; in quanto 
<lb/>anch’essa è come fine, onde Aristotile chiamava la natura 
<lb/>fine di ciascuna cosa. Ma ritorniamo al nostro proposito. 
<lb/>Cotale opinione fù fondata nel testimonio d’Aristotile nel 2. 
<lb/>della Fisica, ove dice a distinzione delle cose naturali dalle 
<lb/>artifiziali, le fatte dall'arte non havere in se stesse per se principio 
<lb/>di facimento; adunque le cose naturali havranno in se 
<lb/>stesse principio attivo. e nello stesso libro egli dice haver detto 
<lb/>per se, e non per accidente; per cagione del Medico sanante 
<pb n="10"/>
<lb/>se stesso. E tale fu l’opinione di Temistio nell'ottavo della 
<lb/>Fisica. ove parla così. Diciamo il fuoco da altro esser mosso 
<lb/>all’insù, e la terra all'ingiù; perche da altro son fatte queste 
<lb/>cose, e non si fanno da se stesse. Ma quando sono generate 
<lb/>subito, e per quella natura, per la quale sono generate, operano. 
<lb/>Fondata in quell'autorità d'Aristotile, nel secondo 
<lb/>della Fisica, che vuole, che l’effetto esistente in atto habbia in
<lb/>atto esistente la causa. E nel secondo della Posteriora. ove 
<lb/>dice dell'effetto passato esserne passata la causa; del presente 
<lb/>la presente; e del futuro la futura. 
<lb/>Ma horamai, e forse con brevità habbiamo palesata la specolazione 
<lb/>d’Aristotile intorno a’ principi de’ moti. Parliamo 
<lb/>adunque degli accidenti, come siano loro principi. Ma perche 
<lb/>opera la natura sempre, mediante i suoi strumenti, che sono accidenti. 
<lb/>Di questi noi considereremo solamente quegli, che conferiscono 
<lb/>a tali moti. per chiarezza della qual cosa dico, che 
<lb/>la sustanza di sua natura non è ne grave, ne lieve. Si fa adunque 
<lb/>tale acquistando certi accidenti, i quali Aristotile nell’ottavo 
<lb/>libro della Fisica. e nel terzo del Cielo riferisce alla densità, 
<lb/>o rarità; veggendosi manifestamente, che'l fuoco, e l’Aria 
<lb/>sono rari, e l’acqua, e la terra densi; perche si come la gravità 
<lb/>dipede dalla strettura grande delle parti. così la leggerezza 
<lb/>dalla largura di esse. E se mi dicesse alcuno che’l corpo celeste 
<lb/>è denio, ma non grave adunque la densità non è causa 
<lb/>della gravità: gli risponderei che noi non parliamo del corpo 
<lb/>celeste, che ha l’essere diverso dalle cose presenti: cioè 
<lb/>più persetto, oltracciò dico, che non ogni sustanza esequirà 
<lb/>il medesimo efetto, datole il medesimo accidente: perche si 
<lb/>ricerca tal sustanza. Onde diciamo, l'acqua, e la terra solamente 
<lb/>secondo la forma loro possono fare tal’effetto mediante 
<lb/>la maggiore, o minor densità: secondo la maggiore, o minore 
<lb/>inclinazione verso quest'accidente della densità e così eziandio 
<lb/>de misti quel, che ha più densità, è più terreo per essere 
<lb/>la terra densissima, e tanto maggiormente questo interverrà, quanto 
<lb/>le parti terrestri sono più pure, e quel, che participa dell’ 
<lb/>aqueo in tal parte è men denso della terra; per essere l’acqua men 
<lb/>densa d’essa. Ma torniamo al proposito. La densità è adunque 
<lb/>causa della gravità, come la rarità della leggerezza. Or 
<lb/>lasciata quella, dico, che la gravità non è altro, che un’attitudine, 
<lb/>e naturale inclinazione al luogo inferiore; come la leggerezza
<pb n = "11"/>
<lb/>e naturale attitudine al superiore. Onde non essendo 
<lb/>altro, che potenza non opera; ma sì bene è attitudine della 
<lb/>causa nell’operare. Di più l’operazione si fa da Atto; adunque 
<lb/>non da potenza. E perciò non si dice mai, che la gravità 
<lb/>muova; come a uno, che domandasse perche l’huomo rida? 
<lb/>non si risponderebbe ride; perche egli ha la potenza; ma perche 
<lb/>ha la razionalità. per lo che habbiamo ancora noi detto, 
<lb/>che la gravità è principio come potenza. la qual cosa considerò 
<lb/>Aristotile ne' libri del Cielo; ove spesso nominò gravissimo 
<lb/>quello, che stà di sotto a tutti; e leggerissimo quello, 
<lb/>che sta di sopra a tutti. di poi disse, esser grave quello, che va 
<lb/>al mezzo, e all’ingiù. E ne’nsegna, che gli Elementi gravi si 
<lb/>muovono all’ingiù per la gravità, &amp; i leggieri, per la leggerezza 
<lb/>all’insù. Onde è manifesto, che pigliandosi la gravità 
<lb/>in due modi, o secondo la natura, o secondo il moto; Aristotile 
<lb/>ne parlò tanto chiaramete dell’uno, e dell’altro; che quasi
<lb/>niuno degli interpreti v’ha, che non habbia cavato da lui
<lb/>che la gravità, e la leggerezza sono principi strumentali del 
<lb/>moto; poi che c’insegnò come i corpi si muovono mediante 
<lb/>l'interiore inclinazione loro, e tal inclinazione non sia altro, 
<lb/>che la gravità, e la leggerezza.
<lb/>Rimane il tempo; cioè, quando si muove il mosso. conciosiacosa 
<lb/>che essendo il tempo numero de’ moti; non possa mai 
<lb/>essere moto senza tempo; e però Platone lo diffinì. Immagine 
<lb/>mobile dell'eternità, ed intervallo del moto del Mondo. 
<lb/>e fece il medesimo Aristotile chiamandolo numero. onde 
<lb/>il moto si dice temporale, non perche si faccia in tempo, 
<lb/>a guisa d’azione; ma perche è misurato da esso facendosi l’azione 
<lb/>nello istante; come la intellezione, la illuminazione, e 
<lb/>simili altre cose. Il moto adunque non è azione. Ma in che 
<lb/>modo è misura il tempo? La misura è secondo Simplicio, o 
<lb/>numero, o grandezza, o luogo, o tempo. il numero misura la 
<lb/>distinzione. la grandezza misura lo intervallo; il luogo la posizione. 
<lb/>il tempo l’estensione della generazione diterminandola 
<lb/>secondo il prima, e'l poi. Ora presupposto questo fondameto 
<lb/>si tolgono via due cose, il vacuo, e'l cedere. Il vacuo; 
<lb/>perche se non fosse la continuità del mezzo, che, per la successione 
<lb/>delle parti ritarda il moto, non potendo essere in un medesimo 
<lb/>tempo in tutte le superiori, e inferiori; non sarebbe mai 
<lb/>moto. è adunque necessario il mezzo. Si toglie ancora il cedere
<pb n="12"/>
<lb/>senza resistenza più velocemente muovendosi il più grave 
<lb/>del meno. all’incontro nuotando per l'aria alcune cose di minima 
<lb/>gravità, e altresì per l'acqua. si farà variazione per la figura, 
<lb/>e secondo il mezzo; perche si muoverà una cosa più velocemete 
<lb/>nell'Aria, che nell’acqua. e un sasso si muove ancora 
<lb/>più velocemente nel fine, che nel principio; e più velocemente 
<lb/>da un luogo più alto, che da un più basso. Similmente 
<lb/>una nave s’immergerà più nell'acqua dolce, che nella marina, 
<lb/>e nella stess’acqua un legno, quanto sarà più grave si profonderà 
<lb/>più. e la causa di questo non dipende da altro, che 
<lb/>dalla resistenza del mezzo; in quanto ella più, o meno vince. 
<lb/>ove se le parti havessero a dar luogo senza resisteza, non si vedrebbe 
<lb/>la cagione; perche dessero più luogo ad uno, che ad 
<lb/>un’altro; e come si facesse la variazione. Onde l’opinione di 
<lb/>coloro, che stimarono che'l mezzo, e la figura non operasse 
<lb/>proporzionatamente al ritardamento del moto del mobile, 
<lb/>fu sempre mai stimata vana dagli huomini savi, ma trapassiamo 
<lb/>horamai all'altro Discorso. 
<lb/>DISCORSO TERZO.
<lb/>Pertinente all’esamine delle cagioni del discendere 
<lb/>il solido. 
<lb/>A Formare questo Discorso mi muove il dubbio, che nasce 
<lb/>contro la naturale aspettazione, stimandosi che i corpi 
<lb/>più gravi dell'acqua non galleggino, ma discendino al proprio
<lb/>lvogo, come l'autorità d’Aristotile, e d’Archimede conferma.
<lb/>e la ragione di questo è. perche la natura, che diede 
<lb/>loro il proprio luogo di sotto come perfezione, gli diede ancora 
<lb/>la maggior densità, accioche se lo perdessero, lo potessero 
<lb/>di nuovo ancora racquistare; il qual fine non conseguirebbono; 
<lb/>se per la maggior densità non vincessero, che contiene 
<lb/>più forze della minore; da che nasce la pugna: percioche il 
<lb/>corpo più grave dell’acqua vuole acquistare il proprio luogo:
<lb/>e l'acqua non vuol soffrire il suo nimico appresso. in un certo 
<lb/>modo suo nimico mediante la siccità, e la gran freddezza della 
<lb/>terra, che se bene non contraddice a quella dell’acqua, gli è
<lb/>nulla dimeno contraria in quanto la gran freddezza della terra
<pb n="13"/>
<lb/>porta seco gran siccità, che muta la natura, o almeno l’altera 
<lb/>molto; quando però è meno; come nel ghiaccio si vede. 
<lb/>perche Alessandro nel libro primo delle Naturali Quistioni
<lb/>disse l’acqua mancare più di suo essere per la perdita dell’humido, 
<lb/>che del freddo. percioche ella patisce, per passiva qualità, 
<lb/>che non vuole, come corpo, ne meno patir la sua divisione. 
<lb/>Come habbiamo già detto. Ma da questo fondamento 
<lb/>nasce via più maggior maraviglia, perche il corpo più grave 
<lb/>non conseguisca il proprio luogo; ma si stia sopra l’acqua. La 
<lb/>qual cosa Aristotile considerando solve riducendone la causa 
<lb/>alla figura piana: come quella del Quattrino, o della tavoletta 
<lb/>d’Ebano. La riferisce dico a una certa resistenza dell’acqua 
<lb/>non superata da quella. la qual resistenza è di due sorte. 
<lb/>una, che ritardando alquanto la vittoria all'inimico, è alla fine 
<lb/>superata. e l’altra, che non è superata. questa seconda si fa 
<lb/>tra l’acqua, e la materia terrestre in due modi: uno per ragion 
<lb/>della figura del solido, il quale per haver le sue parti distese è 
<lb/>debole; e l'altro per la sua minima forza, per la quale non può 
<lb/>vincere le forze inferiori; e questo secondo modo non toglie 
<lb/>il detto d’Aristotile, e d’Archimede, se bene in astratto, come 
<lb/>di poi diremo, che parlano secondo il proprio modo del favellare; 
<lb/>cioè, che data la medesima proporzione del più, e 
<lb/>men grave; il più grave supera, e'l meno nò. In contrario. la 
<lb/>seconda resistenza è molto sproporzionata, e non fa niente in 
<lb/>questo caso. Torno adunque a dire; che chi conoscerà la resistenza 
<lb/>del mezzo, non havrà difficultà a intendere in qual 
<lb/>modo le cose gravi galleggino; come si è di già detto. ma chi 
<lb/>non conosce questa resistenza, è necessitato riferirne la causa 
<lb/>all’Aria. e la ragione è perche se l’acqua solamente cede, e non 
<lb/>resiste alle parti del solido, non potrà sostenerlo, ma cederà 
<lb/>alla sua sommersione. Sarà dunque altra la causa, che la sosterrà. 
<lb/>e questa sarà l’aria, concluderà un cotal bello ingegno. 
<lb/>ma all’incontro, se si farà manifesta la verità della resistenza, 
<lb/>come s’è fatto in parte. E come la esperienza dimostra; cioè 
<lb/>che'l Quattrino non istà in aria; ma in sù l’acqua; si conoscerà, 
<lb/>che l'acqua lo sostiene; perche non può da forze minori 
<lb/>delle sue esser divisa, tenendosi ella forte; come si vede, e non 
<lb/>cedendo solamente. 
<pb n="14"/>
<lb/>DISCORSO QUARTO
<lb/>In qual guisa l’Aria sia, o non sia vera cagione di far 
<lb/>galleggiare il solido. 
<lb/>NIega finalmente al tutto il Galilei che la figura possa far 
<lb/>galleggiare solido alcuno. e s’oppone ad Aristotile, che 
<lb/>afferma che ella il possa fare in alcuni. Ed in questo mi pare, 
<lb/>che l'opinion sua pur contraddica alle sue proprie ragioni, perche 
<lb/>secondo loro ancora l’aria non fa galleggiare i solidi in ogni 
<lb/>sorte di figure; ma in alcune particolari solamente. Onde 
<lb/>conseguentemente ancora è necessitato a confessare che la 
<lb/>figura ne sia in qualche modo la cagione. Imperciocche se 
<lb/>l'aria mediante questa, e non quella figura fa galleggiare il solido, 
<lb/>significando la parola, mediante, causa istrumentale ne 
<lb/>seguirà necessariamente, che anche la figura operi qual cosa; 
<lb/>che è quello, che niega l'Autore. Per cognizione della qual 
<lb/>verità. Dico ritrovarsi tre opinioni di questa cosa, due estreme, 
<lb/>una di mezzo. la prima tiene che l’aria solamente operi.
<lb/>la seconda l’Aria, e la figura. la terza la figura sola. la prima
<lb/>abbraccia l’Autore volendo, che l’Aria solamente, che si contiene 
<lb/>nella concavità degl’Arginetti, che si fanno intorno al 
<lb/>solido dall'acqua, sia la cagione, che i corpi più gravi in essa 
<lb/>galleggino, la seconda è di quegli, che vogliono che l’Aria, e 
<lb/>la figura insieme faccino l’effetto. 
<lb/>Ma lasciamo di grazia l'equivocazione, e notisi non negarsi 
<lb/>da noi che l’Aria ritenga, ma il modo di ritenere, che si dice, 
<lb/>può dirsi l’Aria in tre modi sforzare, o per predominio, come 
<lb/>si vede nelle cose leggieri, &amp; altri modi, che l’Aria ritiene, 
<lb/>o per moto, come l'Aria mossa dalla calamita tira a se il ferro, 
<lb/>o per simiglianza qual si scorge nelle coppette, o vero nelle 
<lb/>putrefazioni; fuor di questi modi se ne stà l’Aria nella sua
<lb/>naturalità; Vediamo hora se l'Aria toccando ritiene, e pensa
<lb/>l’Autore che ritenga per ragione d’affinità con virtù calamitica; 
<lb/>ma questa non è men desiderata dall'Aria, che da qualsivoglia 
<lb/>altro corpo, ne seguirà adunque, che ogni corpo toccando 
<lb/>l’altro lo ritenga sospeso, &amp; habbia virtù calamitica, 
<lb/>il che è falso; perche il corpo leggiere tocca non tiene, il corpo
<pb n="15"/>
<lb/>grave non solamente tiene, ma di più spinge. adunque argomenta 
<lb/>contra di se medesimo. Et dato, che questo, intervenisse 
<lb/>all'Aria sola, e non a gli altri corpi doverebbe questo
<lb/>convenire a tutta l’Aria, e ritirandosi ad un effetto particolare 
<lb/>doverebbe l'Autore renderne la ragione, anzi questa Aria 
<lb/>accostandosi più all'acqua doverà essere più humida, e per 
<lb/>questo meno tenace, il che tanto più deve l’Autore tenere per 
<lb/>vero, quanto anche è contra Aristotile niega che l’Aria possa
<lb/>sostenere cose, per minime che elle sieno. Quello poi, che si 
<lb/>dice dell’affinità, o contiguità, è molto ambiguo; perche la natura 
<lb/>non abborrisce la contiguità in particolare; perche s’impedirebbono 
<lb/>tutti i moti; ma si bene d’universale, la quale 
<lb/>consiste nel toccare, non nel tenere, che sono effetti diversissimi, 
<lb/>che il toccare significa unione estrinseca di due corpi; 
<lb/>senza violenza veruna, &amp; il ritenere significa medesimamente
<lb/>unione estrinseca, ma con violenza, massimamete che tanto tocca 
<lb/>chi tiene, quanto chi spinge, e notisi come l'Aria spinge i 
<lb/>corpi toccandoli come si vede ne' moti. Sia, che la natura, 
<lb/>vuole tra le sue parti una certa unione, &amp; armonia; si che non 
<lb/>dà mai cosa alcuna ad esse, che non riguardi la constituzione
<lb/>dell’universo, nè meno da lei si produce cosa alcuna a destruzzione 
<lb/>dell’altra, se non per accidente, volendo conservare se 
<lb/>stessa; percioche se altrimenti operasse, sarebbe tra le sue parti 
<lb/>una certa discordia simile a quella, che nasce tra Cittadini, 
<lb/>che si dipartono dall’unione di loro civiltà: per il che non
<lb/>viene corrotta la forma, e l'ornamento primiero, onde dissero 
<lb/>i Filofosi, che cosa niuna opera senza il fine della natura, 
<lb/>tutte le cose di alcuna, e per qualch’una facendosi, perche Platone 
<lb/>nel Dialogo della natura distinguendo le cause in due, una 
<lb/>chiamò necessaria, e l’altra Divina ponendo quella necessaria, 
<lb/>che opera per li mezzi, in quanto senza questa non si può 
<lb/>conseguire il fine, e nominò poi il fine Divino, come ottimo, 
<lb/>e simigliante alla causa prima, per il quale tutre le cose, che 
<lb/>sono mezzi s’incamminano; donde viene, che nessuna opera 
<lb/>contro la intenzione naturale ne contro l’altra se non per vtilità 
<lb/>propria, o comune, e per ciò l’una non vuole la distruzzione 
<lb/>dell’altra. Concludiamo per tanto, che se l’Aria havesse 
<lb/>da natura il ritenere in figura piana, o in concava le materie 
<lb/>terrestri, ne seguirebbono molti assurdi, percioche questo 
<lb/>contraddirebbe principalmente all'ordine di natura, alla 
<pb n="16"/>
<lb/>intenzione dell'acqua quanto all'ordine, non quanto alla divisione.
<lb/>Contradirebbe alla natura terrestre, e quel che sarebbe 
<lb/>inconveniente maggior di tutti, la stessa Aria harebbe 
<lb/>contrarii desiderii in un istesso tempo, parte volendo toccare 
<lb/>l’acqua per la somiglianza, che ha con essa, e parte volendola 
<lb/>ritenere per l'affinità onde seguirebbe, che per la contrarietà 
<lb/>d’appetiti naturali anche havesse contrarie nature l'Aria; 
<lb/>ma se l’Aria è contraria secondo la caldezza, e humidità 
<lb/>alla materia terrestre, la scaccerà più tosto, che terrà; perche 
<lb/>ogni cosa più tosto vuole essere con il suo simile, che con
<lb/>l'inimico.
<lb/>Sia di più, che s’è data molto maggior quantità dell’Aria, 
<lb/>che della terra vince la terra per essere molto densa, anzi serva 
<lb/>la sua gravità nell'Aria, con questo, che resista alla divisione 
<lb/>la medesima Aria, come adunque sarà possibile, che per 
<lb/>contatto solo habbia a vincere la terra nell'acqua, e impedirla 
<lb/>dal proprio luogo vna minima, e così debole virtù di natura 
<lb/>molto rara, e dissipabile. 
<lb/>E di poi se poca Aria sostiene poca parte terrestre; come 
<lb/>Aria, l’Aria adunque, che circonda la terra la sosterrà tutta, 
<lb/>che ne seguirebbe, che la terra non fusse nel proprio luogo, 
<lb/>ma pur vi è, adunque la terra non è sostenuta dall'Aria, e per 
<lb/>conseguenza l'Aria non sosterrà; ne meno farà questo una parte 
<lb/>di essa, percioche quello, che ha una parte di essa per natura 
<lb/>l’haverà ancora il suo tutto. 
<lb/>Et anche ogni potenza, la quale non viene all'atto, è in vano. 
<lb/>Se adunque tal potenza è naturale, sarà in vano nell’altra 
<lb/>Aria, poi che non tien mai tal materia. 
<lb/>Si dirà con ogni ragione, che non è corpo nel Mondo fatto 
<lb/>unito, che desideri ester diviso, anzi cosa, che si divide è divisa 
<lb/>da altra. E nessuna cosa è divisa da se medesima; hora presupposto 
<lb/>questo, domando se l'acqua resiste dividendosi, Se 
<lb/>non, adunque non sarà corpo sullunare, perche il corpo, come 
<lb/>corpo mai si divide da se, se resiste, dunque l'aiuto dell'Aria 
<lb/>è in vano, perche se l’Aria può sostenere certi corpi sottili, non 
<lb/>sarà impossibile, che l'acqua corpo molto più sodo in suo paragone 
<lb/>possa sostenere alcuni corpi deboli senza l'aiuto di essa, 
<lb/>e come più soda habbia a tenergli molto maggiori di quelli, 
<lb/>sia la prima esperienza tale, Pongasi nell'acqua un vaso di 
<lb/>qualsivoglia materia più grave di essa, e per l'avversario galleggi, 
<pb n="17"/>
<lb/>per l'Aria contenuta nella sua concavità; pensate due corpi
<lb/>di medesima gravità, ma disuguali di grandezza, e dipoi 
<lb/>mettete dentro a quel vaso hor ľuno, hor l'altro, tanto si sommerga 
<lb/>con l'uno, come con l'altro, Hor se l'Aria ritenesse, non 
<lb/>doverebbono ugualmente sommergersi essendo in uno maggiore 
<lb/>copia d'Aria, che nell’altro; L'Aria dunque o non ritiene, 
<lb/>o tanto ritiene la poca, quanto la molta, il che è assordo, 
<lb/>perche universalmente cresce la virtù dell'operare essendendosi
<lb/>più la forma nella materia; perche se bene la forma in se stessa 
<lb/>così in una quantità, come nell'altra, non riceve ne più, ne 
<lb/>meno, e pur è vero, che in quanto alla potenza dell'operare 
<lb/>riceve augumento; presupposto dunque che nella maggior 
<lb/>quantità s'accresca la virtù, si concluderà che l'Aria non ritenga.
<lb/>La seconda esperienza, empiasi un vaso di qualsivoglia materia 
<lb/>men grave dell'acqua sì, che galleggi e che tocchi per 
<lb/>tutto sì, che cacciata l'Aria, bisognerà dire una delle tre cose 
<lb/>o, che per esempio il legno sia fatto un composto con quel vaso, 
<lb/>che lo sostiene, o l'Aria inclusa nel legno, o vero altr Aria, 
<lb/>che sia restata tra il vaso, e'l legno; il primo non si può dire, 
<lb/>perche il legno da se non sostiene, ma aggrava, l'aria inclusa 
<lb/>nel legno, non tocca il vaso, come adunque lo tiene? quella 
<lb/>poca aria, che si contiene nella parte estrema non può ritenere, 
<lb/>perche se tutta l'Aria inclusa nel legno non lo ritiene per 
<lb/>Aria, ma discende violentata dalla terrestre parte, come potrà
<lb/>quella poca sostenere insieme il legno, &amp; il vaso? ne meno 
<lb/>l'aria, che si possi pesare rimasta tra il vaso, e'l legno, può haver 
<lb/>forza di sostenerlo, perche se tanta poca ha virtù di ritenere 
<lb/>il vaso, &amp; il legno, riterrà certo la medesima gravità, o 
<lb/>poco minore in figura Sferica, perche un medesimo peso lo 
<lb/>porterà uno sotto qualsivoglia figura; si che non resta veruno 
<lb/>scampo, e notisi pure, come un tal solido galleggierà sempre 
<lb/>tanto, quanto il peso del vaso lo sommerge sott’acqua. 
<lb/>La terza esperienza è, che un Catino di rame fin che non tocca 
<lb/>l’acqua viene in giù con moto continuo, ma arrivato all’acqua 
<lb/>ne anche spinto, ne ripieno di quel corpo grave si profonda. 
<lb/>La quarta esperienza è, che se l'aria sollevasse peso per la figura 
<lb/>piana, doverebbe chi pesa a suo pró, o ferro, o piombo 
<lb/>fuggir la figura piana, quale farebbe per chi compera. 
<pb n="18"/>
<lb/>La quinta esperienza è che quelli Artefici, che accommodano 
<lb/>i legni da Edifizio Navale, hanno solo riguardo all'acqua, 
<lb/>e non punto all’Aria. 
<lb/>La sesta, &amp; ultima esperienza è, che se l’Aria potesse sostenere 
<lb/>qualche Nave in sù, le impedirebbe il corso perche ritenuta 
<lb/>non si muoverebbe. Non dico per hora de' Notatori, che 
<lb/>pur si veggono saldi star a galla non per altro, che per la figura. 
<lb/>Concludiamo adunque, che il galleggiare in quanto a' 
<lb/>corpi leggieri procede principalmente dal predominio dell' 
<lb/>Aria, quanto a' corpi più gravi dell’acqua dalla resistenza del 
<lb/>mezzo, perche in tali l’Aria inclusa può molto poco. 
<lb/>Prova, che l'Aria non potrebbe comunicare la leggerezza 
<lb/>alla parte terrestre, 
<lb/>LA comunicanza è, o per natura, o per participazione, o 
<lb/>per arte; o ver per uso. L'Aria non può comunicare la 
<lb/>leggerezza alle parti terrestri per natura: perche la tavoletta 
<lb/>non è trasmutata nell'Aria. Ne per participazione; perche 
<lb/>non possono gli Elementi comunicar gravità, o leggerezza, 
<lb/>se non mediante le qualità alteratrici; come sono le quattro 
<lb/>prime degli Elementi. E però non è cosa leggiera, che non 
<lb/>sia Aria, o fuoco, o cosa, che habbia predominio da queste. 
<lb/>Ne per uso; perche l’uso non si comunica, ma si fa da se, Non 
<lb/>per arte propria degli huomini. L’Aria adunque non può in 
<lb/>guisa alcuna, tale cominciare la leggerezza alla materia
<lb/>DISCORSO QUINTO.
<lb/>Che la figura sola fa galleggiare il solido. 
<lb/>PEr cognizione della verità di questa proposizione si ponga 
<lb/>in prima, che niuna sustanza in questo Mondo sollunare 
<lb/>opera, se non mediante gli accidenti, che sono convenieti
<lb/>alla sua operazione in quella guisa, che avviene all’artefice, 
<lb/>che ricerca gli strumenti accomodati alla sua opera; che 
<lb/>non gli conseguendo atti, ne viene in quella più tosto impedito, 
<lb/>che apperfezzionato, quantunque l'azione convenga più 
<pb n="19"/>
<lb/>all'agente primario, che al secondario, Come Aristotile insegna
<lb/>nell'ottavo della Fisica. dicendo, che la causa secondaria 
<lb/>non opera per virtù propria, ma per virtù della primaria.
<lb/>E per questo nello stesso libro dice. Che’l primario agente è 
<lb/>più nobile del secondario. Per lo qual fondamento è necessario; 
<lb/>che la natura, la quale è produttrice de' moti, adoperi
<lb/>qualche strumento, senza il quale non opererebbe. E perciò 
<lb/>Aristotile nel sesto della Fisica per la quarta condizione necessaria 
<lb/>al moto. Che’l mobile fosse quanto è passibile. 
<lb/>Secondo fondamento più particolare pogniamo. Se gli Elementi 
<lb/>si deono muovere, conviene che habbiamo qualche figura. 
<lb/>La figura è quantità terminata da superficie d’una, o 
<lb/>più linee, e questa è quantità continua, e figurata. E perche
<lb/>habbiamo detto, che se lo stromento sarà atto, concorrerà all' 
<lb/>operazione, e se nò, che lo impedirà più tosto; sarà ancora 
<lb/>manifesto (essendo la figura strumento) che se'l mobile l’havrà 
<lb/>conveniente a dividerne il mezzo facilmente egli se ne discenderà 
<lb/>più veloce. E se disconveniente, non solo dicenderà con 
<lb/>tardità, ma gliene sarà bene spesso impedito interamente il 
<lb/>moto. La onde per esplicare la facilità, o difficultà del mezzo.
<lb/>si ha da notare nel terzo luogo, che quanto al mobile: tal 
<lb/>differenza nasce dall’essere più, e men grave. come Aristotile 
<lb/>nel quarto del Cielo afferma, dicendo, se la virtù della gravità, 
<lb/>supererà la resistenza del mezzo, discenderà più velocemente 
<lb/>all’ingiù. ma se sarà più debole, soprannuoterà il mobile, 
<lb/>che havrà tal gravità, e quanto al mezzo, se sarà più denso, 
<lb/>sarà più difficile alla divisione; se più raro, più facile; e la ragione 
<lb/>è, che essendo il denso quello, che in poco distendimento 
<lb/>contiene gran quantità di materia; e raro quello, che in 
<lb/>molto ne contien poca. ne succederà conseguentemente, che 
<lb/>secondo le proporzioni delle forze del denso, e del raro ne nascerà 
<lb/>la varietà de moti più, o men veloci. Ed in questo opera 
<lb/>la figura. Ne seguirà finalmente; che non essendo il resistere 
<lb/>altro, che non essere vinto, che è una privazione, come 
<lb/>Teodoro Metochita dice nella sua Parafrafi, della generazione, 
<lb/>e corruzione, che la figura non produrrà tardità di moto 
<lb/>operando, ma resistendo; che è privazione. E così non 
<lb/>solo si dee chiamare Strumento della natura operante, che desidera 
<lb/>il suo luogo: ma impedimento, e cosa operante, non col 
<lb/>mobile, ma col mezzo; perche si come la molta virtù dell'agente
<pb n="20"/>
<lb/>è impedita grandemente dalla figura nel minore il mezzo; 
<lb/>così la poca è totalmente superata da essa perloche Aristotile 
<lb/>nel quarto del Cielo vuole che la figura piana possa far 
<lb/>soprannotare certi solidi nel modo, che si è detto, e si dirà 
<lb/>appresso. perciò piglisi una materia, che nella figura Sferica 
<lb/>vada al fondo, e ridotta nella piana galleggi. dico che si farà 
<lb/>manifesto, che volendo ritrovar la causa del galleggiare, e havendo 
<lb/>provato, che non puote essere l'Aria, resterà necessariamente 
<lb/>che sia la figura: perche le cose quanto sono più acute, 
<lb/>e più gravi, penetrano più facilmente; e quanto sono più ottuse, 
<lb/>e meno gravi, dividono più difficilmente. Le materie adunque 
<lb/>piane galleggiano, per lo mancamento dell'acutezza, 
<lb/>e della gravità: toccando l’acqua per lo lato piano: per tali 
<lb/>cagioni non potendo rompere la superficie della molt’acqua;
<lb/>come possono fare quella dell’Aria: non si potendo in essa sostenere 
<lb/>per la debolezza del suo corpo. La onde paragonando 
<lb/>le forze dell'aria, e dell'acqua, si potrà concludere, che se 
<lb/>l'Aria sostiene un corpo in alcuna gravità: l’acqua ne sosterrà 
<lb/>un'altro in una molto maggiore. E considerata la resistenza 
<lb/>dell’un mezzo maggiore, e quella dell'altro, per la maggior
<lb/>estensione delle parti nella figura del solido non sarà difficile
<lb/>comprendere, come l'acqua possa sostenere le materie gravi, 
<lb/>in paragon dell'eccesso delle forze divenute per l'accidente
<lb/>detto meno potenti delle sue, servata pero l'egualità delle forze 
<lb/>della materia mobile in tutte le parti della figura senza 
<lb/>pendere per qualche accidente più da una, che da un'altra
<lb/>parte.
<lb/>Risposte particolari alle proposizioni del Discorso
<lb/>del Galilei. 
<lb/>POsti i fondamenti universali delle nostre ragioni; conviene 
<lb/>horamai rispondere in particolare alle proposizioni 
<lb/>del Galilei, che contengono in se cose conveniente alla nostra 
<lb/>presente materia. Dico adunque che di quelle, che nel 
<lb/>proemio si ritrvonano, è da concedergli quella. che'l mettere 
<lb/>in carta manifeita più la verità, o falsità delle opinioni, che 
<lb/>non fa il disputare in voce. si perche, tralasciando altre ragioni, 
<lb/>colui, che non mette in carta, può sempre mai negare il
<pb n="21"/>
<lb/>suo detto; si ancora perche altri non può così facilmente essendo 
<lb/>il tempo della Disputa breve, e fuggevole, in quel subito 
<lb/>trascorso sceverare il vero dal falso, e discoprire le fallacie 
<lb/>delle cose, che si dicono. questo provano i proverbi seguenti. 
<lb/>Il tempo solo è Giudice di tutte le cose, e l'altro. Il tempo tutte 
<lb/>le cose occulte conduce a luce. e concedesi altresì la sentenza 
<lb/>d’Alcinoo che’l filososare dee essere libero. Ma che dobbiamo 
<lb/>stare nella ragione, e nell’autorità nò. non lo consentiamo; 
<lb/>perche è palese; che gli huomini grandi fecero sempre 
<lb/>grande stima dell’autorità. e Aristotile se ben disse, Amico 
<lb/>Socrate, e Platone, ma più amica m’è la verità, nulladimeno 
<lb/>citò spesso nelle sue opere diversi Autori. ed enne la ragione. 
<lb/>che’l volersi partire dall'autorità seguita da un consenso 
<lb/>grandissimo di Savi, e massimamente senza esperienze, e ragioni
<lb/>evidentissime è veramente una cosa temeraria; e porge sospetto, 
<lb/>e occasione giusta di dire; che huomo non intenda la 
<lb/>cosa più tosto; o vero habbia mente inchinevole naturalmente 
<lb/>al falso. A confermazione di ciò è da considerare, che da Aristotile 
<lb/>si come non è mai rifiutata la ragione per l'eccellenza 
<lb/>del senso; Così nel autorità, ancor che la ragion prevalesse. 
<lb/>percioche è una maraviglia della natura, che ella in ogni 
<lb/>scienza, e arte habbia prodotto il sovrano Maestro, havendo 
<lb/>divinamente in alcuni soggetti adoperato l'ultimo di svo magistero, 
<lb/>ed in quelli pur dimostrato le bellezze delle sue idee
<lb/>additandone gli altri, che la si riferiscono, e prendano la norma. 
<lb/>Ma lasciamo questi preambuli del Galilei, e vegniamo 
<lb/>alle proposizioni, che furono cagione, che egli componesse 
<lb/>il suo Discorso, e cominciamoci da quella, che dice, Che in 
<lb/>una conversazione di Letterati fu detto, che'l condensare era 
<lb/>proprietà del freddo, e glie ne fù addotto l’esempio del ghiaccio; 
<lb/>a quali contraddisse: affermando che'l ghiaccio era più 
<lb/>tosto acqua rarefatta. Il che crede havere primieramente 
<lb/>dimostrato; perche egli sta a galla; che se fosse acqua condensata, 
<lb/>per esser divenuto, per la condensazion più grave, non 
<lb/>vi starebbe altrimenti. E l’altra ragione; perche l'acqua nel 
<lb/>ghiacciarsi cresce di mole; segno, come dice, di rarefazione.  
<lb/>Alle quali ragioni rivolgendomi, dico che la seconda non è 
<lb/>vera; cioè, che l’acqua nel gelarsi cresca di mole da per se, affermandosi
<lb/>il contrario, ed alla prima dico, che'l ghiaccio detto 
<lb/>dall'agghiacciamento; e costringimento fatto dal gran freddo
<pb n="22"/>
<lb/>si rarefà per accidente; come in molte altre materie interviene. 
<lb/>perche ristrignendosi in esse alcune parti, alcun'altre 
<lb/>per necessità escono non essendo atte a congelarsi, e cosi le dense 
<lb/>si rarefanno; e si generano perciò entro di loro alcune 
<lb/>porosità, nelle quali penetrando l’Aria, che si ritrvova congiunta 
<lb/>al freddo, vi riman rinchiusa, non dandosi il vacuo, le quali 
<lb/>cose insieme divengono cause dal galleggiamento suo. Ed 
<lb/>argumento di ciò è il vedere che'l cristallo condensato dal freddo 
<lb/>è trasparente, per la mischianza dell’Aria, e dell'acqua, come 
<lb/>dice Ermino. anzi il ghiaccio, per essere un poco più grave 
<lb/>dell'acqua, e per conseguenza dilungato dalla natura di essa, 
<lb/>per accidente mediante la ragione della condensazione, 
<lb/>essendo, secondo Alessandro nel primo delle Quistioni capitolo 
<lb/>sesto, il ghiaccio acqua alterata molto, dovrebbe alquanto 
<lb/>discendere: il che non fa divenuto per l’Aria contenuta, che 
<lb/>supplisce, e supera la gravità acquistata per accidente, più leggieri. 
<lb/>ed in questa guisa un’accidente va contrappesando l’altro. 
<lb/>la quale opinione non è invenzione nuova dell’Autore; 
<lb/>perche fù innanzi d’Averroe nel comento decimo del terzo del 
<lb/>Cielo. che volle, che'l ghiaccio fosse acqua rarefatta, la quale 
<lb/>fu da tutti rifiutata. Ma chi sà, che egli non volesse dire, 
<lb/>rarefatta per accidente? in quanto essendo dell’acqua uscito 
<lb/>lo spirito, e l’altre parti più sottili, che corrispondono all’Aria: 
<lb/>viene in quelle parti allargandosi, che rimangono nel constringimento, 
<lb/>il tutto a rarefarsi. altrimenti sarebbe contro 
<lb/>alla dottrina d’Aristotile, che spesso esclama l'acqua esser condensata 
<lb/>dal freddo, e sarebbe contro Hippocrate nel libro del 
<lb/>l’Aria, acqua, e luogo. Teofrasto nel capitolo se l'Aria grossa, 
<lb/>o sottile conferisca alla condensazione. Ad Alessandro Afrodiseo 
<lb/>nel libro della generazione, e corruzione. A Galeno 
<lb/>delle facoltà de’ Semplici medicamenti nel primo capitolo, 
<lb/>nel 16. e nel 17. e altrove. A Macrobio nel libro settimo de'
<lb/>Saturnali capitolo duodecimo, e Simplicio, e altri infiniti.
<lb/>Il Galilei dice, che di poi gli fu risposto, che'l ghiaccio stava 
<lb/>a galla per la ragion della figura larga. alla qual cosa contraddisse 
<lb/>asserendo, che la figura non era cagione di far galleggiare, 
<lb/>o andare al fondo. Ma di questo parleremo al sup 
<lb/>luogo, e volgeremo al presente il nostro ragionamento a quello, 
<lb/>che egli va ricercando, cioè la intrinseca, e vera cagione dell' 
<lb/>ascendere alcuni corpi solidi nell'acqua, e in quella galleggiare, 
<pb n="23"/>
<lb/>o vero discendere. Ove egli asserisce, non acquietarsi interamente 
<lb/>nella ragione data da Aristotile; e perciò conclude 
<lb/>con Archimede essere l’eccesso della gravità dell'acqua, che 
<lb/>supera la gravità di quelli. Nella qual cosa dovrebbe pur
<lb/>acquietarsi, poiche non solo per la ragion d'Aristotile; ma per 
<lb/>la natura ancora della cosa stessa è noto appresso a tutti gli 
<lb/>huomini, che quanto la cosa è più grave, vada tanto più in giù. 
<lb/>Anzi Aristotile in poche parole esplica chiarissimamente la 
<lb/>cosa ne' libri del Cielo, e in altri luoghi. che le parti per intrinseca 
<lb/>inclinazione vanno al proprio luogo, chiamando intrinseca 
<lb/>inclinazione la gravità, o vero la leggerezza, e la cagione 
<lb/>ne'misti dichiara in una parola farsi il moto loro dall' 
<lb/>Elemento predominante. Ma è ben da considerare contro 
<lb/>all'Autore, che non conviene chiamare la gravità intrinseca, 
<lb/>e vera cagione. Concorrendo ella all'operazione come potenza 
<lb/>solamente, e non come intrinseca causa; Appartenendo 
<lb/>questo alla natura della cosa, o almeno alla densità come 
<lb/>vera causa, se bene accidentale. 
<lb/>Ma li principi sono molti, il Cielo, il generante, e qualche 
<lb/>volta il togliente lo impedimento. Ia forma, la quale se sia 
<lb/>principio solamente passivo, o attivo, o attivo, e passivo; Non 
<lb/>è al proposito. la densità; e la gravità. E Alessandro Afrodiseo 
<lb/>nel primo dell'anima cap. 2. dice. il caldo, e'l secco facciano 
<lb/>spezie di fuoco. E da questi, e in questi è generata la 
<lb/>leggerezza. E'l medesimo si può dire della gravità, cioè, esser
<lb/>generata dalla freddezza, tralasciando la Disputa se la qualità 
<lb/>degli Elementi siano le forme loro; dicendo solamente, 
<lb/>che ancorale alteratrici qualità sono principi de' moti. Però 
<lb/>si conclude che volendo insegnare il Galilei ad Aristotile i 
<lb/>principi vada cercando di portar la luce al Sole, il quale 
<lb/>mentre cerca esplicare il più, o’l men grave; parve che non si 
<lb/>curi di abbassare i termini Filosofici. E primo per formar’ una 
<lb/>spezie ricerca due cose, ugualità di mole, e di gravità, che 
<lb/>sono tra se molto differenti, trovandosi l’una senza l'altra, come 
<lb/>dunque forma un'essenza di due enti, cosi separati? oltre 
<lb/>che il più, e'l meno non mutano spezie, come dunque più o 
<lb/>men grave potrà mutarla? e di poi da al legno la gravità assoluta, 
<lb/>e pure è di sua natura leggiere, e nondimeno acciò che 
<lb/>per la varia significazione de' termini non s'oscurino i concetti, 
<lb/>dicasi di medesima grandezza e gravità, non di medesima
<pb n="24"/>
<lb/>grandezza ne gravità di medesima grandezza, ma non gravità, 
<lb/>di medesima gravità, ma non grandezza. 
<lb/>Adduce poi le proposizioni Matematiche le quali sono, i 
<lb/>corpi che soprannuotono deono essere men gravi dell’acqua, 
<lb/>e quelli che vanno al fondo più gravi di essa; queste proposizioni 
<lb/>appella l’Autore vere, ma difettose, le quali veramente 
<lb/>non sono difettose, come egli dice per tal accidente della trave; 
<lb/>perche ben che la trave fosse di mille libbre, potrà forse galleggiare 
<lb/>sopr'un acqua di cinquanta per essere per natura più 
<lb/>leggiere dell’acqua, mediante l’introclusa Aria, e la resistenza 
<lb/>dell’acqua, e ben vero che si ricerca proporzionata quantità di 
<lb/>acqua per sostenere la trave, quale è quella di cinquanta libbre 
<lb/>messa in stretto vaso, si che interverrà il medesimo alla trave 
<lb/>come alle Navi, che per Mare galleggiano sostenute dall’acqua 
<lb/>sola, che circonda à torno, al che se havesse havuto riguardo 
<lb/>l’Autore, non si sarebbe maravigliato della trave gallegiante 
<lb/>in acqua di minor peso; ma più tosto che poca acqua 
<lb/>in un bicchiere sostenga un altro bicchiere carico di qualche 
<lb/>sasso, e per questo assai più grave, il medesimo interviene ne 
<lb/>gli altri vasi. 
<lb/>Che si dirà adunque? forse che le cose gravi non possino acquistare 
<lb/>il luogo loro naturalmente? non dirò io già questo, 
<lb/>ma solo per accidente quale è la figura. L’Autore pone l'Aria. 
<lb/>e quì è la nostra Disputa, e per questo più accidentale, che 
<lb/>essenziale. egli esclama contro la figura; e la Disputa è se l’Aria 
<lb/>tiene, o vero l’Acqua, perche la medesima ragione, che muove 
<lb/>Aristotile a riguardare la figura per conto dell’acqua, la medesima 
<lb/>poteva persuadere il Galilei a metter la figura per ragione
<lb/>dell’Aria, anzi nella resistenza dell’acqua esso da se stesso 
<lb/>discorda in più luoghi, imperocche hora dice, che l’acqua 
<lb/>resiste, &amp; altrove dice che non contrasta punto. basta che l'Autore 
<lb/>niega l'invincibile resistenza dell’acqua. 
<lb/>Ma perche il Signor Buonamico conforme alla dottrina 
<lb/>del suo Maestro insegna, che ne’ moti degl’Elementi siano congiunte
<lb/>l’inclinazione con la divisione del mezzo, in che riprese 
<lb/>Archimede, che afferma, i solidi, che galleggiano, non esser 
<lb/>più gravi dell’acqua, ne fu ripreso dal Sig.Galilei; defendendo 
<lb/>hora noi la Dottrina Peripatetica, ne verrà anco difeso il Buonamico, 
<lb/>il quale nel quinto libro del moto non si quieta nel detto 
<lb/>di Archimede, essendosi poco innanzi fidato nel detto di 
<pb n="25"/>
<lb/>Seneca, che i sassi, e huomini senza notare soprastiano in cert’
<lb/>acque, e pure i sassi sono più gravi dell’Acqua, hora se l’esempio 
<lb/>sia vero, o nò, cerchilo chi non crede a Seneca, a me baslta 
<lb/>che la Dottrina sia vera, ma veniamo noi ad altre sperienze. 
<lb/>Si vede, che il piombo, e l'oro galleggiano sì per la figura, sì 
<lb/>per la piccolezza, e pure non è dubbio, che sono per natura 
<lb/>più gravi dell'acqua; Onde assolutamente può esser vero il detto 
<lb/>d’Archimede; ma posta la divisione del mezzo per molti riguardi 
<lb/>può riuscire falsa, e però Aristotile nel secondo della 
<lb/>Metafisica diceva, che l'esquisitezza del parlare intorno alle 
<lb/>cose Matematice non bisogna ricercarla in tutte le cose, ma 
<lb/>solametite in quelle, che non hanno materia; Non basta dunque 
<lb/>dire, che non galleggia il più grave, ma bisogna aggiugnere, 
<lb/>che divida il mezzo; perche non lo dividendo senza dubbio 
<lb/>galleggerà, e dividendolo si affonderà, come disse Aristotile
<lb/>nel quarto del Cielo, e però l'Autore più tosto doverebbe dimostrare 
<lb/>la leggerezza del ghiaccio, perche posto nel fondo 
<lb/>ritorna a galla. che perche galleggi, &amp; allora havrebbe concluso, 
<lb/>adunque il ghiaccio aereo alquanto poi che ogni solido 
<lb/>che sta su l’acqua aereo, e per chiarezza maggiore diciamo, 
<lb/>che delle cose galleggianti, altre per la sua natura galleggiano, 
<lb/>come più leggieri; altre, o per la figura, o per la piccolezza, 
<lb/>ancorche piu gravi non si sommergono. Hora la disputa 
<lb/>nostra è di quelle cose che non per la leggierezza, ma 
<lb/>per la figura stanno a galla, il che non solamente conviene alle 
<lb/>cose gravi, ma aiuta anco le leggieri, che per la figura si tuffano 
<lb/>più o meno difficilmente: E per ritornare alla divisione, 
<lb/>guardisi, come un legno non solo galleggia, perche è Aereo; 
<lb/>perche così l'haverebbe l'Aria sostenuto in alto, come fa 
<lb/>la paglia, &amp; altri minutissimi corpi; ma anche per il sollevamento 
<lb/>dell’Acqua in modo, che l'Aria resista per starsene al 
<lb/>proprio luogo. L'Acqua poi resista al terreno del legno per 
<lb/>non dividersi, e più per conservarsi, che per opporsi ad altri, 
<lb/>che se l’Acqua cedesse, arriverebbe anche il legno sino al fondo, 
<lb/>non essendo l’Aria bastante a sostenerlo, come già si è detto. 
<lb/>Hora, che la gravità presupponga la divisione, con due 
<lb/>ragioni si può dimostrare. La prima è l'andare, o non andare 
<lb/>a fondo si fa trapassando, o non trapassando, che avviene 
<lb/>per la maggiore, o minore resistenza, e questa dalla maggiore 
<lb/>o minor densità, essendo più o meno parti unite; ma la gravità 
<pb n="26"/>
<lb/>nelle cose sollunari è effetto della densità; adunque la densità 
<lb/>è la principal causa della facile, o difficile divisione, e non 
<lb/>la gravità se non secondariamente. L’altra ragione è, che 
<lb/>tolta la difficoltà di dividere il mezzo, non ci sarà cagione, per 
<lb/>che il più grave più presto si muova del men grave, perche altrimenti 
<lb/>si caccierebbe in giù dal mezzo quello, che fusse men 
<lb/>grave con prestezza maggiore. Quì fu ripreso il Signor Buonamico, 
<lb/>quasi habbia detto, che un vaso di legno pieno d’acqua 
<lb/>se ne vada al fondo, e non si avverte, che quel Filosofo 
<lb/>non afferma, che vada, o che non vada, ma presupposta l'esperienza 
<lb/>ne rende la cagione, e confessa, che questa esperienza 
<lb/>è difficile a strigare, basta che sia viva la sua ragione che l'acqua 
<lb/>movendosi in giù aggrava per non essere al proprio luogo. 
<lb/>Quanto al sospetto, che potrebbe dare Archimede non havendo 
<lb/>fatto menzione della divisione del mezzo, ma solamente 
<lb/>toccato il cacciamento dell'acqua, come causa di tornare 
<lb/>a gallai solidi men gravi di lei, II Signor Galilei dice, che si 
<lb/>potrebbe sostenere per verissima la sentenza di Platone, e di 
<lb/>altri, che niegano assolutamente la leggerezza contra il Buonamico, 
<lb/>&amp; il suo Precettore Aristotile. Haverei quì desiderato, 
<lb/>che il Galilei havesse detto se sà, che Anassimandro, e 
<lb/>Democrito mettevano I’universo infinito, dove naturalmente 
<lb/>non può dirsi ne sù, ne giù, il che ancora negò Timeo appresso 
<lb/>Platone per cagione dell’assimiglianza, che per essere il 
<lb/>Mondo Sferico ha solamente l’intorno, e mezzo, de' quali ne 
<lb/>l’uno, ne l'altro può haver sù, e giù, poiche il mezzo è nel mezzo, 
<lb/>e l'intorno verso il suo antipode sarebbe sopra, e sotto. voleva 
<lb/>ancora, che tutti gli Elementi fussero gravi, acciòche potessero 
<lb/>restare nel proprio luogo, ma Aristotile considerando 
<lb/>nel Mondo l'estremo, e mezzo, chiama l'estremo sopra, e'l 
<lb/>mezzo sotto, e che naturalmente il sopra prima sia del sotto, 
<lb/>si come il destro del sinistro; si che non per l'assimiglianza circulare, 
<lb/>ma per la differenza dell'estremo al mezzo vuole Aristotile 
<lb/>che altro sopra, altro sotto possa chiamarsi. Hora essendo 
<lb/>tre sorti di moti, cioè secondo la grandezza, secondo 
<lb/>la qualità, e secondo il luogo non meno del moto locale si fa 
<lb/>la mutazione da un contrarto all'altro, che la si faccia negli 
<lb/>altri mori; E contrarii sono secondo il luogo sopra, e sotto, e 
<lb/>ne rende Alessandro la cagione, perche l’istesso, come tale non 
<lb/>può essere in cose contrarie, e però il suggetto all'hora si dice
<pb n="27"/>
<lb/>mutarsi quando lascia la prima forma', e ne piglia un altra, 
<lb/>hora essendo il luogo forma, e movendosi il mobile dalla potenza 
<lb/>all'atto, &amp; essendo questo moto naturale, poiche n' ha 
<lb/>il mobile principio in se stesso, ne segue chiaramente, che'l 
<lb/>fuoco si muova in sù non per cacciamento de'corpi più gravi, 
<lb/>ma per sua natura; Et io conforme ad Aristotile domando 
<lb/>hora se il fuoco habbia moto naturale, o no: Non si può 
<lb/>negare, ch’egli non l'habbia, perche si darebbe natura senza 
<lb/>moto, e havendolo non può all'ingiù; Bisogna dunque, che 
<lb/>habbia potenza a salire, perche si muove quello, che può, e 
<lb/>non quello, che non può; Questa potenza chiamiamo leggerezza; 
<lb/>onde se egli non fusse inclinato per natura al suo luogo, 
<lb/>ma che vi andasse cacciato, tal moto non gli sarebbe naturale, 
<lb/>ma fuor di natura; poi che tal principio no è a lui intrinseco, 
<lb/>ne naturale ma del tutto estrinseco, &amp; violento. E' 
<lb/>adunque leggiero il fuoco per sua natura, e non per privazione, 
<lb/>anzi vediamo, e lo nota Simplicio, che il maggior fuoco 
<lb/>più presto si leva in alto, che il minore, il quale pur dovrebbe 
<lb/>esser men grave, che il maggiore: Finalmente tutto quello, 
<lb/>che si è detto della Resistenza del mezzo, qua si appartiene. 
<lb/>Si concede bene da noi il cacciamento per non darsi il vacuo, 
<lb/>e per la continuità, che deono havere le parti, ma quel che 
<lb/>importa è la divisione del mezzo. Quell’esperienza che adduce, 
<lb/>che l’esaltazione ignee più velocemente ascendono per 
<lb/>l'Acqua, che non fa l’Aria, Vorrei, ch’egli dicesse donde ha 
<lb/>tal esperienza, e se mai ha visto tali esalazioni astender per 
<lb/>l'Acqua; perche ne io, ne altri, con i quali habbia ragionato 
<lb/>di questo; siamo stati di vista tanto acuti, che gli habbiamo 
<lb/>potuti discernere. 
<lb/>Dice poi contra il Buonamico, che tanto è considerare ne’ 
<lb/>mobili il predominio delli Elementi, quanto l’eccesso, o'l mancamento 
<lb/>di gravità, e però tant'è il dire, che il legno dell'Abeto 
<lb/>non va al fondo, perche ha predominio Aereo; quanto 
<lb/>il dire, perche è men grave dell’Acqua; Si risponde molto 
<lb/>meglio essere il dire, che galleggia il legno per il predominio 
<lb/>Aereo, che per esser men grave, perche nel legno notante si 
<lb/>deono considerare due cose; l'una è l'immergersi alquanto 
<lb/>nell’Acqua, l'altra è il non sommergersi, quella viene per ragione 
<lb/>della Terra, questa per la ragione dell'Aria, che si contiene
<lb/>in essso, a quella fa l'Acqua resistenza, con questa non
<pb n="28"/>
<lb/>ha combattimento veruno, che non cerca l'Aria andar sotto 
<lb/>Acqua, e pur con questa doverebbe esser la contesa, se l’Acqua 
<lb/>resistesse al men grave; oltre che già si è provato, che 
<lb/>anche i più gravi galleggiano, si che la cagione immediata 
<lb/>del galleggiare non è l'essere men grave dell’Acqua, ma il predominio 
<lb/>Aereo, con la resistenza del mezzo, come si è detto.
<lb/>Comincia il Galilei con l'esperienze a dimostrare, che la figura 
<lb/>non operi nel galleggiare, e l'esperienze sono. La prima 
<lb/>d'un Conio, o Piramide fatta d'Abeto, Cipresso, Cera, o altra 
<lb/>materia simile, &amp; afferma, che ugualmente tanto la parte larga, 
<lb/>quanto l’acuta del Conio, o Piramide penetra l’acqua, donde 
<lb/>raccoglie, che niente operi la figura. Al che primo si risponde 
<lb/>non essere tale esperienza a proposito, di poi concludere 
<lb/>cosa falsa; non e a proposito, perche quando parliamo della 
<lb/>figura piana, intendiamo una figura assolutamente tale, quale 
<lb/>potria essere una tavoletta d’Ebano, o un quattrino; Ma quando 
<lb/>l’Autore parla del piano del Conio, ò Piramide, parla di 
<lb/>una sola parte, e perciò non è maraviglia, che’l piano della Piramide 
<lb/>per gravità del resto si sommerga fin tanto, che non ritrova 
<lb/>tant’acqua a sostenerlo. Se poi rivolgendo la parte acuta 
<lb/>verso l’acqua, si vedrà, che tanto della parte più larga 
<lb/>resterà fuora dell'acqua, quanto ne restava fuori volta per l'altro 
<lb/>verfo; La ragione sarà, perche quando le forze del grave imposto 
<lb/>superano le forze dell’acqua, tanto vincerà un corpo più 
<lb/>grave, quanto un men grave, e bisogna ben notare, che quella 
<lb/>parte della Piramide, che è più facile a dividere l’acqua è più 
<lb/>difficile a essere sospinta, e per il contrario la parte, che è più 
<lb/>larga, come è più difficile a fendere, così è facile ad esser cacciata, 
<lb/>tal che simili esempi non fanno a proposito. Poi che
<lb/>concludono cosa falsa, si vede chiaramete fermandosi la Piramide 
<lb/>tutta quasi in un punto dalla parte acuta, e in larghezza 
<lb/>dalla base, cioè in più punti, e più difficilmente trapassano più 
<lb/>punti, che uno, donde si conosce, che lo stesso Autore forzato 
<lb/>dalla verità dice di sotto, che più velocemente vada al fondo 
<lb/>una palla, che una tavoletta piana della medesima materia, 
<lb/>che da altro non può derivare, che dalla figura; il medesimo 
<lb/>si può dire de Cilidri, le parti de quali si profondano per la
<lb/>gravità di sopra, che gli spinge. Quanto all’esperienza della 
<lb/>cera, si vede, che ella violentemente è portata sotto dal piombo, 
<lb/>e sollevato il piombo violetemente dal sughero, si che in 
<pb n="29"/>
<lb/>queste violenze non si può vedere quel che operi la figura, e se 
<lb/>tal’esempio valesse, varrebbe anco contro la natura, che spesso
<lb/>viene violentata, &amp; in tutti questi esempi si vedrà la diversità 
<lb/>dell’operare in diverse figure, secondo il più, o men veloce. 
<lb/>In quanto poi a quello, che si dice tanto andare al fondo una 
<lb/>tavoletta quanto una palla, quando saranno poste nell'acqua, 
<lb/>&amp; esser poste nell’acqua intende secondo la diffinizione del luogo 
<lb/>data d’Aristotile esser circondata dall’acqua, e che la tavoletta 
<lb/>non si può dir posta nell’acqua, ma sopra l’acqua, non essendo 
<lb/>ella circondata dall’acqua, Si risponde, che il ricercare 
<lb/>se l’Ebano quando non è bagnato sia sopra l’acqua, o nell'acqua, 
<lb/>non fa al proposito di quel che si ricerca, perche si tratta, 
<lb/>che cosa sia quello, che lo fa galleggiare quando non è bagnato; 
<lb/>oltracciò lamentandosi l’Autore de gli avversari, che 
<lb/>posando l’Ebano non bagnato sopra, e non nell’acqua, possono 
<lb/>anche quelli ricercare da lui, perche bagnato l’Ebano non 
<lb/>si posi nell'acqua, cioè nella superficie, ma sotto la superficie 
<lb/>dell’acqua; Diciamo dunque che questi sono rispetti relativi, 
<lb/>e differenze di luogo, che non tolgono l’essere una cosa nel luogo, 
<lb/>che essere in luogo, parlando però propriamente del luogo, 
<lb/>si può intendere in quattro modi, o in quiete naturale, 
<lb/>cioè, quando il mobile si quieta naturalmente, o in quiete fuor 
<lb/>di natura, quando il mobile si quieta per essere impedito, 
<lb/>o nel moto naturale, quando si muove al proprio luogo, o nel 
<lb/>moto violento, quando è del proprio luogo cacciato; Hora l’Ebano, 
<lb/>o vero il Quattrino si dice essere in luogo mentre che è 
<lb/>nell’acqua fuori della natuta sua; perche se l’acqua, che sostiene 
<lb/>tal solido non fusse luogo di quella parte, che tocca, ne seguirebbe, 
<lb/>che quella parte contenuta dall’acqua non fusse in 
<lb/>Iuogo, cosa pur troppo assorda. Quello poi, che l'Autore aggiugne 
<lb/>dover essere il luogo della medesima natura, cioè, tutto 
<lb/>Aria, o tutto Acqua, si vede nella natura il contrario che la 
<lb/>terra è parte circondata dall’Aria, parte dall’Acqua, come, &amp; 
<lb/>altre cose patiscono il medesimo. Quello poi, che l’Autore 
<lb/>soggiugne, che la medesima figura piana non possa essere hora 
<lb/>causa di quiete, e hora di tardanza di moto; Si risponde, che 
<lb/>il solido molto dilatato perde della sua forza, e sopra di lui 
<lb/>l’acquista di modo il mezzo, che lo sostiene, e ferma, il che non
<lb/>avvenendo in molti per non essere molto dilatati, dividono il 
<lb/>mezzo, e tanto più velocemete, o più tardamente si muovono, 
<pb n="30"/>
<lb/>quanto sono più, o meno atti a dividere il mezzo resistente; onde 
<lb/>si vede nell’acqua stessa altri corpi galleggiare, altri andare
<lb/>al fondo, chi più presto, e chi più tardi secondo la maggiore, 
<lb/>o minore estensione, tal che la figura giova alla quiete, &amp; 
<lb/>alla tardanza secondo diversi modi, e rispetti. dice di poi, eleggasi 
<lb/>un legno, o altra materia, della quale una palla venga dal 
<lb/>fondo dell’acqua alla superficie più lentamente, che non và al 
<lb/>fondo una palla d’Ebano della stessa grandezza; si che manifesto 
<lb/>sia, che la palla d’Ebano più prontamente divida l’acqua 
<lb/>discendendo, che l’altra ascendendo, e sia tal materia per esemplo 
<lb/>il legno di noce. facciasi dipoi un’assicella di noce simile, 
<lb/>ed eguale a quella d'Ebano, degli avversari, la qual resti a galla; 
<lb/>e se è vero, che ella ci resti mediante la figura impotente 
<lb/>per la sua larghezza a fender la crassizie dell’acqua, l'altra di 
<lb/>noce senza dubbio alcuno posta nel fondo, si dovrà restare 
<lb/>come manco atta per lo medesimo impedimento di figura a dividere 
<lb/>la stessa resistenza dell’acqua. Rispondo secondo il 
<lb/>Maestro del Galilei, che l’acqua scaccia in sù le cose più 
<lb/>leggieri d'essa, e però la figura non havendo nessuna natura 
<lb/>in suo aiuto non può fare la quiete, come la fa nelle cose più 
<lb/>gravi d’essa acqua havendo il mezzo cooperante per non dividersi. 
<lb/>Rispondo di più, che secondo il Gallilei ogni solido penetra 
<lb/>l’acqua; onde sarà necessario prelevare il vacuo, che l'acqua 
<lb/>sottentri alle cose leggieri, e le mandi in sù per coltello, il 
<lb/>che non interviene nelle cose più gravi dell'acqua. Rispondo 
<lb/>anco che la cosa leggiera non può stare nel fondo per qualunque 
<lb/>commozione, che si faccia nell’acqua nel intrare il 
<lb/>corpo, e poi nel ritornare l'acqua nel proprio luogo, le quali 
<lb/>parti cercano riunirsi, non così nella parte di sopra per ragione 
<lb/>della siccità. 
<lb/>Segue l’Autore, che dell'andare a fondo la tavoletta d’Ebano, 
<lb/>o la sottil falda d'oro, ne è cagione la sua gravità maggiore 
<lb/>di quella dell'acqua, e del galleggiare la sua leggierezza, la 
<lb/>quale per qualche accidente forse sin hora non osservato si venga 
<lb/>a congiungere con la medesima tavoletta, rendendola non 
<lb/>più come prima era, mentre si profondava più grave dell'acqua, 
<lb/>ma meno, e tal nuova leggierezza non può dependere 
<lb/>dalla figura, si perche le figure non aggiungono, o tolgono il 
<lb/>peso; si perche nella tavoletta non si fà mutazione nessuna 
<lb/>nella figura, quando ella và al fondo da quella, che l'haveva 
<pb n="31"/>
<lb/>mentre galleggiava. Qui si contengono più dubbi, che parole; 
<lb/>Primo già si è dimostrato, che anco le cose più gravi dell' acqua 
<lb/>galleggiano in essa, onde non è vero, quel che si dice, 
<lb/>che ne sia cagione la leggerezza, la quale meglio si diceva minor
<lb/>gravezza, quell’accidente poi, che si dice sin hora non osservato; 
<lb/>Dall’Autore, forse, non è osservato, ma gli altri fanno 
<lb/>esserne cagione la figura, la quale assolutamente non muta 
<lb/>il peso, ma che ella non trattenga la tavoletta, si niega, e tocca 
<lb/>a lui provarlo; il che non fece, si come si è dimostrato, e però 
<lb/>pete il principio il Galilei nostro, e per dare in questa parte 
<lb/>qualche sodisfazzione, quando si dice, che la figura non dà, 
<lb/>ne toglie peso, bisogna avvertire, che il peso si può intendere
<lb/>in due modi, o alquanto della gravità del corpo in se stesso, 
<lb/>alla quale non importa la figura, perche un corpo sotto qual 
<lb/>sivoglia figura sarà sempre del medesimo peso, o vero in quanto 
<lb/>al mezzo rispetto il quale la figura senza dubbio fa riuscire 
<lb/>il corpo più, o meno grave, perche se sarà di figura Sferica, 
<lb/>toccherà a poca parte del mezzo sostenerlo, ma se sarà di 
<lb/>figura piana, sarà da più parti sostenuto, e per questo sarà men
<lb/>grave in questa, che in quella figura; non altrimenti che più 
<lb/>huomini da un medesimo peso vengono meno aggravati, che 
<lb/>i pochi. Dice di poi esser falsa la dottrina d’Aristotile, e de 
<lb/>gli Avversari, cioè, che la tavoletta resti a galla per la impotenza 
<lb/>di fendere, e penetrare la resistenza della crassizie dell’ 
<lb/>acqua, perche manifestamente apparirà le dette falde non solo 
<lb/>haver penetrata l'acqua, ma esser notabilmente più basse, 
<lb/>che la superficie di essa; Si risponde, che non si farà quant’al
<lb/>presente differenza nessuna tra lo spingere, &amp; il penetrare, se 
<lb/>bene alcuni la fanno, havendo opinione, che il Quattrino, o 
<lb/>l’Ebano più tosto faccia l’acqua essere spinta in giù, che penetrata, 
<lb/>ma questo poco importa', perche si chiama galleggiare 
<lb/>il rimanere sù l’acqua, cioè non profondandosi il corpo 
<lb/>sotto l'acqua, per la qual causa non già si niega mai il subintrare 
<lb/>alquanto secondo le parti il corpo galleggiante per ragione 
<lb/>della maggiore, o minore partecipazione terrena, che 
<lb/>ricerca proporzionate parti del mezzo a sostenere le parti 
<lb/>terrestri; altrimenti si negherebbe anco, che i legni stiano su 
<lb/>ľacqua; poiche anco quelli subentrano secondo le parti nell' 
<lb/>acqua. Ma sia di grazia la nostra Disputa del galleggiare, il 
<lb/>che vuol dire non profondarsi tutto il corpo sott'acqua, va di 
<pb n="32"/>
<lb/>poi dicendo, ma se ella ha già penetrata; &amp; vinta la continuazione 
<lb/>dell'acqua, &amp; è di sua natura della medesima acqua più 
<lb/>grave, per qual cagione non seguita ella di profondarsi, ma si 
<lb/>ferma, e si sospende dentro a quella piccola cavità, che co’I suo 
<lb/>peso si è fabbricata nell'acqua? Rispondo; Perche nel sommergersi 
<lb/>sin che la sua superficie arriva al livello di quella 
<lb/>dell’acqua, ella perde una parte della sua gravità, e'l resto poi 
<lb/>lo va perdendo nel profondarsi, &amp; abbassarsi oltre alla superficie 
<lb/>dell'acqua, la quale intorno intorno le fa argine, e sponda, 
<lb/>e tal perdita fa ella mediante il tirarsi dietro, e far seco discendere 
<lb/>l’aria superiore, &amp; a se stessa, per lo contatto aderente, 
<lb/>la qual Aria succede a riempiere la cavità circondata da gli 
<lb/>arginetti dell’acqua, non è la sola lamina, o tavoletta d’Ebano, 
<lb/>o di ferro, ma un composto d’Ebano, e d’Aria, dal quale 
<lb/>ne risulta un solido non più in granità superiore all’acqua, come 
<lb/>era il semplice Ebano, o’l semplice oro. Per risposta dirò, 
<lb/>come l’Autore si fida troppo nell’Aria, refugio troppo debole, 
<lb/>e pur sa, che la natura non se ne cura troppo, che l’Ebano, 
<lb/>o il Quattrino, o altre cose simili stiano a galla, essendo 
<lb/>questo effetto della volontà, o vero Arte, che spesso si oppone 
<lb/>alla natura con questo, che anco la imita, per il che la natura 
<lb/>non harebbe dato all'Aria tal proprietà contro il suo ordine, 
<lb/>e contro la natura dell'Aria istessa di sostener sù l'Acqua 
<lb/>le parti terrestri, e che sia contro la sua natura è manifesto, 
<lb/>poi che l'Aria più conviene per ragione dell'humidità con 
<lb/>l’Acqua, che con la Terra contraria a essa tanto nella qualità 
<lb/>attiva, come passiva, onde la Terra più tosto sarebbe scacciata, 
<lb/>che ritenuta, come impedimento dell’ordine della natura, 
<lb/>diamolo dunque alla resisteza dell’Acqua, dove meglio 
<lb/>si vede la prudenza della natura, che vuole unite le parti, come 
<lb/>le fece, e non separate. Non si niega il tenere dell’Aria 
<lb/>per ragione della resistenza, perche tal modo veramente è naturale, 
<lb/>ma ben si niega il tenere per contatto, poiche oltra le 
<lb/>dette esperienze in principio è pure chiaro, che levata la contiguità 
<lb/>d’alcuni solidi che galleggiano con qualche cosa fluida 
<lb/>non si vedono profondarsi anche che sia il fluido più grave 
<lb/>dell’Acqua, e non si vede con gli occhi nostri, che alcune figure 
<lb/>quanto più entrano nell'Acqua, tanto maggiormente si sostengono, 
<lb/>e pure dovrebbe essere il contrario; poi che si sminuiscono 
<lb/>le forze dell’Aria. Ne gli arginetti per essere di minore 
<pb n="33"/>
<lb/>quantità d'Aria, e per consequenza di minore virtù.
<lb/>Nell’Ebano galleggiante appariscono tre cose, la prima, che 
<lb/>alquanto discende, la seconda, che fa sponde, la terza, che non 
<lb/>si sommerge; hora ricerca la causa della terza apparenza, massimamente 
<lb/>essendosi così affondato, e dice essere l’Aria contenuta 
<lb/>in quella cavità, che si fa tra l’Ebano, e gli Arginetti. 
<lb/>Contra a questo argumento così; Nel modo medesimo tocca 
<lb/>l'Ebano l'Aria innanzi, che si profondi, che doppo fatti gli 
<lb/>arginetti, ma innanzi non lo sostiene, dunque ne anche doppo 
<lb/>si può dir, che l’Aria toccante gli arginetti sostenga l’Ebano; 
<lb/>perche non lo tocca, adunque non lo tiene, ne si può dir, che 
<lb/>quest’Aria rinforzi quella, che tocca l'Ebano; perche in simili 
<lb/>corpi l’una parte non rinforza l'altra havendo ciascuna la 
<lb/>sua perfezzione per natura, e senza nessuna varietà non variandosi
<lb/>la natura. Diciamo dunque, che l’Ebano discende alquanto, 
<lb/>perche le prime parti dell’Acqua non sono bastanti 
<lb/>a sostenere quel peso. E però si ricerca più copia di Acqua 
<lb/>tanto, che lo sostenga, il medesimo interviene a legni, &amp; altri 
<lb/>simili sostenuti dall'Acqua, che li circonda attorno. Li arginetti 
<lb/>poi si fanno, perche occupando l'Ebano quella parte di 
<lb/>Acqua: bisogna, che tanta ne salga, quanta è stata l'entratura 
<lb/>d’esso; onde quanto più s’assottiglierà l’Ebano, tanto meno 
<lb/>s'alzeranno le sponde, e non voglio tacere, che l’Acqua
<lb/>non trascorre per quella tavoletta, perche fugge la siccità sua 
<lb/>contraria, come si vede l'Acqua alzarsi versata nella Terra secca,
<lb/>e correre per la bagnata, concludiamo dunque che l'Ebano 
<lb/>non si sommerge per la ragione della figura, nel modo, che 
<lb/>si è detto innanzi. Quello poi che dice, che dell’Aria, e dell' 
<lb/>Ebano, se ne fa un composto, doveva prima a simil composto 
<lb/>trovargli nome, e mostrare come per il solo contatto si faccia 
<lb/>composizione, e pur io credevo, che la composizione dell'Aria, 
<lb/>e della Terra non fusse in altro, che nel misto, nel quale 
<lb/>concorrono i restanti due Elementi a produrlo tutti insieme, 
<lb/>i quali doppo la pugna ridotti in una contemperanza, e per
<lb/>essa in una concordanza, ancorche siano contrarii, e per un rispetto 
<lb/>inimici, per un altro divengono poi amici; In questa 
<lb/>guisa dice Ermino nelle sue Quistioni Fisiche, che nella medesima 
<lb/>parte di corpo si ritrovano gli Elementi contrari; ma che 
<lb/>sia un’altro modo nvovo di composizione tra l'Aria, e la cosa 
<lb/>terrea, e massimamente rimanendo l'una, e l'altra cosa nel suo
<pb n="34"/>
<lb/>essere, non credo si potrà mai immaginare, perche Aristotile 
<lb/>nel secondo delle parti de gli animali pone tre modi di composizione, 
<lb/>una de gli Elemenri nel misto, l'altra delle parti similari, 
<lb/>e la terza delle dissimilari, poi nel dichiararli in quel 
<lb/>luogo, non fa mai menzione alcuna di questa nuova composizione, 
<lb/>ne meno niuno de gl’Interpreti suoi nel distinguerla 
<lb/>ne’tre modi, cioè di potenza, e d'atto, e di cose perfette, le 
<lb/>quali, o si fanno per aggiunzione, o per mistione, o per mescuglio, 
<lb/>o vero secondo la concorrenza delle parti discrete in 
<lb/>un fine, come la Città, che si compone di Cittadini, e l’universo 
<lb/>delle sue parti, se bene che sia tale detta impropriamente 
<lb/>composizione; E che questa cotal composizione non sia, dimostriamolo
<lb/>in poche parole, perche nella composizione, e 
<lb/>qualche unione, è necessario, che consideriamo quattro cose; 
<lb/>cioè la causa, le parti, il fine, e'l tempo; Quanto alla causa 
<lb/>non si ritrova, perche chi le compone? le parti? come possono 
<lb/>convenire insieme, essendo in tutto, e per tutto contrarie? 
<lb/>il fine? che deve esser comune alle parti, mediante la composizione 
<lb/>dov'è? se una tiene, e l’altra stà a galla? queste non sono 
<lb/>diverse? il tempo? se non si può mai l'Aria disgiugnere dalla
<lb/>tavoletta per non darsi il vacuo, ove si ritrova? Diciamo
<lb/>dunque non essere composizione veruna tra l'Aria, e la tavoletta.
<lb/>Dice l'Autore più di sotto esser falso, che la tavoletta vada 
<lb/>al fondo in virtù del nuovo peso, perche l’Acqua nell'Acqua 
<lb/>non ha gravità veruna. Si risponde, che l’Acqua non porti 
<lb/>gravità, si può intendere in due modi, o immediatamete, cioè
<lb/>quando l'Acqua con l’Acqua è unita e così sarà vera la proposizione; 
<lb/>perche la naturale inclinazione è desiderio del proprio 
<lb/>luogo conseguitolo si quieta, e per conseguenza non aggraverà 
<lb/>più innanzi, si come il saziato non desidera piu il cibo, 
<lb/>come nota Simplicio, è pur vero, che l'Elemento nel suo 
<lb/>luogo aggrava secondo l’attitudine, e così intese Aristotile 
<lb/>quando disse, Che tutti gli Elementi fuor che il fuoco aggravano 
<lb/>nel proprio luogo, male inteso, e peggio ripreso da Tolomeo. 
<lb/>O s’intende la proposizione mediante un altro corpo, 
<lb/>e così riuscirà falsa, perche a questo modo non meno aggrava 
<lb/>l'Acqua nell'Acqua, che qualsivogiia altro corpo; e per 
<lb/>tanto si sommerge il vaso, havendo dentro Acqua, come se haveste 
<lb/>piombo, o sasso, e la ragione forse è questa; perche tal 
<pb n="35"/>
<lb/>caso la gravità del vaso, e la gravità dell'acqua diventa una 
<lb/>gravità, che supera quella dell'Acqua, nella quale per questa 
<lb/>causa si profonda. Replica l'Autore, che non è la gravità dell'
<lb/>Acqua contenuta dentro al vaso quella, che lo tira al fondo, 
<lb/>ma la gravità propria del rame superiore alla gravità in specie 
<lb/>dell’acqua, che se il vaso fusse di materia men grave dell’ 
<lb/>acqua, non basterebbe l’Oceano a farlo sommergere. Replico 
<lb/>anch'io non esser vero, che la gravità propria del rame lo 
<lb/>tiri al fondo, perche rispetto l'estensionè, &amp; assottigliazione 
<lb/>del solido fatta dall'Artefice s’è in tal modo indebolita la forza, 
<lb/>che non può sommergersi, e così il più forte per natura è 
<lb/>diventato per arte più debole, aiutato poi dalla gravità dell' 
<lb/>Acqua infusa subito comincia a profondarsi, si che parte per 
<lb/>essere spinto in giù dall’acqủa, come alieno dalla natura acquea, 
<lb/>parte per essere in moto per il qual più aggrava, &amp; anche 
<lb/>per mutare la figura descende più presto, e non avvien questo 
<lb/>nella materia notabilmente meno grave dell'acqua, perche 
<lb/>si come l’acqua spigne in giù le cose più gravi, così caccia 
<lb/>in sù le cose più leggiere, tanto per evitare il vacuo, quanto 
<lb/>per il desiderio dell'unione, dove notabil cosa è il vedere nel 
<lb/>medesimo corpo una pugna di chi lo spigne, e di chi resiste, 
<lb/>ma se la materia sarà poco meno grave, e che per esperienza 
<lb/>vada al fondo, come io ho sentito da molti degni di fede, che 
<lb/>i legni da navigare in Germania collegati con chiodi di legni, 
<lb/>e senza ferro veruno pieni di acqua vanno al fondo, io non vi 
<lb/>saperei trovare altra ragione, che quella del Signor Buonamico; 
<lb/>Quanto alle più gocciole, che havendo maggior gravità 
<lb/>d'una sola non mandono al fondo la tavoletta, e che l’una 
<lb/>bagnando tutta la superficie della tavoletta l'affonda; fu risposto 
<lb/>innanzi, e però si dice, che non fa la maggior gravità 
<lb/>al profondare il solido, ma il trascorso dell’acqua sopra esso 
<lb/>lo fa andare in giu; perche quelle gocciole matenendosi qualche 
<lb/>poco di siccità sopra la tavoletta, non la manderanno mai 
<lb/>al fondo. Et e da considerare come l’Autore all’opposizione, 
<lb/>che ha dato contra la risposta, che la tavoletta bagnata 
<lb/>andassi al fondo per il desiderio delle parti superiori dell'acqua 
<lb/>d'unirsi con l'inferiori, non fu vero, che se concludesse la 
<lb/>risposta delli Avversari anco le inferiori parte d'acqua spignerebbono 
<lb/>in sù la tavoletta, perche l'acqua per sua natura 
<lb/>non ascende mai; oltre che le parti hanno bisogno del tutto
<pb n="36"/>
<lb/>e non il tutto delle parti, massimamente che le parti Elementari 
<lb/>rimanendo in più perfezzione, che le parti degli Animali, 
<lb/>non sono tanto desiderosi del tutto; perche senza quello 
<lb/>godono le loro operazioni perfette, e però il tutto non ricerca 
<lb/>le sue parti rimanendo anco questo perfetto senza quelle 
<lb/>per la mcdesima ragione.
<lb/>Forse alcuno di quei Signori, &amp;c. Innanzi che risponda, notisi 
<lb/>che i principi messi dall’Autore nel principio del suo Trattato 
<lb/>saranno di poco valore, perche se l’Aria ritiene le cose 
<lb/>più gravi dell'Acqua, la conclusione non è per se, ma per accidente, 
<lb/>ma principii d’Archimede parlano per se, adunque 
<lb/>è difettosa l'opera del Galileo, e più tosto contraria a’ 
<lb/>principii che favorevole. L’Autore in questa materia va dimostrando 
<lb/>la retenzione dell’Aria con tre esempi, il primo è, 
<lb/>che una palla di cera asciutta và a galla, e bagnata va al fondo, 
<lb/>e di poi sollevata dall’Aria del'bicchiere spinto in giù rivolto 
<lb/>sta a galla. Per risposta s’ha da notare contro l’Autore; 
<lb/>Primo, che egli non vuole, che l’Aria operi sù corpi bagnati, 
<lb/>e hora dice, che l’Aria porta in su la palla bagnata; 
<lb/>Secondo erra volendo, che l'Aria sola la porti in sù, e pur è tale 
<lb/>effetto appartiene principalmente all’Acqua, che muovendosi 
<lb/>muove le cose in essa, anzi l’Aria si porta dalla Terra, e 
<lb/>non porta la terra. Terzo noi disputiamo se l’Aria per contatto 
<lb/>sostiene, &amp; egli va mostrando, che porta per moto; Quarto, 
<lb/>che la palla bagnata va al fondo per esser bagnata, e pure 
<lb/>parendo miracolo che ritornando dal fondo non habbia ad 
<lb/>essere bagnata, non rende la ragione di tale effetto, e pure poteva 
<lb/>dire non essere più interamente bagnata. Quinto equivoca 
<lb/>nel dire, che la medesima Aria la porti in sù, perche se 
<lb/>intende dell’Elemento, questo è il medesimo, se intende della 
<lb/>parte, come lo può sapere? ne si può conoscere una parte dal 
<lb/>l'altra in tanta quantità d’Aria mescolata, ma tralasciando
<lb/>tale esame, &amp; venendo alla Causa dico: Che ogni corpo nel 
<lb/>muoversi, se vince l’impedimento, che trova innanzi, lo porta 
<lb/>seco; altrimenti resta impedito, e fermo, perche adunque
<lb/>spignendo in giù il bicchiere si caccia dal proprio luogo tanta 
<lb/>quantità di Acqua quanta importa la grandezza del bicchiere, 
<lb/>e l’Aria contenuta in esso nel trarre fuori il bicchiere, 
<lb/>ritorna l'Acqua al luogo suo, e l’Aria anch’ella ricerca il suo, 
<lb/>e così mandono per violenza in sù la palla, come anche possono
<pb n="37"/>
<lb/>mandare il bicchiere in sù, se non si rivolta per coltello.
<lb/>Il secondo esempio è, che se tufferemo nell'Acqua qualche 
<lb/>corpo, nel trarlo fuora ella lo seguita; Si risponde che l’Acqua 
<lb/>non seguita quel corpo per ragione del contatto, ma perche 
<lb/>havendo quel corpo per quanto è la sua grandezza, levato 
<lb/>l'Acqua dal proprio luogo necessario è che ritirandosi l'Acqua 
<lb/>sottentri, acciò non resti il vacuo, oltre che questo non fa 
<lb/>a proposito disputandosi solo, come l’Aria sostenga, anzi tale 
<lb/>esempio haverebbe dimostrato, come l'Acqua tiene, se per il 
<lb/>contatto un corpo tenga l'altro, e pure l’Autore attribuisce 
<lb/>all’Aria il tenere per ragione del contatto, e lo niega dell'Acqua, 
<lb/>se bene più difficilmente, si separano i corpi dall'Acqua, 
<lb/>che dall’Aria, perche li sarebbe forse pericolo di levare la 
<lb/>contiguità in universale, ma non nell'Aria, poiche subito toccherebbe 
<lb/>l’Acqua, come l’Aria tocca l'Aria ne' moti non solamente 
<lb/>ritenendo, ma di più spingendo, in che adunque tal 
<lb/>esempio gli può giovare? e che vuole concludere? 
<lb/>Il terzo esempio è de' corpi solidi, li quali se saranno di superficie 
<lb/>in tutto simili sì che esquisitissimamente si combacino 
<lb/>insieme, ne tra di loro resti Aria, che si distragga nella separazione, 
<lb/>e ceda sì che l'ambiente succeda a riempire lo spazio 
<lb/>saldissimamente stanno congiunti ne senza gran forza si separano: 
<lb/>Si risponde primo, che la Disputa è dell’Aria contigua 
<lb/>al solido, e non di due solidi, che separandosi difficilmente, 
<lb/>non però ne segue, che si separi con la medesima difficoltà 
<lb/>l’Aria dal solido, come si vede chiaramente per esperienza, 
<lb/>oltre che ne questi solidi per tal difficoltà uno toccando l'altro 
<lb/>lo sospende, ma ben lo trattiene alquanto fin che per moto, 
<lb/>che ha bisogno di tempo entra l’Aria per pericolo del 
<lb/>vacuo, overo della contiguità universale; E ben vero che può 
<lb/>assai qualche simiglianza, dalla quale nasce l'amor naturale 
<lb/>nella natura, e segno manifesto è, che non in tutti li contigui 
<lb/>esquisitissimamente si fa tale difficoltà, e pure da tutti è desiderata 
<lb/>nel medesimo modo la contiguità universale; Basta 
<lb/>che tra l’Aria, e'l solido non interverrebbe tal pericolo, ne è 
<lb/>nessuna simiglianza, &amp; anche che fosse niente fa al proposito 
<lb/>nostro. Ma questo appartiene ad un’altra materia. Dice l'Autore. 
<lb/>Ma perche l’Aria, l’Acqua, e gli altri liquidi molto speditamete 
<lb/>si adatta a quella de' solidi senza, che altro resti tra 
<lb/>loro, però più manifestamente, e frequentemente si riconosce
<pb n="38"/>
<lb/>in loro reffetto di questa copula, &amp; aderenza, che ne corpi
<lb/>duri, le cui superficie di rado concludentemete si congiungono, 
<lb/>A questo diciamo, che se la contiguità meglio si fa tra corpo
<lb/>liquido, e solido, che tra due solidi, si staccherà senza dubbio 
<lb/>più difficilmente un solido dall’Aria, che da un’altro solido, 
<lb/>e pure la sperienza è in contrario, conforme alla ragione 
<lb/>che non vuole essere salda la copula del corpo non saldo. Quello 
<lb/>poi, che si dice della virtù calamitica con salda copula congiungere 
<lb/>tutti i corpi, non si può udire senza maraviglia, che 
<lb/>sia tanto la virtù calamitica, diffusa, e comunicata quasi a tutto 
<lb/>l’universo; oltre che la Calamita tira da lontano il ferro, 
<lb/>non così l'Aria il solido, che secondo l’Autore congiunta lo 
<lb/>tiene, &amp; in questo proposito mi sovviene di Blemida, che nella 
<lb/>Parafrasi Politica disse, il tenere della calamita essere come 
<lb/>fine del tirare, come quello, che tira ha per fine il godere
<lb/>la cosa tirata. Segue l'Autore, e chi sa, che un tal contatto 
<lb/>quando sia esquisitissimo non sia bastante cagione della unione, 
<lb/>e continuità delle parti del corpo naturale?
<lb/>Io vorrei, che mi si dichiarasse, che differenza si faccia tra 
<lb/>squisitissimo contatto unione, e continuità; Primieramente 
<lb/>continuo, e contiguo non è l'istesso, e due corpi, ancorche esquisitissimamente 
<lb/>contigui non si diranno mai continui, che 
<lb/>solo sono quelli, che hanno le parti unite con termine comune, 
<lb/>quali non sono i contigui, come può dunque la contiguità 
<lb/>essere causa della continuità? oltre a ciò, chiamisi ancorche 
<lb/>impropriamente esquisitissimo contatto nelle cose continue, 
<lb/>Che differenza sarà tra esso, l'unione, e la continuità? 
<lb/>Saranno senza dubbio tutt’uno, percioche non sarà mai uno
<lb/>causa dell'altro. 
<lb/>Diciamo dunque, che potendosi questa parola Uno pigliare 
<lb/>in tre modi spettanti al proposito nostro, per tralasciare hora 
<lb/>l’equivoco, e la ragione, o secondo il genere, o secondo la 
<lb/>spezie, o secondo il numero, si come il genere unisce le spezie 
<lb/>tra loro differenti, e la spezie gli individui, così la forma 
<lb/>corporea unisce le parti del corpo fra di loro separate con maggior 
<lb/>perfezzione, che non fa ne la spezie, ne il genere; Onde
<lb/>la parte, che si separa dalla forma non si dirà già mai essere 
<lb/>parte del tutto, e la ragione è manifesta, ne fa al proposito 
<lb/>nostro. 
<lb/>Ecco l'Autore intorno alla resistenza pare contradire a se medesimo 
<pb n="39"/>
<lb/>parte negando la resistenza quanto alla quiete, ma non 
<lb/>quanto alla tardità, e parte negandola in tutto, e per tutto, 
<lb/>come si vede in qualcuno di questi suoi esempi, ma se l’Acqua 
<lb/>non camina su l’Acqua ne descende per l’Acqua, ne si divide 
<lb/>da se, ne si muove al moto d’altrui è necessario concedere che 
<lb/>si divide per violenza, e pur chi non sa, che niun corpo desidera 
<lb/>la propria divisione? essendo ciascuno fatto dalla natura 
<lb/>non diviso, ma continuo. E’l contrario allora è perfetto, q
<lb/>uando ha le sue parti unite. Stando adunque la cosa così 
<lb/>non è dubbio, che chi volesse dividerlo, esso resisterebbe al dividente, 
<lb/>e cederebbe allora, quando fosse da forze maggiori 
<lb/>superato: perche cede veramente, non havendo però mancato 
<lb/>di fare quanto ha potuto, per ritardare almeno la vittoria 
<lb/>al nimico. E tanto più resiste nel combattere, quanto è più 
<lb/>denso. E si vede ancora per esperienza, che quando si spigne 
<lb/>con la mano l’Acqua in giù, si sente qualche resistenza, la quale 
<lb/>non si sentirebbe; se le parti cedessero solamente, e non resistessero, 
<lb/>come anche il medesimo avviene a chi va contro al 
<lb/>vento, o a chi fende la terra. 
<lb/>Ma torniamo alle ragioni del Galilei, che impugnano la 
<lb/>resistenza del mezzo, delle quali la prima è, che se fosse la resistenza, 
<lb/>tanto sarebbe nelle parti interne, quanto nelle prossime 
<lb/>alla superficie. Alla quale si risponde, che la cosa meno 
<lb/>grave dell’Acqua, ancorche galleggi si sommerge in ogni 
<lb/>modo più, ò meno secondo la maggiore, o minor gravità. e 
<lb/>la stessa Acqua, secondo la maggiore, ò minor grossezza sostiene 
<lb/>più, o meno la cosa, che le stà sopra. come per esempio 
<lb/>una Nave si solleverà più nell’Acqua salata, che nella dolce. 
<lb/>come ogn’altra cosa atta a salire dal fondo, salirà più presto 
<lb/>nel Mare, che nell’Acqua dolce. Ma torniamo alla Nave, e 
<lb/>diciamo, che questo le avviene, perche la cosa, che sta sopr'Acqua 
<lb/>più, e meno vince, secondo la proporzione della gravità 
<lb/>sua in paragone di quella dell’Acqua; e sosterrà più la maggior
<lb/>quantità che la minore delle parti dell’Acqua, e però 
<lb/>sosterranno più una cosa grave le parti dell’Acqua, che sono 
<lb/>prossime alla superficie, insieme con quelle, che le sono lontane, 
<lb/>che loro sole, che potrebbono esser vinte dalla maggior 
<lb/>gravità: perche, se bene la cosa è più lieve, secondo la natura, 
<lb/>ricerca nientedimeno una certa proporzione del mezzo, 
<lb/>in proporzione della figura, e della gravità. 
<pb n="40"/>
<lb/>Il secondo argometo è, che ogni corpo nell'Acqua, se è grave 
<lb/>va al fondo, se è lieve sta a galla. adunque cede, ma non resiste. 
<lb/>Questo argomento è contro di lui. perche se delli corpi 
<lb/>più gravi dell’Acqua, che per loro natura vanno al fondo; 
<lb/>altri vanno più presto, &amp; altri più tardi, e delli corpi leggieri 
<lb/>altri s'immergono più, &amp; altri meno, ne seguirà necessariamente, 
<lb/>che si dia la resistenza; peroche se l'Acqua solamente 
<lb/>cedesse, come per termine di creanza fa al nobile il plebeo; 
<lb/>non ci farebbe causa alcuna di varietà: perche il cedere sarebbe 
<lb/>uno, &amp; indifferente.
<lb/>Adduce seguendo, l’esempio dell’Acqua torbida, nella quale 
<lb/>dice, che le materie intorbidanti stanno sei, o sette giorni 
<lb/>a discendere al fondo; Il quale esempio fa simigliantemente 
<lb/>per noi; perche, se non fosse la resistenza, quelle particelluzze 
<lb/>non starebbono tanto a discendere al luogo loro; ma vi discenderebbono 
<lb/>in un momento: perloche, quantunque il Galilei 
<lb/>si dimostri di mal’ animo contro Aristotile, pure porta 
<lb/>le ragioni sue in suo favore. Indi segue dicendo, che non si 
<lb/>potrà trovare minima virtù; che alla resisteza dell’acqua all' 
<lb/>esser divisa, non sia minore, che se fosse di qualche sensibil potere, 
<lb/>qualche larga falda si potrebbe trovare di materia simile 
<lb/>in gravità all’Acqua, la quale non solo si fermasse tra le due 
<lb/>acque; ma non si potrebbe senza notabil forza abbassare, e 
<lb/>sollevare. Si risponde a questo in due modi. Il primo per 
<lb/>contraddizione; che da cose impossibili non ne segue mai niente; 
<lb/>Impossibile è, che si ritrovi, quanto alla natura, cosa simile 
<lb/>in gravità all'Acqua, che non sia similmente Acqua. Impercioche 
<lb/>dato il medesimo effetto, ne seguirà sempre la medesima 
<lb/>causa; come per esempio data la medesima risibilità 
<lb/>all'huomo, &amp; al Leone, ne seguirà, che tanto il Leone, quanto 
<lb/>l’huomo sia ragionevole. Il secondo, che dato, e non concesso, 
<lb/>che fosse una cosa simile in gravità all’acqua, non havrebbe 
<lb/>in essa luogo diterminato, ma per tutto sarebbe il suo. 
<lb/>Ci mancava l’esempio, ch’un capello tirasse una trave per 
<lb/>acqua. ma rispondiamogli in ogni modo negando, che nella
<lb/>paura, ch’altri havrebbe, che e’ non si strappasse, non si sentisse 
<lb/>un poco di resistenza, la quale si pruova manifestamente; 
<lb/>perche, se la trave, che si tirerà havrà dalla parte, che ha da 
<lb/>fendere l'acqua la figura più larga; o si tirerà per lo traverso 
<lb/>dividerà il mezzo con maggior difficultà, che in altra guisa;
<pb n="41"/>
<lb/>si che questo argomento ancora, non fa contro Aristotile; perche 
<lb/>mossa la medesima trave secondo diversi moti, se non 
<lb/>fosse la resistenza, tanto le poche, quanto le molte parti cedendo 
<lb/>nel medesimo tempo, e nel medesimo modo non farebbono 
<lb/>più difficultà in uno, che in un altro modo. La qual differenza 
<lb/>è nota nella differente forma di un Navilio largo, e
<lb/>stretto. 
<lb/>E venendo alle sue figure Matematiche. Diciamo, che la 
<lb/>proporzione, che pruova in esse, non fa al proposito nostro; 
<lb/>perche egli piglia, per concesso in quelle la cosa, che si cerca. 
<lb/>Che è errore di Logica. La onde habbiamo di già provato, 
<lb/>che la materia, che sta sopra l'Acqua, galleggia in due 
<lb/>modi. o perche di natura è più lieve di essa; o vero perche in 
<lb/>una certa proporzionata gravità la figura la fa galleggiare. 
<lb/>E simigliantemente habbiamo provato, che quella vada al 
<lb/>fondo, che non solo eccede nella gravità, secondo la natura; 
<lb/>ma che ha ancora le forze maggiori di quelle del mezzo, e 
<lb/>le può superare in proporzione. E similmente diciamo, che 
<lb/>egli non prvova che un solido di più grave materia debba per 
<lb/>galleggiare haver l'aria che lo sostenga; come era necessario: 
<lb/>dovendo provare la sua opinione. Si conclude adunque 
<lb/>universalmente, che le parti degli Elementi, che si muovono 
<lb/>al luogo loro, lo fanno combattendo, e vincendo in maniera 
<lb/>tale, che non vincendo non lo conseguiscono mai con la propria 
<lb/>loro natura solamente impedite da maggiori forze; come 
<lb/>a un sasso sospeso a un filo avviene. però le figure sono cagioni 
<lb/>di far galleggiare quel solido, in cui le parti non sono unite, 
<lb/>e percio non possono superare il mezzo cooperante
<lb/>con esse.
<lb/>Alla fine viene il Galilei a dimostrarsi più che mai inmico 
<lb/>d'Aristotile impugnandolo, e Democrito difendendo, e dando 
<lb/>ancora contro all'uno, &amp; all’altro. Mi sforzerò adunque 
<lb/>io non di difendere Aristotile, che non ha bisogno di mia difesa, 
<lb/>ma quanto potrò dichiararlo solamente, il che farò, non 
<lb/>perche Aristotile fosse di nazion Greca, ma per la verità. impercioche
<lb/>se questa ragion valesse, nessun valente Greco nelle 
<lb/>scienze havrebbe mai contraddetto all’altro. E pur veggiamo 
<lb/>tante Dispute fatte tra loro medesimi. Perloche dico, 
<lb/>che chiunque, qual che si sia lo interesse, non pregia, e riverisce 
<lb/>la verità, non si dee veramente, il bene dello'ntelletto
<pb n="42"/>
<lb/>abbandonando, stimare huomo, ma più tosto'una mala bestia. 
<lb/>Torniamocene al nostro proposito, e consideriamo le 
<lb/>parole d'Aristotile, che sono. Le figure non sono causa del 
<lb/>muoversi semplicemente in giù, o in sù, ma del muoversi più 
<lb/>o tardi, o più velocemente. e per quali cagioni ciò avvenga, 
<lb/>non è difficile il vederlo. Il Galilei intorno a queste parole 
<lb/>dice, che Aristotile nomina le figure come cause del tardo, e 
<lb/>del veloce, escludendole dall’esser cause del moto assoluto, e 
<lb/>semplice. Ma io non veggio, che Aristotile habbia detto: 
<lb/>che le figure sian cause del moto assoluto, e semplice; ma dice, 
<lb/>che sono. A’πλωζ, cioè semplicemente cause. e la ragione 
<lb/>è chiara, perche Aristotile mai distingue i moti assoluti
<lb/>e non assoluti: ma nel retto, nel circolare, e nel misto. E 
<lb/>parla in questo testo universalmente dicendo, che le figure, 
<lb/>non sono cause da per se di niun moto. Ne meno intende, 
<lb/>che le figure siano cause del moto semplice, e non composto. 
<lb/>Ma intende universalmente di qual si voglia moto locale. E 
<lb/>venendo all’esplicazione di quella parola, semplicemente credo, 
<lb/>che ci potremo quietare nella dichiarazione d’Ammonio 
<lb/>nel Capitolo del genere. esponendola in quattro modi. cioè 
<lb/>universalmente; particolarmente, propriamente, e vanamente. 
<lb/>in questo luogo la prende Aristotile propriamente, volendo 
<lb/>dire, che'l moto proceda dall’essenzia della cosa, e non 
<lb/>dalla figura, come altri havevano detto, seguendola in quella 
<lb/>guisa, che fa l'ombra il corpo: essendo essa accidente, cioè 
<lb/>ente imperfetto. E per questa cagione non può produr moto; 
<lb/>però che tale opera appartiene alla natura. Anzi essendo 
<lb/>il moto più perfetto della figura, ella non può esser causa 
<lb/>efficiente d'un effetto più nobile di se; però questa serve alla 
<lb/>natura a produrre tale effetto, come all’Architetto servono 
<lb/>gli strumenti all’opera. E si nobile è il moto, che rappresenta 
<lb/>quasi la natura, che lo fa. Onde non senza ragione gli antichi 
<lb/>Filososi chiamarono i moti termini delle nature: percio 
<lb/>che si come i termini separano le cose tra loro, così i moti distinguono 
<lb/>le nature. La figura adunque non fa altro, che concorrere 
<lb/>più, o meno alla intenzione del proprio motore per 
<lb/>la maggiore, o minor resistenza, come habbiamo detto. Però 
<lb/>conclude Aristotile che la diversità de' moti secondo il più, 
<lb/>o meno tempo non può procedere dalla natura essendo la stessa: 
<lb/>ma dalla diversità delle figure, in quanto sono cagioni
<pb n="43"/>
<lb/>che 'l solido più, o meno vinca. Siano adunque le figure da 
<lb/>per se cause non del moto, ma del modo, cioè del più veloce, e 
<lb/>più tardo, che si fa per la più, e meno resistenza. 
<lb/>Il Galilei segue, che se per Aristotile le figure sono cause 
<lb/>del moto più tardo, o più veloce; adunque non potranno essere 
<lb/>cause della quiete. Si risponde essere tutto il contrario; 
<lb/>che se per essere dilatate alcune figure impediscono il mobiIe 
<lb/>dal suo moto, e fanno i moto più tardo; quando saranno 
<lb/>molto dilatate lo impediranno totalmente, e saranno causa 
<lb/>di quiete, come anche si vede per esperienza, e però Aristotile 
<lb/>congiugne nel quarto del Cielo il tardo con la quiete, e li 
<lb/>referisce alla figura come causa. Ricerca poi, se alcune figure 
<lb/>fanno la quiete; adunque alcune raccolte saranno cause di 
<lb/>moto, che è contr'Aristotile. Si risponde che non ci è conseguenza, 
<lb/>perche le figure non per se sono cause di moto, ma 
<lb/>di modo, cioè più veloce, e più tardo; &amp; anche da per se sono 
<lb/>cause della quiete in quanto il più forte per natura, per estensione
<lb/>lo fanno più debole, &amp; il superante superato. 
<lb/>Va ancora investigando l'Autore se quella parola, semplicemente; 
<lb/>si debba congiugnere con la parola, causae, o vero 
<lb/>col verbo, ferantur. A questo diciamo, che si ha da congiugnere 
<lb/>con la parola, ferantur, dove la pone Aristotile, ma ancorche 
<lb/>si congiugnesse con la parola, causae, non farebbe niente 
<lb/>in favor suo. perche Aristotile come habbiamo detto, dalla 
<lb/>diversità delle figure conclude il più, o meno veloce moto.
<lb/>Onde se le figure si dessero quali appartengono a gli Elementi, 
<lb/>aiuterebbono elle bene il moto loro, inquanto la cosa mossa 
<lb/>dee havere quantità figurata. Ma perche in tal caso sono 
<lb/>indifferenti, la indifferente natura seguendo, non vengono a 
<lb/>variarlo secondo il tempo. perche si come da indifferenti cagioni 
<lb/>procedono indifferenti effetti; così dalle differenti, differenti 
<lb/>effetti. 
<lb/>Dice più avanti nel suo libro il Galilei, che da Aristotile 
<lb/>nel quarto della Fisica sono attribuite le cause primarie del 
<lb/>più, e men veloce alla maggiore, o minor gravità de' mobili 
<lb/>paragonati tra di loro, &amp; alla maggiore, o minor resistenza 
<lb/>de' mezzi dipendente dalla maggiore, o minor crassizie. E 
<lb/>che la figura vien poi dallo stesso considerata più tosto come 
<lb/>causa strumentaria della forza della gravità. E che da queste
<pb n="44"/>
<lb/>cose conclude, che la figura per se stessa non farebbe ne gravità, 
<lb/>ne leggerezza. 
<lb/>La qual conseguenza diciamo esser falsa; perche Aristotile 
<lb/>nel quarto della Fisica parla di materie diverse, e nel quarto 
<lb/>del Cielo, della maggiore, o minor velocità del moto nella 
<lb/>medesima materia per la ragione delle figure. 
<lb/>Viene anco l'Autore a battaglia con Aristotile per un Ago, 
<lb/>e dubita contr’esso, perche posato leggiermente sù l'Acqua 
<lb/>resti a galla non meno, che le sottili falde di ferro, o di piombo. 
<lb/>Distrighiamoci di questa ancora dicendo in prima, che 
<lb/>il Galilei cerca tra queste cosette se alcuna ne potesse trovare, 
<lb/>per la quale gli riuscisse, corre Aristotile in qualche erro retto. 
<lb/>come per esempio, d'Ortografia, e non in cose gravi. 
<lb/>poi che il fare l’esperienza, se un Ago stà a galla, o no, è tanto 
<lb/>facile ad ogn'uno, che non sarebbe stato men facile ad Aristotile, 
<lb/>il quale volle vedere infinite, e difficili esperienze. E gli 
<lb/>intendenti della lingua Greca fanno ormai, che'l vocabolo usato 
<lb/>da Aristotile in questa materia. Bελουη. che in lingua latina 
<lb/>significa, acus, significa l'Ago da reti, il dirizzatoio de’capelli, 
<lb/>&amp; altri aghi grandi. Perche adunque il Galilei non prese 
<lb/>di questi? ma per fare la sua esperienza ne prese uno, che 
<lb/>propriamente si dee dire aghetto, o aghino, e non ago; &amp; viene 
<lb/>in tal maniera strignere Aristotile, si come non fosse altro. 
<lb/>l’Ago, che aghino, e pure Acus, significa per metafora ancora 
<lb/>aciculam, cioè, ζαφιδιου oltre che il paragone non si fa mai 
<lb/>negli estremi, ma nelle cose più prossime: e però nelle parole 
<lb/>d’Aristotile ove dice, e altre cose minori, e meno gravi; cioè, 
<lb/>de' larghi ferramenti, e piombo; che se sono ritondi, o lunghi, 
<lb/>come l'ago, vanno al fondo. Si deono adunque prendere aghi, 
<lb/>un poco minori de larghi ferramenti, e piombo, e non i 
<lb/>minimi, i quali soprannuotano nel modo, che afferma Aristotile 
<lb/>di alcune cose, per la picciolezza loro nuotano per l’Aria, e 
<lb/>l’Acqua, come la rena d’oro, e altre cose terrestri, e polverizzatte. 
<lb/>E non è dubbio, che le cose minime si sostengono più nell’ 
<lb/>acqua che nell'Aria, se non avviene qualche altro accidente. 
<lb/>Contradice ad Aristotile, perche afferma, che l’oro battuto, 
<lb/>e la rena d'oro, &amp; altre cose terree, e polverizzate nuotano 
<lb/>per l’Aria, negandone la esperienza, e dicendo nuotare 
<lb/>commosse dal vento. Al che pur si risponde, che Aristotile 
<pb n="45"/>
<lb/>in questo luogo parla figuratamente, cioè συνεκδοχιωσ nominando 
<lb/>la parte per lo tutto; perche il vento contien due parti, 
<lb/>l’esalazione, e l’Aria contigua, che è mossa per violenza. E 
<lb/>questo è modo comune di parlare; si come si suol dire, che l’Aria 
<lb/>porta alcuna cosa: perche quasi sempre nell’Aria è alcuna 
<lb/>commozione. Ma diciamola come sta ψυγμα non si chiama 
<lb/>l’oro battuto, ma la limatura, ne Aristotile di che nuoti sù 
<lb/>l’Aria, ma sù l'Acqua, come osservò Simplicio, e cosi non occorre 
<lb/>fondarsi nel vento. 
<lb/>Impugna di nvovo l’Autore la risposta d’Aristotile contr'a 
<lb/>Democrito, il quale hebbe opinione; che alcuni atomi ignei, 
<lb/>che continovamente ascendono per l’Acqua; sospingono in sù, 
<lb/>e sostengano quei corpi gravi, che sono molto larghi; e che li 
<lb/>stretti calino a basso: per la poca quantità d’Atomi, che contrasta, 
<lb/>e ripugna loro; perche rispondendo Aristotile a Democrito, 
<lb/>disse. che ciò dovrebbe più facilmente avvenire nell’Aria; 
<lb/>si come il medesimo Democrito ne muove contro di se instanza.
<lb/>ma dopo haverla mossa, la scioglie leggiermente con 
<lb/>dire, che i corpuscoli, che ascendono in Aria, fanno impeto
<lb/>disunitamente. 
<lb/>Dico, che Aristotile non ha risposto al falso scioglimento 
<lb/>di Democrito, perche era fondato sù principii falsi, cioè sù Calidi
<lb/>da’quali voleva si facessero tutte le cole, e contra quelli altre 
<lb/>volte haveva disputato Aristotile, e mostratone la vanità 
<lb/>loro, tal che sarebbe anco stato vano il trattarne più volte di 
<lb/>questi senza proposito, &amp; in vero è quella dottrina una tal pazzia, 
<lb/>che mi vergogno io, non che Aristotile a trattarne; e pure 
<lb/>poi che pare se ne tenga conto dicamisi di grazia per qual 
<lb/>cagione habbino quei calidi più forza di sostener per Acqua, 
<lb/>che per Aria? se perche vengono più uniti, ma perche più nell’ 
<lb/>Acqua s’uniscono, che per Aria? e dovunque s’uniscono, necessario 
<lb/>è che lascino un luogo, e che s’accostino all’altro; nel 
<lb/>luogo dunque lasciato non potranno haver forza di sostenere, 
<lb/>e pur la forza si vede uguale a tutte le parti; se già non vogliamo 
<lb/>dare tanto cervello a gli Atomi, che non altrimenti, che 
<lb/>soldati in battaglia vadino soccorrendo secondo il bisogno; e 
<lb/>non niego però, che potessero essere a tempo; ma digrazia usciamo 
<lb/>delle pazzie tanto espresse. Dice l’Autore, che s’inganna 
<lb/>Aristotile non avvertendo, che i medesimi corpi sono men 
<lb/>gravi nell'Acqua, che nell’Aria, e però si sosterranno più facilmente 
<pb n="46"/>
<lb/>in quella, che in questa. S'inganna ben egli doppiamente 
<lb/>prima, perche non ha inteso Democrito, il quale non 
<lb/>attribuiva il sostenere all’Acqua, ma a quei calidi solamente, 
<lb/>e però il sostenere più nell’Acqua, che nell’Aria non fa a proposito 
<lb/>di Democrito; dipoi perche non vuole la Resistenza posta 
<lb/>da Aristotile senza la quale non si può render ragione, perche 
<lb/>una cosa pesi più nell’Aria; che nell’Acqua, perche altrimenti 
<lb/>un corpo dovunque sia posto ha la medesima gravità.
<lb/>Adesso l’Aitore si sforza a confutare Democrito non stimando 
<lb/>in nessuna maniera la riprensione d’Aristotile contra Democrito; 
<lb/>onde dice che se gli Atomi caldi ascendenti nell'Acqua
<lb/>sostenessero un corpo, che senza’l loro ostacolo andrebbe 
<lb/>al fondo, ne seguiterebbe, che noi potessimo trovare una materia 
<lb/>pochissimo superiore in gravità all’Acqua, la quale ridotta 
<lb/>in una palla, o altra figura raccolta, andasse al fondo, 
<lb/>come quella, che incontrasse pochi Atomi ignei, e che distesa 
<lb/>poi in una ampia, e sottil falda, venisse sospinta in alto dalle 
<lb/>impulsioni di gran moltitudine de medesimi corpuscoli, e poi 
<lb/>tratrenuta al peso della superficie dell'Acqua: il che non si vede 
<lb/>accadere, mostrandoci l’esperieza, che un corpo di figura 
<lb/>v. g. Sferica, il quale a pena, e con grandissima tardità, va al 
<lb/>fondo, vi resterà, e vi discenderà ancora, ridotto in qualunque 
<lb/>altra larghissima figura, bisogna dunque dire, o che nell’acqua 
<lb/>non sieno tali Atomi ignei ascendenti, o se vi sono, che non sieno 
<lb/>potenti a sollevare, e spignere in sù alcuna falda di materia, 
<lb/>che senza loro andasse al fondo: delle quali due posizioni io 
<lb/>stimo, che la seconda sia vera, intendendo dell’Acqua costituita 
<lb/>nella sua natural freddezza; ma se noi piglieremoun vaso 
<lb/>di vetro, o di rame, o di qualsivoglia altra materia dura, 
<lb/>pieno d’acqua fredda, dentro la quale si ponga un solido di figura 
<lb/>piana, o concava, ma che in gravità ecceda l'Acqua cosi 
<lb/>poco, che lentamente si conduca al fondo, dico che mettendo 
<lb/>alquanti carboni accesi sotto il detto vaso, come prima i nuovi 
<lb/>corpuscoli ignei, penetrata la sustanza del vaso, ascenderanno 
<lb/>per quella dell’acqua, senza dubbio urtando nel solido sopradetto, 
<lb/>lo spigneranno fino alla superficie dell’acqua, e quivi 
<lb/>lo tratterranno, sin che dureranno le incursioni de’ detti corpuscoli, 
<lb/>le quali, cessando, dopo la suttrazion del fuoco, tornerà 
<lb/>il solido al fondo, abbandonato da' suoi puntelli.
<lb/>Intorno alle parole del Galilei è da notare, che egli primieramente 
<pb n="47"/>
<lb/>erra volendo, che la figura ampia e larga, che tocca 
<lb/>il fondo habbia da esser sollevata da qielli Atomi caldi, 
<lb/>che nell’acqua secondo l'opinione di Democrito si ritrovano 
<lb/>in pochissima quantità; perche fra la superficie della figura 
<lb/>larga, e la parte della superficie della terra, che si toccano 
<lb/>fra loro, non può esser quantità bastante a muovere tali figure
<lb/>in sù. Di poi erra perche potrebbe cofutare Dimocrito, con il 
<lb/>dire, che qualsivoglia gravità in figura dilatata, che galleggia 
<lb/>in sù l’acqua sarebbe anco sostenuta sotto la superficie dell’Acqua, 
<lb/>e di più potrebbe anco esser sollevata in alto per la medesima 
<lb/>gran quantità, che tanto sarebbe nel mezzo dell’acqua, 
<lb/>come nella superficie, poi che l'istessi in numero, che lo potrebbeno 
<lb/>sostenere in alto, lo potrebbono anco sollevare in alto. 
<lb/>Erra ponendo gli Atomi. Erra ponendo la penetrazione de' 
<lb/>corpi, Erra chiamando la caldezza corpo, Erra dicendo che il 
<lb/>caldo sostenga, del quale è proprio riscaldare, e penetrare è'l 
<lb/>sostenere de' corpi. Erra perche ancora che quelli calidi fussero 
<lb/>fuoco, ad ogni modo non potrebbono sostenere sopra di 
<lb/>loro le cose terrestri, essendo questi per natura leggieri, e quelli 
<lb/>per natura gravi. Erra mettendo il fuoco dentro all’acqua 
<lb/>senza esser mantenuto da qualche convenevole materia, Erra 
<lb/>perche vuole che sia nell’acqua fuoco senza vederlo, e senza 
<lb/>provarlo. Erra perche il fuoco movendosi ricerca il suo luogo, e 
<lb/>non resta nell’acqua, Erra perche l’acqua calda non sostiene 
<lb/>i corpi più gravi d’essa se non sia per qualche commozione. 
<lb/>Erra ponendo moto a gl’indivisibili. Erra perche tali Atomi 
<lb/>harebbono sostenuto meglio nell'Aria, che nell’Acqua, perche 
<lb/>nell’Aria non sarebbono cosi sparpagliati, come nell’acqua 
<lb/>per la contrarietà interposta, Erra mettendo il fuoco nell' acqua 
<lb/>senza essere spento, Erra perche il fuoco nell'acqua non 
<lb/>sosterrebbe, ma più tosto s’armerebbe contro l’acqua come 
<lb/>destruttiva del suo essere, Erra chiamando la caldezza Atomo 
<lb/>che si distende con la quantità del subietto, Erra perche chiama 
<lb/>indivisibilii corpi ignei. Erra ponendo l’acqua mezzo del 
<lb/>moto naturale del fuoco. Erra ponendo i corpuscoli sostenere 
<lb/>più in cima, che nel mezzo, Erra perche da al fuoco più forza, 
<lb/>che all'acqua, Erra perche l’inconveniente crede essere 
<lb/>causa contro Democrito, Erra dando alle cose indivisibili tatto. 
<lb/>Erra ponendo essere Fisico indivisibile, Erra perche quelli 
<lb/>corpuscoli abbrucerrebbono quelli corpi, e non li sosterrebbono, 
<pb n="48"/>
<lb/>Erra perche i corpirari non sostengono sopra di se 
<lb/>tali corpi gravi, ma si dividono da loro facilmente, Erra finalmente 
<lb/>per non ricercare altre minuzie dicendo, che il fuoco 
<lb/>partorisca fuoco Atomo per servizio di quelli corpi gravi. 
<lb/>Concludiamo dunque, che chi non vuole caminare alla cieca, 
<lb/>bisogna che si consigli con Aristotile ottimo interprete 
<lb/>della natura, che nel fine del quarto libro del Cielo non se la 
<lb/>passa solo con addurre un inconveniente, ma con renderne la 
<lb/>cagione bene esplicata da lui, cioè, che il tutto depende dalla
<lb/>più, e men facile divisione del mezzo. cioè, che le cose larghe 
<lb/>essendo più spaziose sono causa, che la gravità del solido si 
<lb/>appoggia in più punti, e per conseguenza accrescendo anche le 
<lb/>parti del mezzo pigliano tanta forza contro il galleggiante 
<lb/>solido, che così lo fanno flare a galla. Il contrario è nella figura 
<lb/>acuta, nella quale posando la gravità in manco punti, 
<lb/>vengono accresciute le forze di sopra, e diminvite quelle di 
<lb/>sotto, e conseguentemente vincendosi il mezzo dal solido è penetrato 
<lb/>in tutte le sue parti, e si vede per esperienza, che quanto 
<lb/>più le figure sono acute, tanto più si sommergono, e questo 
<lb/>vuole intendere Aristotile quando dice che le figure piane compredono 
<lb/>molto, donde si cava manifestamente, che la figura 
<lb/>piana non solo è causa de la tardità del moto ma d’una intera 
<lb/>quiete, questo non può intervenire all'Aria per essere molto 
<lb/>debole, anzi l'esempio che adduce l’Autore, che un legno 
<lb/>tanto vincerà l’Acqua ascendendo come l'Aria discendendo, 
<lb/>è falso: perche con questo che nel ascendere non solo è mosso 
<lb/>dall’Aria, ma anche cosi scacciato dall’Acqua, a ogni modo 
<lb/>ascende più tardi per l’Acqua, che non discende per l'Aria senza 
<lb/>comparazione veruna. e quì negherà mai che non si tagli 
<lb/>più difficilmente il corpo più sodo che il più debole, per la maggiore 
<lb/>resistenza: è falso adunque che non s’habbia a poter ritrovare,
<lb/>o imaginare virtù, della quale la renitenza dell’Acqua, 
<lb/>all’esser divisa, e distratta, non sia minore, perche la virtù 
<lb/>d’Aria è minore, e per ritornare al nostro proposito benche 
<lb/>le strisce fatte d’una falda di piombo, o d’altra materia sopranuotino, 
<lb/>ciò non è contro quello, che scrive Aristotile, perche 
<lb/>esse galleggiano per la loro picciolezza; E da questo si comprende 
<lb/>chiaramente esser falso quello, che asserisce il Galilei 
<lb/>dicendo, Che quando ben fusse vero, che la renitenza alla divisione 
<lb/>fusse la propria cagione del galleggiare, molto e molto 
<pb n="49"/>
<lb/>meglio galleggierebbono le figure più strette, e più corte, 
<lb/>che le più spaziose, e larghe. Dico esser false simili parole, perche 
<lb/>in questa parola stretto, o intende d'un corpo continuo, 
<lb/>che habbia la medesima gravità che haveva la figura piana, 
<lb/>o vero intende d’una figura stretta, che soprannuota per la piccolezza; 
<lb/>Se del primo modo, non solamente non soprannuota 
<lb/>meglio tal figura, ma ne meno soprannuota in guisa alcuna; 
<lb/>ma lui intende del secondo, come si vede nella tavola A.B.D.C. 
<lb/>e però non fa al proposito nostro, perche noi parliamo d'una 
<lb/>figura piana, e d’una raccolta, o stretta come d’un’ago, e 
<lb/>che habbino la medesima gravità in un medesimo subbietto, 
<lb/>cioè in un medesimo corpo continovo. 
<lb/>Indi si rivolge pure a esso, che confutando Democrito, argomentava 
<lb/>così. Se una gran mole d'Aria havesse maggior 
<lb/>quantità di terra, che una piccola d'Acqua. l’Aria, senza dubbio, 
<lb/>sarebbe più grave, e discenderebbe conseguentemente in 
<lb/>giù più presto dell'Acqua. Si che Aristotile vuole, che la maggior 
<lb/>parte di terra, si muova più presto della minore. Il che 
<lb/>è falso. Mostreremo noi che non è falso, ma tra tanto dicasi 
<lb/>perche più presto in giù si muova il ferro che il legno, ancor 
<lb/>che di grandezza disuguali? 
<lb/>Questa opinione posta dal Galilei fu avanti del Mazzoni mosso 
<lb/>dalle parole del testo d'Arist. che si porranno quì appresso, 
<lb/>nelle quali afferma, che più velocemete si muova il tutto, 
<lb/>che la parte, per contenere il tutto quantità maggiore. la qual 
<lb/>cosa stimando il Mazzoni errore, lasciò nel suo libro scritto; 
<lb/>che Aristotile vi cascò, per non haver conosciute le proporzioni 
<lb/>Matemathice. Per la quale inconsiderata, &amp; arrogante 
<lb/>calunnia, siamo sforzati di nvovo a prendere la dichiarazione 
<lb/>d’Aristotile. per lo che fare esamineremo prima le parole 
<lb/>del testo; e di poi dimostreremo il senso di esse. Il testo del 
<lb/>Mazzoni addotto nel terzo del Cielo è questo. E se si dividerà
<lb/>un corpo, che habbia gravità, come la linea C. E. alla linea 
<lb/>C. D. se’l tutto si muove per tutta la linea C. E. è necessario 
<lb/>che la parte si muova nello stesso tempo della C. D. la qual cosa 
<lb/>il Mazzoni dice essere per esperieza falsa, tenendo, che Aristotile 
<lb/>affermi ancora il medesimo nel quarto della Fisica con 
<lb/>quelle parole. Lo stesso corpo, e lo stesso peso; per la parola,
<lb/>stesso; che stima, che significhi lo, stesso, secondo la medesima 
<lb/>spezie, cioè, secondo la medesima materia.
<pb n="50"/>
<lb/>Risponderemo adunque al Mazzoni ancora e dimostreremo 
<lb/>in prima gli errori ch’egli ha commessi, e quindi trapasseremo 
<lb/>a far manifesto il restante. primo error del Mazzoni 
<lb/>è stato haver creduto, che Aristotile non habbia conosciute 
<lb/>le proporzioni Matematiche. Ma chi dubita, che questo sia 
<lb/>falfissimo? poi che è noto, che gli Studiosi della Filosofia attendevano 
<lb/>in que' tempi molto più alle scienze Matematiche, 
<lb/>che non fanno oggi i nostri. ne studiava già mai alcuno Logica, 
<lb/>che non havesse prima dato opera a quelle. Ma più de 
<lb/>gli altri facevano questo gli Scolari di Platone. il cui precetto 
<lb/>era, che niuno senza la scienza della Geometria entrasse 
<lb/>nella sua Scuola. Come sarà adunque credibile, che Aristotile 
<lb/>Scolare suo, il maggiore che egli havesse, vi fosse entrato senza 
<lb/>la cognizione di essa? E chi crederà mai, che huomo di si 
<lb/>eminente dottrina non l’havesse appresa? la quale imparavano 
<lb/>allora i fanciulli, come fanno hora i nostri le lettere dell’Alfabeto. 
<lb/>A confermazione di ciò si vede, che quasi in tutti i suoi 
<lb/>libri, sono sparse molte cose di Matematica, e principalmente 
<lb/>in quelli, delle Meccaniche, ne’quali egli le usò quanto giudicò 
<lb/>necessario a suoi insegnamenti. Oltracciò la proporzione 
<lb/>appartenente al nostro testo non era si difficile, che senza una 
<lb/>molto esatta cognizione di Matematiche non l'havesse potuta 
<lb/>intendere, e usare. La quale era, che data parità di proporzione 
<lb/>in cose contrarie tanto fosse, per esempio, quella del combattere 
<lb/>dodici con quattro, quanto quella di sei, con due. per 
<lb/>loche dati nella medesima materia di sasso gradi dodici di 
<lb/>gravità, e nella parte del medesimo sei, di necessità ne avvenisse, 
<lb/>che'l mezzo havesse a contrastare nella medesima proporzione. 
<lb/>E ne seguisse, che’l tutto si dovesse muovere nello 
<lb/>stesso tempo, che la parte; quando però nello esperimentarsi 
<lb/>la cosa in materia, ne succedesse tale effetto. Ma di questo ne 
<lb/>parleremo poi. E concludendo dico, che Aristotile dato, che 
<lb/>havesse negata tal proporzione in altri luoghi, non la niega in 
<lb/>questo, perche parla in altro proposito. E’l Mazzoni stesso lo 
<lb/>havrebbe concesso diverso; se havesse inteso il luogo. Dice 
<lb/>adunque Aristotile in quel testo 26. del terzo del Cielo, primieramente 
<lb/>che i moti de’corpi sono naturali, perche non si fanno, 
<lb/>ne per violenza, ne fuor di natura. Secondariamente dice, esser 
<lb/>necessario, che alcuni corpi habbiano inclinazione a gravità, 
<lb/>e leggerezza, peroche niuna cosa, si può muovere, che non sia 
<pb n="51"/>
<lb/>grave, o lieve; è che se sarà grave, si muoverà al mezzo; e se 
<lb/>lieve da esso. parlando in questo luogo solamente del corpo 
<lb/>sollunare, e non celeste movendosi quello solo circolarmente. 
<lb/>E ritornando alla cosa, perche havrebbe forse alcun dubitato 
<lb/>contr'Aristotile che un corpo non grave, potesse anche discendere; 
<lb/>volendo egli all'incontro, che i gravi solo facciano questo, 
<lb/>mosso da ciò, a distruzione del dubbio, argomentò nella 
<lb/>maniera seguente, conducendo l’avversario in uno assordo necessario, 
<lb/>cioè, che’l non grave, e'l grave, discenderebbono nel 
<lb/>medesimo tempo. a pruova di che piglia come concesso, che'l 
<lb/>grave debba muoversi più presto del non grave. Et argometa 
<lb/>in questa guisa per lettere. Sia A. non grave. Sia B. grave. muovasi 
<lb/>il non grave per la linea C. D. e'l grave per la linea C. E. 
<lb/>cioè, per la porzione più veloce per ragion del concesso. E dividasi 
<lb/>il corpo grave. Se'l tutto si muove per la linea C.E. sarà 
<lb/>necessario, che la parte si muova meno. Onde per conseguenza 
<lb/>havrà la medesima linea del non grave. cioè C. D. e 
<lb/>avverrà, che nello stesso tempo si muoverà il grave, e’l non grave, 
<lb/>che è impossibile.
<lb/>Ora per intendere questa cosa è da notare, che Aristotile
<lb/>in questo testo parla d’una gravità minima, della quale non se 
<lb/>ne possa dare alcun'altra minore. Il che si prova in questo modo. 
<lb/>Pigliamo A. non grave, che si muova per la linea C.D. e 
<lb/>piglisi per grave, per esempio un sasso. e muovasi per la linea 
<lb/>C. E. e di esso una parte, della quale si possa trovare altra 
<lb/>cosa men grave. E muovasi per la linea C.D. del non grave.
<lb/>Ora, perche date le linee uguali, quando una di esse eccede un' 
<lb/>altra, necessariamente ancora la sua uguale eccederà la medesima. 
<lb/>E perche s'è detto ancora, che'l non grave, e la parte 
<lb/>del sasso si muovono nel medesimo tempo, ne seguirà, che'l non 
<lb/>grave habbia a muoversi più presto di quel grave, che era men 
<lb/>grave della parte del sasso. E per conseguenza si verrà a concludere 
<lb/>che'l non grave s'habbia a muovere più presto del grave. 
<lb/>che sarebbe una conclusione contro’l concesso, che era che’l 
<lb/>grave si muovesse più presto del non grave. Il che sarà non solo 
<lb/>conclusione diversa a quella, che vuol fare Aristotile. Ma 
<lb/>concluderà contro'l concesso. cosa contraria al modo dell’argomentare. 
<lb/>Onde sarà sforzato il Mazzoni, &amp; ogn'altro a confessare, 
<lb/>che Aristotile intenda in questo luogo una minima gravità 
<lb/>della quale non se ne possa trovare altra minore, e che parli 
<pb n="52"/>
<lb/>più tosto in astratto che in concreto, e per conseguenza niuna 
<lb/>altra cosa non possa di essa muoversi più tardi per corrispondere 
<lb/>la minima gravità, al minimo tempo. Onde per non dare
<lb/>Aristotile lo infinito, il quale niega nel primo del Cielo, 
<lb/>ove fa corrispondente la gravità, e leggierezza, piglia il contrario 
<lb/>di esso, che è il fine; cioè, la minima gravità. Che se pigliasse 
<lb/>parte proporzionata, non concluderebbe niente: perche 
<lb/>l’avversario negherebbe sempre, che’l non grave potesse 
<lb/>muoversi in un medesimo tempo con la parte proporzionata 
<lb/>del sasso, massimamente che Aristotile vuole che la parte habbia 
<lb/>un grado meno del tutto quanto alla gravità, la qual cosa 
<lb/>non è vera nel parlar concreto, dove la parte sempre ha assai 
<lb/>manco gradi del tutto. 
<lb/>Seguita l’altro suo errore, che credeva, per quelle parole
<lb/>d'Aristotile nel quarto della Fisica, che fosse’l medesimo materia, 
<lb/>e spezie. e pure Simplicio, che ne sapeva più di lui, fa la 
<lb/>gravità una spezie, e la leggerezza un altra, e niente di meno 
<lb/>non direbbe, che tutte le cose gravi fossero della medesima 
<lb/>materia, e pur sono della medesima spezie. adunque altro è 
<lb/>spezie, &amp; altro materia. perche o pongasi la gravità nel predicamento 
<lb/>della qualità, o della relazione, o del dove, o della
<lb/>quantità; Inquanto la gravità segue la moltitudine della materia, 
<lb/>sempre sarà una nella spezie; se bene fosse participata 
<lb/>da diverse materie gravi, secondo i più, o meno gradi. 
<lb/>Commette di nvovo due altri errori il Mazzoni, non di poco 
<lb/>momento, il primo negando l’esperienza, che in una medesima 
<lb/>materia si muova il tutto più presto della parte. nella 
<lb/>quale s’ingannò; perche ne fece forse l'esperienza dalla sua finestra, 
<lb/>la quale perche fu bassa, da essa tutte le materie gravi 
<lb/>andarono forse ugualmente a basso; ma noi l'habbiamo fatta 
<lb/>di cima al Campanile del Duomo di Pisa esperimentando 
<lb/>vero il detto d’Aristotile, che’l tutto della medesima materia 
<lb/>in figura proporzionata alla parte discendeva più velocemente 
<lb/>di essa, luogo veramente a proposito fu, poi che il vento mediante 
<lb/>l'impulsione potrebbe variare l’effetto, nel qual luogo 
<lb/>non sarebbe mai tal pericolo, e cosi viene avverato il detto 
<lb/>d’Aristotile nel primo del Cielo, che’l corpo maggiore, si muove 
<lb/>più velocemente del minore della medesima materia. e nel 
<lb/>medelimo modo che cresce la gravità, cresce ancora la velocità. 
<lb/>E questo testo faceva molto più per loro, che quegli,
<pb n="53"/>
<lb/>che hanno citati di sopra. Ma l’error del Mazzoni è stato, che 
<lb/>ha paragonato solamente il mezzo col mobile, secondo la grandezza 
<lb/>della materia, e non secondo le forze sue. E però la sua 
<lb/>proporzione non è a proposito. Si dee adunque distinguere 
<lb/>l'eccesso in due modi, o secondo la quantità, o secondo la qualità. 
<lb/>Siano v. g. due sassi un maggiore, e un minore. Sia secondo 
<lb/>la quantità il maggiore doppio del minore; ma di qualità 
<lb/>sia tre volte più. Ora quanto alla quantità procede bene la 
<lb/>proporzione del Mazzoni; ma quanto alla qualità non è vera. 
<lb/>Perche havendo il maggiore più forze supererà per conseguenza 
<lb/>il minore in proporzione rispetto al mezzo disuguale. Ma 
<lb/>non si dee pigliare la quantità, senza la qualità; perche se bene 
<lb/>l’Aria contrasta secondo l’occupamento della figura, si muoverà 
<lb/>niente di meno, per le forze maggiori, o minori contenvte 
<lb/>in essa, uno più velocemente dell’altro. Onde si vede, che 
<lb/>pigliando ferro, e sasso della medesima figura, si muoverà più 
<lb/>presto il ferro, che’l sasso: perche nel ferro la virtù della gravità 
<lb/>è maggior di quella del sasso, e per conseguenza egli per 
<lb/>l’eccesso delle forze, supererà più le parti resistenti dell’Aria, 
<lb/>che non farà il sasso le sue: le quali parti erano tra di loro 
<lb/>uguali. 
<lb/>Piglisi di poi un sasso, il quale pesi dieci libbre, e ferro, che 
<lb/>ne pesi cinque discenderà indubitatamente più presto il ferro 
<lb/>del sasso: perche se bene il sasso haveva maggior gravità, per 
<lb/>necessità haveva ancora molto maggiore la figura. e così in 
<lb/>proporzione al mezzo, le forze del ferro erano maggiori di 
<lb/>quelle del sasso. Onde, se bene nel sasso era maggior gravità, 
<lb/>ritrovava niente di meno per maggior estensione della figura 
<lb/>maggior contrasto nel mezzo. Concludiamo adunque 
<lb/>che paragonando insieme la quantità con la qualità rispetto 
<lb/>al mezzo, si ritroverà, che la proporzione, come habbiamo 
<lb/>detto, sarà disuguale. 
<lb/>Ma ritorniamo all’Autore, il quale contraddice ad Aristotile, 
<lb/>che argomentava così contro a Democrito. Che se una gran 
<lb/>parte d'Aria contenesse più parti di terra, che una picciola 
<lb/>quantità d’Acqua, l'Aria discenderebbe per le molte parti di 
<lb/>terra più velocemente in giù, che non farebbe l’Acqua per le 
<lb/>poche. A questo s’oppone il Galilei, dicendo. non esser necessario, 
<lb/>che una gran mole d’Aria per la molta terra contenuta 
<lb/>in essa discenda più velocemente, che la picciola mole 
<pb n="54"/>
<lb/>d'Acqua. Anzi per l’opposto, qualunque mole d'Acqua dovrà 
<lb/>muoversi più veloce di qualunque altra d’Aria; per essere la
<lb/>participazione della parte terrea, in spezie maggiore nell'Acqua, 
<lb/>che nell'Aria. 
<lb/>E la risposta a quest’opposizione del Galilei sia horamai la
<lb/>conclusione di questo nostro Libro. perloche fare, si ha da distinguere 
<lb/>la velocità in più modi, cioè, o secondo il maggior 
<lb/>moto in paragon del minore, o secondo la propinquità del fine, 
<lb/>o la diversità del mezzo, o della figura, o l’eccesso delle 
<lb/>gravità di diverse materie, o quello della gravità della medesima, 
<lb/>o vero secondo quello della men grave in paragone della 
<lb/>più grave ma ridotta in minima quantità. 
<lb/>Ora di qual velocità di moto all'ingiù intendesse Aristotile 
<lb/>nell’argomentare contro a Democrito diciamo, che egli parlò 
<lb/>dell’ultimo modo, cioè dell'eccesso. 
<lb/>Per pruova di questo è da notare tre cose. la prima che Aristotile 
<lb/>parla di qualche moltitudine, ma non di ogni; perche 
<lb/>non fosse intesa ogni moltitudine in paragone di qualsivoglia 
<lb/>minor'Acqua. La seconda è che Aristotile non pone minor 
<lb/>parte d’Acqua di quella d'Aria, ma assolutamente dice poca; 
<lb/>accioche non fosse presa poca in paragone di qualsivoglia 
<lb/>maggior parte d’Aria; perche dicendosi, poca, si potrebbe intendere 
<lb/>ancorauna gran copia, come interviene per lo più ne' 
<lb/>paragoni. La terza cosa finalmente è che Aristotile non congiugne 
<lb/>la voce greca corrispondente alla dizzione, poca, con l'articolo, 
<lb/>per la cognizione di che è da sapere, che l'articolo significa 
<lb/>o la Idea universale delle cose differenti da essa; come 
<lb/>insegna Ammonio nel libro della Interpretazione; o vero il 
<lb/>proprio, e diterminato a differenza dello’mproprio. o vero 
<lb/>significa, ma di rado, cosa detta in universale, ma ristretta al
<lb/>particolare. come afferma Magentino nel libro della Priora.
<lb/>dove Aristotile dice, il piacere non esser buono. Ed in questo 
<lb/>modo conviene con la voce, che è senza articolo propriamente. 
<lb/>se bene con l’articolo si dice impropriamente, e però 
<lb/>Aristotile in questo luogo non piglia ogni poca acqua; ma qual 
<lb/>che poca. per non concludere come il Galilei, che conclude 
<lb/>adunque ogni maggior parte d'Aria si muoverà più velocemente, 
<lb/>che la minor’acqua. la qual conclusione se Aristotile facesse 
<lb/>contraddirebbe egli stesso a suoi Dogmi; tra’ quali uno è, che 
<lb/>il più grave debba più velocemente muoversi, intendendo più 
<pb n="55"/>
<lb/>grave o secondo diversa materia, o secondo la medesima. II 
<lb/>che si dee prendere in proporzione; poiche qualche volta avviene 
<lb/>il contrario, cioè, quando non si piglia la proporzione 
<lb/>uguale, ma disuguale; perche in tale estremità si può dire, che 
<lb/>non solo le cose gravi si muovono più tardi, ma che cessi poi 
<lb/>tutto il lor moto. Cioè, che la terra voli per aria, e che la cosa 
<lb/>più grave dell'acqua nuoti sopr'essa. 
<lb/>Si come l'oro battuto quel minimo, e la rena volano per l'Aria,
<lb/>e l'Ebano, e l’Aghetto soprastanno all'Acqua. &amp; anche si 
<lb/>vede per esperienza come un legno si muove più presto in giù 
<lb/>che un sasso piccolo, con questo che è più gravità nel sasso che 
<lb/>nel legno, e pure è molto maggiore la quantità dell'Aria in 
<lb/>quel legno che non è la terra, ne puo fare secondo il Galilei 
<lb/>tanta quantità del fuoco in quell’Aria che la parte terrena con la 
<lb/>quale è unita non s’habbia a muovere più presto d’un sasso, o 
<lb/>d'altra cosa per natura più grave del legno, molto adunque più presto 
<lb/>si muoverebbe dall’acqua che è meno grave di tali materie
<lb/>per havere il suo fuoco secondo l’opinione di Democrito. Concludasi 
<lb/>adunque che non solo la terra in minore quantità porta 
<lb/>l'Aria, o vero il fuoco in giù, ma anco non può essere cosi trattenuta 
<lb/>che non possa muoversi più presto da una minima parte 
<lb/>di terra, o gocciola d'Acqua, ma quello in che doverebbe 
<lb/>fare il Galileo difficultà è più di sotto, dove Aristotile argumenta, 
<lb/>che anche una gran quantità d’Acqua si muoverebbe 
<lb/>più presto in sù, che poca d'Aria, ma se poca terra vince molto 
<lb/>fuoco, come adunque manco fuoco porterà in sù più terra? 
<lb/>Tal dubbio m’induce a credere che Aristotile contra Democrito 
<lb/>argomenta havendo più riguardo a' Nomi, che alla 
<lb/>natura della cosa, poi che quelli Antichi Filosofi andavano 
<lb/>dicendo, che si muovessero gli Elementi hora per il triangolare, 
<lb/>hora per la grandezza, &amp; hora per il pieno, &amp; voto, 
<lb/>e non ponevano altrimenti la natura principio del moto, e 
<lb/>cosi diceva Democrito, che la terra si muoveva in giù per il 
<lb/>pieno, &amp; il fuoco in sù per il voto, e dipoi voleva che l'Aria 
<lb/>participasse più di voto che di pieno, e l’Acqua più di pieno 
<lb/>che di voto, contro di lui Aristotile argomenta, che se per 
<lb/>il pieno l'Acqua si muove in giù, adunque una gran quantità 
<lb/>d'Aria havendo più pieno che poca Acqua si muoverà più presto
<lb/>in giù, come anche una gran quantità d'Acqua per havere 
<lb/>più divoto che poca d'Aria si muoverà più presto in sù, E
<pb n="56"/>
<lb/>se bene la gran quantità d'Aria havesse più di voto, che di pieno, 
<lb/>e per il contrario l'Acqua più di pieno che di voto, non 
<lb/>gioverebbe questo punto a Democrito, perche se per il più 
<lb/>voto non venisse in giù l'Aria, non sarebbe adunque vero che 
<lb/>il pieno fusse causa del moto all’ingiù, e più di voto dove non 
<lb/>s'accelera il moto all'insù, adunque ne pieno è nell'Aria, ne 
<lb/>voto nell’Acqua, ne questi possono dirsi principio di moto. 
<lb/>si che la Disputa stà ne nomi, e non in Re, come ha creduto 
<lb/>il Galilei nostro, oltre che si darebbe repugnanza nella 
<lb/>natura degli Elementi, per il pieno, &amp; vacuo, se il pieno per 
<lb/>il più voto non facesse il muoversi in giù, ne il voto per il più 
<lb/>piano non facesse il muoversi in sù, di più un nome non leva la forza 
<lb/>d'un altro, E questo basti a dichiarazione della vera dottrina 
<lb/>d'Aristotile. La quale ho difeso, e m'offerisco a difendere.
<lb/>IL FINE. 
<lb/>Gli errori fatti nella stampa circa l'interpunzioni, &amp; ortografia, 
<lb/>che nella nostra lingua non pare ancora forma di consenso comune, 
<lb/>non si noteranno altri, che quelli, che mutassero il senso; ma quelli, 
<lb/>che si doveranno dal Lettore riconoscere, saranno i seguenti. 
<lb/>Pag. 	Verso 	Errore 		Correzzione.
<lb/>9 	29	si		ci
<lb/>2 	43 	amici		amori 
<lb/>3 	35 	descrizzioni 	descrizzione 
<lb/>4 	15 	la contraria 	e contraria 
<lb/>6 	13   	unissero 	uscissero 
<lb/>6	21	humidi 		humido 
<lb/>9 	28	in Latino	che in Latino
<lb/>9 	32 	come è l’anima 	e posposto onde Aristotile 
<lb/>14 	8 	loro		lui
<lb/>16 	12 	s’è 		se 
<lb/>17 	17 	cacciata 	cacci 
<lb/>18 	24 	cominciare 	comunicare
<lb/>19 	11 	habbiamo 	habbino
<lb/>19 	18 	lo		la 
<lb/>20	1 	Nel minore il mezzo cassa queste parole
<lb/>21 	19 	ghiaccio aereo 	ghiaccio è aereo 
<lb/>27 	24 	esaltazione 	esalazioni 
<lb/>27 	28 	gli 		la
<lb/>33 	10	si puo 		non si puo 
<lb/>36 	15 	e bagnata va	e bagnata aggiuntovi un poco di piombo va &amp;c. 
<lb/>36 	19 	pur è 		pure 
<lb/>45 	7 	di che 		dice
<lb/>48	29	e qui 		a chi
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Giorgio Coresios' Operetta (1612): A Basic TEI Edition. Galileo’s Library Digitization Project Crystal Hall OCR cleaning Jonathan Lerdau XML creation the TEI Archiving, Publishing, and Access Service (TAPAS)
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Operetta intorno al galleggiare dei corpi solidi, ecc. Di Giorgio Coresio lettore di lingua greca nel famosissimo Studio di Pisa. Coresios, Giorgio Florence Sermartelli, Bartolomeo 1612

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Operetta intorno al galleggiare dei corpi solidi. All'Illustrssimo, et Eccellentissimo Principe Il Signore Don Francesco Medici. Di Giorgio Coresio lettore di lingua greca nel famosissimo Studio di Pisa. In Firenze Appresso Bartolommeo Sermartelli, e fratelli. MDCXII. Con Licenza de' Superiori.
1612
OPERETTA INTORNO AL GALLEGGIARE DE CORPI SOLIDI. ALL'ILLUSTRSSIMO, ET ECCELLENTISSIMO PRINCIPE IL SIGNORE DON FRANCESCO MEDICI. Di Giorgio Coresio Lettore di Lingua Greca nel famosissimo Studio di Pisa. IN FIRENZE Appresso Bartolommeo Sermartelli, e fratelli. MDCXII. Con Licenza de' Superiori. ALL'ILLVSTRISSIMO ET ECCELLENTISSIMO SIGNORЕ PADRON MIO COLENDISSIMO, IL SIGNOR PRINCIPE DON FRANCESCO MEDICI IL desderio, che ho sempre havuto di corrispondere con qualche virtuoso effetto all' obbligatigissima mia servitù verso il Sereniss. Gran Duca suo frattelo mio Signor m’indusse a formare come ho fatto il presente Discorso intorno al galleggiare de solidi secondo l'opinione d' Aristotile, per l'occasione che già diedero di ciò le superbe Machine fatte nelle Reali Nozze dell' A. S. e la continuata favoritissima sua protezzione verso di me, dedicandolo a V.E. pubblicarlo, cioè porgero al Mondo, la fatica mia stabilita, & illustrata con l'autorità, e splendore di Lei, la quale con ogni riverenza supplico ad accettarlo, e per fare questo nvovo honore, che è grandissimo all'ossequentissima devozione, e servitù, che le tengo, è si per accrescere l'ardire a quelli, che la riveriscono di spendere allegramente il tempo a benifizio universale, con lodevoli fatiche, e riverente all'E.V. Le prego ogni contento da chi può dar ogni bene. Di Firenze il dì 10. di Settembre 1612. Di V. Eccell. Servitore devotissimo, e humilissimo Giorgio Coresio DICHIARAZIONE DELL'OPINIONE D'ARISTOTILE Intorno al galleggiare della Figura DI GIORGIO CORESI NOBILE GRECO Lettore della Lingua Greca nello Studio di Pisa. Contro l'opposizione del Signor Galileo Galilei. SE GLI Huomini si quietassero ugualmente nella cognizione del vero, Illustrissimo & Eccellentissimo Principe, e non fossero più tosto dalla celeste providenza partiti i petti, e gl’ingegni di molto isuariamento: starebbono, senza dubbio oltr’à tutti gl’altri, i letterati in continua concordia tra di loro; e si goderebbono tranquillamente il proprio ozio. Ma poi che questo non è concesso; ma addiuiene, che ciascuno si muova à diversi fini, e ’ntendimenti; e operi, secondo il numero delle forme dell’animo, che non e minor di quelle de' corpi; quindi è, che nascono in altrui l’opinioni diverse: e da queste le discordie il più delle volte, non meno tra gli huomini volgari delle cose loro, che delle scienze tra’ letterati. le quali; come l’altre cose caduche; secondo gli autori, e le qualità loro; camminano à diversi fini di bene, e di male. Non altrimenti che, ne’reggimenti le discordie civili, che mutano le forme primiere: perche altre portano alla dirittura delle Leggi loro peggioramento. & altre miglioramento. Ma se vorremo considerare quali di queste apportino più spesso alcun bene a' mortali; non si dubita, che più spesso d'ogn'altra, il fanno quelle delli scienziati. Conciosiacosa che la loro contenzione illustri sempre via maggiormente la verità delle cose, e la maestà sereni della sapienza humana. Per lo che sono coloro grandemente da commendare, che per acutezza d'intelletto porgono a' dotti occasioni di contemplazioni nuove, e maravigliose, così risuegliando gl'intelletti altrui, troppo per aventura addormentati nell'ozio; ovvero generando nvovi parti al Mondo. Il mouversi adunque qualche volta alcuna discordia tra' letterati, sarà cosa utile, bella, e gioconda, e degna altresì d’un' amator di virtù, e conveniente alla difensione, che si dee prendere degli huomini grandi, e delle dottrine di quegli, in cui altri ha smarrito il fior degl’anni suoi. La onde essendo uscito fuori il discorso del Signor Galilei, e considerate in quello cose degne di impugnazione, ho giudicato grazioso, e forse utile à gl'amici miei, e secondo l’opera, e’l tempo, cosa degna di qualche stima; imprendere in brevi divisamenti ad impugnare con le seguenti mie ragioni, alcune sue proposizioni. Affin chè, da questo, in vn certo modo sprovveduto, e contenzioso accidente, si produca qualche effetto conveniente alla Filofosia: che dourà forse essere, il nascimento di molte considerazioni intorno alla ’nvestigazion del vero. Avvegna chè: come dice quel savio Greco, la dubitazione sia madre della ’nvenzione. E potrà in alcun modo avvenir questo à noi proporzionatamente alle proposizioni, che pigliamo ad oppugnare. contro le quali volgo queste presenti mie ragioni: come amico della verità, che supera ogn'altra cosa in nobiltà. per lo cui abbellimento si ha voletieri à combattere, e soffrite ogni molestia, e fatica; perchè, se per la sanità del corpo si sottopogniamo à cose travagliose, dobbiamo questo molto più fare per essa sanità, e forma dell'anima, che è secondo Aristotile come una tavola rasa. L’obbligo adunque di difender questa, e non altra cosa, mi ha mosso à formare queste ragioni contr’al discorso del Galilei. E stimando che egli l'habbia mandato in luce, per risuegliare più tosto gli animi de' letterati, che per altra sua opinione. Ma perche da' fondamenti, come dice Demostene, si conosce ogn’ azione; terminando hora mai il Proemio, che dee essere, come pur vuole Platone, breve verso gli amici; sarà bene, ch’io mi rivolga à por quelli, che sono necessari à quest'operetta delle nostre ragioni: e lasceremo il giudicare di essi (perciocche gli amici propri difficilmente lascian mutare sentenza altrui) à gl'huomini d'alto, e incorrotto intelletto e discendendomene già già all'opera, porrò imprima in essa i fondamenti universali, e poi i particolari, adattando partitamente alle proposizioni del Galilei quelle risposte, che faranno convenienti alla qualità delle nostre ragioni. DISCORSO PRIMO. Che’l ghiaccio sia acqua per se condensata. LE parole adunque; onde il Galilei prende la mossa alle sue proposizioni; diano cominciamento à questo primo nostro discorso. le quali sono. che trovandosi in una conversazione di letterati; fù detto che'l condensare era proprietà del freddo. e glie ne fù addotto l'esempio del ghiaccio. a’ quali disse. credere più tosto il ghiaccio essere acqua rarefatta, che condensata, perche la condensazione partorisce diminuzione di mole, & augumento di gravità. e la rarefazione fa maggior leggerezza, & augumento di mole; e l'acqua nel ghiacciarsi cresce di mole, e'l ghiaccio esser più leggieri delľ acqua, standovi à galla. Intorno alle quali parole sono da considerare tre cose, che'l Galilei contr'à quei letterati, ó negava il ghiaccio esser condensato; negando essere proprietà del freddo, il condensare, ò vero non negava questa proposizione in universale, ma in particolare sì. Cioè, che’l freddo non condensava il ghiaccio, come l'altre cose. ó vero, egli intendeva, il ghiaccio non essere rarefatto propriamente, ma accidentalmente. E cominciando dal primo modo della distinzione, sarò breve, sì perche la cosa è assai ben manifesta sì perche queste materie sono diffusamente trattate da altri. Ma non per tanto tralascierò le descrizioni d'Aristotile del caldo, e del freddo, nel secondo libro della generazione, e corruzione. ove dice. il caldo è quello che congiugne le cose del medesimo genere. ò vero quello, che disgiugne le cose del diverso. e'l freddo è quello, che congiugne tanto le cose del medesimo genere, quanto quelle del diverso. ma è da notare intorno à tale descrizioni. che se bene la cera, con la pece, e li medicamenti, e altre simiglianti cose, tra loro diverse si congiungono insieme dal caldo; basti che egli fa ancora questo, secondo gl'Interpreti d'Aristotile, per ragion di qualche simiglianza. E'l medesimo ristrigne ancora qualche volta per accidente discacciando le cose humide, come, per accidente, e non propriamente nel fango avviene, cioè non per la virtù dell’operazione; ma per la disposizione della materia, che havendo poca humidità, e quella cacciata dal Sole, viene à condensarsi. E venendo alla descrizione del freddo, egli (quantunque propriamente congiunga le cose, tanto del medesimo genere, quanto quelle del diverso) nientedimeno disgiugne ancora per accidente scacciando le cose sottili. Come si vede nello ’nverno, che mediante il costregnimento del gran freddo, vengono premute le lagrime da gl'occhi. dileguandosi nel medesimo modo per lo agghiacciamento le parti sottili dall’acqua. Ma torniamo alle descrizioni d’Aristotile, che non è da dubitare s’elle sian vere; perche elevandosi dalla terra, e dall’acqua riscaldati da' raggi del Sole operanti la rarefazione; due aliti esalazione, e vapore; le parti della terra per cotali ragioni, divengono rade, e si convertono in esalazioni fumose. Il vapore per lo contrario, levato in alto, e congelato dal freddo, e per la gelazione condensato, si fa pioggia, o rugiada, o brina, o grandine, o neve; e simigliantemente dal caldo s'allargano i pori ne’ corpi degli animali, e li medesimi dal freddo per contrario si ristringono; e queste, con altre simili cose, sono manifeste al senso; como anche è manifesto la cera liquefatta, rappigliandosi dal freddo, unire mescolatamente insieme sassetti, e altre simili materie, le quali sono poi dal caldo disunite; e questo è si chiaro, che se alcuno lo volesse negare, negherebbe, oltr’alla ragione, ancora il senso; principalmente considerando, che le nature, le quali hanno queste operazioni, sono tali; cioè che'l fuoco, e l'aria sono rari, e perciò rarefanno, e l’acqua, e la terra sono densi, e perciò condensano e ciascuno di questi da solamente quello, che ha, e non mai quello, che non ha. Onde Simplicio nel comento 70. del terzo del Cielo dicea, questo proposito eccellentemente in questa guisa. E simigliantemente, e li Pittagotici ricorrendo alle figure piane, e stimando le figure, e le grandezze essere le cause del caldo, e del freddo. Impercioche quelle, che sono disunitive, e divisive ritenevano senso di caldo: e quelle che univano, e condensavano ritenevano quello del freddo. E percioche ogni cosa secondo la sostanza vien di poi fatta quanta. Ma la figura eziandio che ella sia qualità, nientedimeno è presa del genere della quantità; per lo che ciascheduno de' corpi è un quanto figurato. E nel medesimo luogo soggiugne. E questa instanza sciogliendo Proclo dice, bene al producente il freddo essere stata assegnata conveniente figura, e bisognare insieme ridurre a memoria del caldo; in che modo non dicevano la Piramide essere il caldo; ma la virtù incisiva per quella acutezza, che è secondo gli angoli, e per quella sottigliezza, che è secondo i lati. Che adunque il freddo, ne esso sia il primo, si come, ne il caldo; ma la virtù di alcuna figura, e che, come questa è divisiva, così quella è unitiva per iscacciamento; e che, come questa secondo l’acutezza degli angoli, e la sottigliezza de' lati, così per lo contrario quella, per l’ottusità degl’angoli, e grossezza de' lati opera. La contraria virtù adunque questa a quella non essendo contrarie le figure, ma le virtù, che sono nelle figure. E’nferisce la ragione non figura; ma virtù contraria. Qualunque per tanto hanno angoli ottusi, e lati grossi, queste hanno virtù contrarie alla Piramide, e sono unitive de' corpi. Ma tali Elementi de’ tre corpi, per lo che tutte le cose unitive sono costrignenti per iscacciamento; E solo il fuoco, come detto habbiamo, è disunitivo. Ne più oltre del primo modo della distinzione. E venendo al secondo; se l'Autore concede, che’l freddo condensi; ma non il ghiaccio. Sarà una maraviglia; che condensando egli tutte l’altre cose, rarefaccia solamente l’Acqua. E massimamente perche essendo l’operazione d’esso una in numero; come potrebbe mai fare cose contrarie, in un medesimo tempo. Ma che 'l ghiaccio sia acqua condensata, e non rarefatta dimostrisi con queste ragioni. Il ghiaccio si fa lo ’nverno, quando il freddo costrigne tutte le cose. costrignerà adunque altresi lo ghiaccio: perche essendo il freddo una causa, non può produr due effetti, e contrari in un medesimo tempo. Il ghiaccio, se fosse acqua rarefatta, non costrignerebbe insieme cose diverse: perche le cose quanto più son rarefatte, tanto meno ritengono. Le cose più sensibili al tatto, & più vifbili sono più dense, il ghiaccio è più sensibile al tatto, & più visibile, che l’acqua. adunque il ghiaccio è più denso d’essa. Le cose, quanto son più dense, tanto più difficilmente si tagliano. il ghiaccio più difficilmente si taglia, che l’acqua. adunque è piu denso di essa. e tagliansi più difficilmente le cose più dense: per l’union maggiore delle parti; quando però non fossero secche: come il ferro, per la cui durezza, il piombo, ben che sia di lui più denso, nulladimeno più facilmete si taglia. ma parliamo delle cose del medesimo genere. E cosi sarà vero, che mai le cose diventando più rare siano più forti, perche vengono a disunirsi, e la disunione partorisce la debolezza. Quello, che si rarefà, e s’assottiglia dal caldo. innanzi è costretto dal freddo, questo avviene nel ghiaccio. adunque non è raro, ma denso. Il ghiaccio, se non fosse fatto per congelazione, nessuna ragion ci havrebbe, per la quale non essendo dell’acqua più freddo, e' si facesse in ogni modo sentir più gelato; come e’ fà. Se questa non fosse la densità, la quale, per haver maggior quantità di parti, opera più; In quanto nella maggior quantità, e maggior virtù. Come si vede, che il caldo abbrucia più nel ferro infocato, che nella fiamma. E per la medesima ragione il ghiaccio è ancora secco, e si ditermina da' termini propri dileguandosi per lo costrignimento, e gran frigidità, contraria all'humido, le parti humidi in esso; percioche, si come l'humidità non può stare col gran caldo; com’è quel del fuoco. Così non può stare con l'estremo freddo. Se'l ghiaccio non si facesse, per costrignimento, qual sarebbe la ragione; per la quale, l’acque delle nevi, e de' ghiacci fossero mal sane? Se nel costrignimento, come dice Hippocrate, e Aristotile, non unissero le parti più sottili, e rimanessero le terree; e da questo nasce, che nel disgelarsi il ghiaccio, o la neve, l'acqua non ritorna mai in quella medesima quantità, che era innanzi alla congelazione. Il ghiaccio, se fosse più raro dell'acqua, si dissiperebbe più facilmente di essa; ma veggiamo il contrario: che resiste più: adunque è più denso di essa, e più resiste. Come degli Elementi; l'acqua, e la terra resistono più, che'l fuoco, e l'aria, come che questi habbino maggiore operazione. E finalmente se'i ghiaccio non fosse cosa costretta, e condensata, non havrebbe, ne da' Greci, ne da’ Latini, ne da altri, conseguito nome di tal concetto. i quali essendo nel corso di tanti secoli stati tanti, e di sì gran valore nelle scienze; non farebbe mai stato possibile, che tutti si fossero ingannati. perche; lasciando altri argomenti, che si potrebbono fare; seguiam il proverbio, che dice. lascia anche qual cosa a’ Medi. Se poi il Galilei intende, il ghiaccio essere acqua rarefatta per accidente: come diremo poi. è errore il contradire in quella maniera, che fa: perche non si niega mai la proposizione necessaria per accidente alcuno. Se egli però non volesse ancora negare che Pietro fosse sustanza: perche come Padre, o Filosofo, fosse accidente. Percioche, si come questo non si dee fare: così ancora non si può negare che 'l ghiaccio, non sia condensato, se bene per accidente è rarefatto. Ma è da distinguere la rarità: secondo le diverse cause: delle quali una è secondo la sottigliezza delle parti, di cui Giovanni Grammatico nel secondo della generazione parlò così. L'Aria diciamo rara, e l’acqua densa: non perche le parti dell'aria siano distanti tra di loro, e habbino interposti vacui: perche veramente niente è di vacuo nell'aria; ne altro corpo è interposto tra le sue parti. Ma perche l’aria ha fustanza sottile, e l’acqua grossa. E pare, che questa densità proceda dalla sustanza del freddo, e la rarità del caldo. L’altra rarità è la quale non consiste nella sottigliezza della sustanza; ma nella distanza delle parti tra di loro; come nella spugna. E questa rarità è quella, che si fa nel ghiaccio, poi che non tutte le parti dell’acqua sono atte à congelarsi, ma quelle, che hanno, qualche siccità per tenere più di terra, che le fa anche più grosse, e però le parti più sottili, come inette sono cacciate, e per supplire al vacuo, parte si costringono le grosse, e parte vi resta l'Aria, che l’agghiaccia. DISCORSO SECONDO Nel quale si pruova, che Aristotile senza ragione è biasimato dall’Autore intorno a' Princìpi del discendere il solido. ORa; poi che l'Autore dice, che Aristotile non conobbe che’l più grave discendesse più giù; Cioè, che le parti terree non cercassero d'andare al lvogo loro; Cosa veramente che non solo da Aristotile, ma ne da niun altro, quantunque rozzo, è stata mai ignorata; toccherò per necessità alcuni luoghi del medesimo Aristotile, da' quali si cava la vera specolazione di questi principi. E perche il discendere, come il salire son moti secondo l’Ove. considereremo intorno a ciò alcune cose per conoscere quello, che fa di bisogno in questo proposito. Dico per tanto, che nel moto locale degli Elementi si hanno da considerare cinque cose. Il movente principio del moto; il mosso; il luiogo; la causa finale; e’l tempo. Quanto al principio o ver causa, si distingue in due modi, nell’essenziale, & accidentale. E dall'essenziale, che produce il moto, cominciando; Intorno ad essa considereremo cinque opinioni, differenti l'una dall’altra. poi che. Empedocle hebbe opinione, che'l Cielo fosse principio scacciando col svo rapidissimo moto gli Elementi. Che fu in questa guisa rifiutata da Aristotile. Se'l Cielo scacciasse gli Elementi, i moti loro sarebbono violentati. Oltracciò l’Aria non si muoverebbe in giù, ma sarebbe scacciata dal Cielo. Altri dicono, che non havendo il Cielo altro moto, che quel della luce, non può muover gli Elementi. A questo aggiungo, che l'agente sarebbe molto lontano dal mosso. Ma s'Empedocle non havesse detto altro, che quello, cioè, che’l Cielo fosse principio, senza quell'altre parole, che scaccia gli Elementi; non direbbe forse una novella. Considerando io, che Aristotile nel terzo delle Meteore ci insegna, che le qualità degli Elementi procedono dal Cielo. anzi, come saviamente dice Ermino, il Mondo inferiore al superiore viene ad essere, come materia all’operante. E però i Filofosi dissero; che, tutte le cose del Mondo sottano si governano dal sovrano costituite da esso per azione, ovver privazione. E la seconda opinione fu di quegli, che pensavano che’l luogo fosse principio; perche il desiderio d’esso muove gli Elementi ad acquietarsi, e riposarsi in lui. Ma egli non è veramente causa, ma è più tosto causa di quiete, che di moto. E' adunque causa finale, e non efficiente. per lo che Alessandro, e Simplicio dividono il moto dell'Elemento in due modi, nel proprio, in quello, cioè, che riceve dal generante per acquistare il suo luogo, e nell’accidentale: quando uscitone cerca di riacquistarlo. la onde è manifesto, che’l luogo è causa finale, e non agente. Habbiamo fino a quì veduto il mosso, e'l luogo. lasciata al presente la causa finale, di cui parleremo poi. La terza opinione fu di quelli, che tennero principio il generante; poi che, chi da la forma, da ancora le cose, che la seguono. Ma questi parlano delle parti degli Elementi, che sono generabili, e corruttibili, e non del tutto. Generante sarà poi quello, che trasmuta da un'Elemento a un’altro; qual che si sia o Sole, o Elemento. La quale opinione si conferma con due prove. Una d'Aristotile, il quale nell'ottavo della Fisica, e nel quarto del Cielo: facendo differenza tra le cose animate, e inanimate; dice; l'animate muoversi da principio intrinseco, e l'inanimate da estrinseco, cioè, dal generante. E l’altra, ben che sia anzi ragione, che autorità; nulladimeno è fondata in Aristotile, ed è questa. Che ogni cosa, che si muove, è mossa da altra; perche niuna cosa può da se medesima patire; ne esser più nobile di se stessa. Conciosia cosa che l'Agente sia più nobile del Paziente. La quarta opinione fu di coloro, che vollono, la causa essere, il togliente lo impedimento inquanto, essendo lo Elemento impedito da lui nel muoversi, chi lo toglie, opera che l'Elemento vada al luogo suo. Ma questa è causa per accidente. E conferisce a togliere lo’mpedimento; ma non al moto naturale dell’Elemento: ed evvi ancora altra ragione, che la causa volontaria non può produrre effetto naturale. La quinta, & ultima hebbero quegli, che dissero muoversi li Elementi dalla propria natura; cioè dalla forma: essendo la materia solamente radice delle passioni. perciò affermarono alcuni, in latino si dice, Actus: perche agit, non havendo considerato loro, che in Greco si dice εντελεχεια. per haver ridotta la cosa nel fine. come la significazione del vocabolo vuole. Si che dice fine: per lo quale la natura opera propriamente come è l'anima. Significa anco l'operazione; in quanto anch’essa è come fine, onde Aristotile chiamava la natura fine di ciascuna cosa. Ma ritorniamo al nostro proposito. Cotale opinione fù fondata nel testimonio d’Aristotile nel 2. della Fisica, ove dice a distinzione delle cose naturali dalle artifiziali, le fatte dall'arte non havere in se stesse per se principio di facimento; adunque le cose naturali havranno in se stesse principio attivo. e nello stesso libro egli dice haver detto per se, e non per accidente; per cagione del Medico sanante se stesso. E tale fu l’opinione di Temistio nell'ottavo della Fisica. ove parla così. Diciamo il fuoco da altro esser mosso all’insù, e la terra all'ingiù; perche da altro son fatte queste cose, e non si fanno da se stesse. Ma quando sono generate subito, e per quella natura, per la quale sono generate, operano. Fondata in quell'autorità d'Aristotile, nel secondo della Fisica, che vuole, che l’effetto esistente in atto habbia in atto esistente la causa. E nel secondo della Posteriora. ove dice dell'effetto passato esserne passata la causa; del presente la presente; e del futuro la futura. Ma horamai, e forse con brevità habbiamo palesata la specolazione d’Aristotile intorno a’ principi de’ moti. Parliamo adunque degli accidenti, come siano loro principi. Ma perche opera la natura sempre, mediante i suoi strumenti, che sono accidenti. Di questi noi considereremo solamente quegli, che conferiscono a tali moti. per chiarezza della qual cosa dico, che la sustanza di sua natura non è ne grave, ne lieve. Si fa adunque tale acquistando certi accidenti, i quali Aristotile nell’ottavo libro della Fisica. e nel terzo del Cielo riferisce alla densità, o rarità; veggendosi manifestamente, che'l fuoco, e l’Aria sono rari, e l’acqua, e la terra densi; perche si come la gravità dipede dalla strettura grande delle parti. così la leggerezza dalla largura di esse. E se mi dicesse alcuno che’l corpo celeste è denio, ma non grave adunque la densità non è causa della gravità: gli risponderei che noi non parliamo del corpo celeste, che ha l’essere diverso dalle cose presenti: cioè più persetto, oltracciò dico, che non ogni sustanza esequirà il medesimo efetto, datole il medesimo accidente: perche si ricerca tal sustanza. Onde diciamo, l'acqua, e la terra solamente secondo la forma loro possono fare tal’effetto mediante la maggiore, o minor densità: secondo la maggiore, o minore inclinazione verso quest'accidente della densità e così eziandio de misti quel, che ha più densità, è più terreo per essere la terra densissima, e tanto maggiormente questo interverrà, quanto le parti terrestri sono più pure, e quel, che participa dell’ aqueo in tal parte è men denso della terra; per essere l’acqua men densa d’essa. Ma torniamo al proposito. La densità è adunque causa della gravità, come la rarità della leggerezza. Or lasciata quella, dico, che la gravità non è altro, che un’attitudine, e naturale inclinazione al luogo inferiore; come la leggerezza e naturale attitudine al superiore. Onde non essendo altro, che potenza non opera; ma sì bene è attitudine della causa nell’operare. Di più l’operazione si fa da Atto; adunque non da potenza. E perciò non si dice mai, che la gravità muova; come a uno, che domandasse perche l’huomo rida? non si risponderebbe ride; perche egli ha la potenza; ma perche ha la razionalità. per lo che habbiamo ancora noi detto, che la gravità è principio come potenza. la qual cosa considerò Aristotile ne' libri del Cielo; ove spesso nominò gravissimo quello, che stà di sotto a tutti; e leggerissimo quello, che sta di sopra a tutti. di poi disse, esser grave quello, che va al mezzo, e all’ingiù. E ne’nsegna, che gli Elementi gravi si muovono all’ingiù per la gravità, & i leggieri, per la leggerezza all’insù. Onde è manifesto, che pigliandosi la gravità in due modi, o secondo la natura, o secondo il moto; Aristotile ne parlò tanto chiaramete dell’uno, e dell’altro; che quasi niuno degli interpreti v’ha, che non habbia cavato da lui che la gravità, e la leggerezza sono principi strumentali del moto; poi che c’insegnò come i corpi si muovono mediante l'interiore inclinazione loro, e tal inclinazione non sia altro, che la gravità, e la leggerezza. Rimane il tempo; cioè, quando si muove il mosso. conciosiacosa che essendo il tempo numero de’ moti; non possa mai essere moto senza tempo; e però Platone lo diffinì. Immagine mobile dell'eternità, ed intervallo del moto del Mondo. e fece il medesimo Aristotile chiamandolo numero. onde il moto si dice temporale, non perche si faccia in tempo, a guisa d’azione; ma perche è misurato da esso facendosi l’azione nello istante; come la intellezione, la illuminazione, e simili altre cose. Il moto adunque non è azione. Ma in che modo è misura il tempo? La misura è secondo Simplicio, o numero, o grandezza, o luogo, o tempo. il numero misura la distinzione. la grandezza misura lo intervallo; il luogo la posizione. il tempo l’estensione della generazione diterminandola secondo il prima, e'l poi. Ora presupposto questo fondameto si tolgono via due cose, il vacuo, e'l cedere. Il vacuo; perche se non fosse la continuità del mezzo, che, per la successione delle parti ritarda il moto, non potendo essere in un medesimo tempo in tutte le superiori, e inferiori; non sarebbe mai moto. è adunque necessario il mezzo. Si toglie ancora il cedere senza resistenza più velocemente muovendosi il più grave del meno. all’incontro nuotando per l'aria alcune cose di minima gravità, e altresì per l'acqua. si farà variazione per la figura, e secondo il mezzo; perche si muoverà una cosa più velocemete nell'Aria, che nell’acqua. e un sasso si muove ancora più velocemente nel fine, che nel principio; e più velocemente da un luogo più alto, che da un più basso. Similmente una nave s’immergerà più nell'acqua dolce, che nella marina, e nella stess’acqua un legno, quanto sarà più grave si profonderà più. e la causa di questo non dipende da altro, che dalla resistenza del mezzo; in quanto ella più, o meno vince. ove se le parti havessero a dar luogo senza resisteza, non si vedrebbe la cagione; perche dessero più luogo ad uno, che ad un’altro; e come si facesse la variazione. Onde l’opinione di coloro, che stimarono che'l mezzo, e la figura non operasse proporzionatamente al ritardamento del moto del mobile, fu sempre mai stimata vana dagli huomini savi, ma trapassiamo horamai all'altro Discorso. DISCORSO TERZO. Pertinente all’esamine delle cagioni del discendere il solido. A Formare questo Discorso mi muove il dubbio, che nasce contro la naturale aspettazione, stimandosi che i corpi più gravi dell'acqua non galleggino, ma discendino al proprio lvogo, come l'autorità d’Aristotile, e d’Archimede conferma. e la ragione di questo è. perche la natura, che diede loro il proprio luogo di sotto come perfezione, gli diede ancora la maggior densità, accioche se lo perdessero, lo potessero di nuovo ancora racquistare; il qual fine non conseguirebbono; se per la maggior densità non vincessero, che contiene più forze della minore; da che nasce la pugna: percioche il corpo più grave dell’acqua vuole acquistare il proprio luogo: e l'acqua non vuol soffrire il suo nimico appresso. in un certo modo suo nimico mediante la siccità, e la gran freddezza della terra, che se bene non contraddice a quella dell’acqua, gli è nulla dimeno contraria in quanto la gran freddezza della terra porta seco gran siccità, che muta la natura, o almeno l’altera molto; quando però è meno; come nel ghiaccio si vede. perche Alessandro nel libro primo delle Naturali Quistioni disse l’acqua mancare più di suo essere per la perdita dell’humido, che del freddo. percioche ella patisce, per passiva qualità, che non vuole, come corpo, ne meno patir la sua divisione. Come habbiamo già detto. Ma da questo fondamento nasce via più maggior maraviglia, perche il corpo più grave non conseguisca il proprio luogo; ma si stia sopra l’acqua. La qual cosa Aristotile considerando solve riducendone la causa alla figura piana: come quella del Quattrino, o della tavoletta d’Ebano. La riferisce dico a una certa resistenza dell’acqua non superata da quella. la qual resistenza è di due sorte. una, che ritardando alquanto la vittoria all'inimico, è alla fine superata. e l’altra, che non è superata. questa seconda si fa tra l’acqua, e la materia terrestre in due modi: uno per ragion della figura del solido, il quale per haver le sue parti distese è debole; e l'altro per la sua minima forza, per la quale non può vincere le forze inferiori; e questo secondo modo non toglie il detto d’Aristotile, e d’Archimede, se bene in astratto, come di poi diremo, che parlano secondo il proprio modo del favellare; cioè, che data la medesima proporzione del più, e men grave; il più grave supera, e'l meno nò. In contrario. la seconda resistenza è molto sproporzionata, e non fa niente in questo caso. Torno adunque a dire; che chi conoscerà la resistenza del mezzo, non havrà difficultà a intendere in qual modo le cose gravi galleggino; come si è di già detto. ma chi non conosce questa resistenza, è necessitato riferirne la causa all’Aria. e la ragione è perche se l’acqua solamente cede, e non resiste alle parti del solido, non potrà sostenerlo, ma cederà alla sua sommersione. Sarà dunque altra la causa, che la sosterrà. e questa sarà l’aria, concluderà un cotal bello ingegno. ma all’incontro, se si farà manifesta la verità della resistenza, come s’è fatto in parte. E come la esperienza dimostra; cioè che'l Quattrino non istà in aria; ma in sù l’acqua; si conoscerà, che l'acqua lo sostiene; perche non può da forze minori delle sue esser divisa, tenendosi ella forte; come si vede, e non cedendo solamente. DISCORSO QUARTO In qual guisa l’Aria sia, o non sia vera cagione di far galleggiare il solido. NIega finalmente al tutto il Galilei che la figura possa far galleggiare solido alcuno. e s’oppone ad Aristotile, che afferma che ella il possa fare in alcuni. Ed in questo mi pare, che l'opinion sua pur contraddica alle sue proprie ragioni, perche secondo loro ancora l’aria non fa galleggiare i solidi in ogni sorte di figure; ma in alcune particolari solamente. Onde conseguentemente ancora è necessitato a confessare che la figura ne sia in qualche modo la cagione. Imperciocche se l'aria mediante questa, e non quella figura fa galleggiare il solido, significando la parola, mediante, causa istrumentale ne seguirà necessariamente, che anche la figura operi qual cosa; che è quello, che niega l'Autore. Per cognizione della qual verità. Dico ritrovarsi tre opinioni di questa cosa, due estreme, una di mezzo. la prima tiene che l’aria solamente operi. la seconda l’Aria, e la figura. la terza la figura sola. la prima abbraccia l’Autore volendo, che l’Aria solamente, che si contiene nella concavità degl’Arginetti, che si fanno intorno al solido dall'acqua, sia la cagione, che i corpi più gravi in essa galleggino, la seconda è di quegli, che vogliono che l’Aria, e la figura insieme faccino l’effetto. Ma lasciamo di grazia l'equivocazione, e notisi non negarsi da noi che l’Aria ritenga, ma il modo di ritenere, che si dice, può dirsi l’Aria in tre modi sforzare, o per predominio, come si vede nelle cose leggieri, & altri modi, che l’Aria ritiene, o per moto, come l'Aria mossa dalla calamita tira a se il ferro, o per simiglianza qual si scorge nelle coppette, o vero nelle putrefazioni; fuor di questi modi se ne stà l’Aria nella sua naturalità; Vediamo hora se l'Aria toccando ritiene, e pensa l’Autore che ritenga per ragione d’affinità con virtù calamitica; ma questa non è men desiderata dall'Aria, che da qualsivoglia altro corpo, ne seguirà adunque, che ogni corpo toccando l’altro lo ritenga sospeso, & habbia virtù calamitica, il che è falso; perche il corpo leggiere tocca non tiene, il corpo grave non solamente tiene, ma di più spinge. adunque argomenta contra di se medesimo. Et dato, che questo, intervenisse all'Aria sola, e non a gli altri corpi doverebbe questo convenire a tutta l’Aria, e ritirandosi ad un effetto particolare doverebbe l'Autore renderne la ragione, anzi questa Aria accostandosi più all'acqua doverà essere più humida, e per questo meno tenace, il che tanto più deve l’Autore tenere per vero, quanto anche è contra Aristotile niega che l’Aria possa sostenere cose, per minime che elle sieno. Quello poi, che si dice dell’affinità, o contiguità, è molto ambiguo; perche la natura non abborrisce la contiguità in particolare; perche s’impedirebbono tutti i moti; ma si bene d’universale, la quale consiste nel toccare, non nel tenere, che sono effetti diversissimi, che il toccare significa unione estrinseca di due corpi; senza violenza veruna, & il ritenere significa medesimamente unione estrinseca, ma con violenza, massimamete che tanto tocca chi tiene, quanto chi spinge, e notisi come l'Aria spinge i corpi toccandoli come si vede ne' moti. Sia, che la natura, vuole tra le sue parti una certa unione, & armonia; si che non dà mai cosa alcuna ad esse, che non riguardi la constituzione dell’universo, nè meno da lei si produce cosa alcuna a destruzzione dell’altra, se non per accidente, volendo conservare se stessa; percioche se altrimenti operasse, sarebbe tra le sue parti una certa discordia simile a quella, che nasce tra Cittadini, che si dipartono dall’unione di loro civiltà: per il che non viene corrotta la forma, e l'ornamento primiero, onde dissero i Filofosi, che cosa niuna opera senza il fine della natura, tutte le cose di alcuna, e per qualch’una facendosi, perche Platone nel Dialogo della natura distinguendo le cause in due, una chiamò necessaria, e l’altra Divina ponendo quella necessaria, che opera per li mezzi, in quanto senza questa non si può conseguire il fine, e nominò poi il fine Divino, come ottimo, e simigliante alla causa prima, per il quale tutre le cose, che sono mezzi s’incamminano; donde viene, che nessuna opera contro la intenzione naturale ne contro l’altra se non per vtilità propria, o comune, e per ciò l’una non vuole la distruzzione dell’altra. Concludiamo per tanto, che se l’Aria havesse da natura il ritenere in figura piana, o in concava le materie terrestri, ne seguirebbono molti assurdi, percioche questo contraddirebbe principalmente all'ordine di natura, alla intenzione dell'acqua quanto all'ordine, non quanto alla divisione. Contradirebbe alla natura terrestre, e quel che sarebbe inconveniente maggior di tutti, la stessa Aria harebbe contrarii desiderii in un istesso tempo, parte volendo toccare l’acqua per la somiglianza, che ha con essa, e parte volendola ritenere per l'affinità onde seguirebbe, che per la contrarietà d’appetiti naturali anche havesse contrarie nature l'Aria; ma se l’Aria è contraria secondo la caldezza, e humidità alla materia terrestre, la scaccerà più tosto, che terrà; perche ogni cosa più tosto vuole essere con il suo simile, che con l'inimico. Sia di più, che s’è data molto maggior quantità dell’Aria, che della terra vince la terra per essere molto densa, anzi serva la sua gravità nell'Aria, con questo, che resista alla divisione la medesima Aria, come adunque sarà possibile, che per contatto solo habbia a vincere la terra nell'acqua, e impedirla dal proprio luogo vna minima, e così debole virtù di natura molto rara, e dissipabile. E di poi se poca Aria sostiene poca parte terrestre; come Aria, l’Aria adunque, che circonda la terra la sosterrà tutta, che ne seguirebbe, che la terra non fusse nel proprio luogo, ma pur vi è, adunque la terra non è sostenuta dall'Aria, e per conseguenza l'Aria non sosterrà; ne meno farà questo una parte di essa, percioche quello, che ha una parte di essa per natura l’haverà ancora il suo tutto. Et anche ogni potenza, la quale non viene all'atto, è in vano. Se adunque tal potenza è naturale, sarà in vano nell’altra Aria, poi che non tien mai tal materia. Si dirà con ogni ragione, che non è corpo nel Mondo fatto unito, che desideri ester diviso, anzi cosa, che si divide è divisa da altra. E nessuna cosa è divisa da se medesima; hora presupposto questo, domando se l'acqua resiste dividendosi, Se non, adunque non sarà corpo sullunare, perche il corpo, come corpo mai si divide da se, se resiste, dunque l'aiuto dell'Aria è in vano, perche se l’Aria può sostenere certi corpi sottili, non sarà impossibile, che l'acqua corpo molto più sodo in suo paragone possa sostenere alcuni corpi deboli senza l'aiuto di essa, e come più soda habbia a tenergli molto maggiori di quelli, sia la prima esperienza tale, Pongasi nell'acqua un vaso di qualsivoglia materia più grave di essa, e per l'avversario galleggi, per l'Aria contenuta nella sua concavità; pensate due corpi di medesima gravità, ma disuguali di grandezza, e dipoi mettete dentro a quel vaso hor ľuno, hor l'altro, tanto si sommerga con l'uno, come con l'altro, Hor se l'Aria ritenesse, non doverebbono ugualmente sommergersi essendo in uno maggiore copia d'Aria, che nell’altro; L'Aria dunque o non ritiene, o tanto ritiene la poca, quanto la molta, il che è assordo, perche universalmente cresce la virtù dell'operare essendendosi più la forma nella materia; perche se bene la forma in se stessa così in una quantità, come nell'altra, non riceve ne più, ne meno, e pur è vero, che in quanto alla potenza dell'operare riceve augumento; presupposto dunque che nella maggior quantità s'accresca la virtù, si concluderà che l'Aria non ritenga. La seconda esperienza, empiasi un vaso di qualsivoglia materia men grave dell'acqua sì, che galleggi e che tocchi per tutto sì, che cacciata l'Aria, bisognerà dire una delle tre cose o, che per esempio il legno sia fatto un composto con quel vaso, che lo sostiene, o l'Aria inclusa nel legno, o vero altr Aria, che sia restata tra il vaso, e'l legno; il primo non si può dire, perche il legno da se non sostiene, ma aggrava, l'aria inclusa nel legno, non tocca il vaso, come adunque lo tiene? quella poca aria, che si contiene nella parte estrema non può ritenere, perche se tutta l'Aria inclusa nel legno non lo ritiene per Aria, ma discende violentata dalla terrestre parte, come potrà quella poca sostenere insieme il legno, & il vaso? ne meno l'aria, che si possi pesare rimasta tra il vaso, e'l legno, può haver forza di sostenerlo, perche se tanta poca ha virtù di ritenere il vaso, & il legno, riterrà certo la medesima gravità, o poco minore in figura Sferica, perche un medesimo peso lo porterà uno sotto qualsivoglia figura; si che non resta veruno scampo, e notisi pure, come un tal solido galleggierà sempre tanto, quanto il peso del vaso lo sommerge sott’acqua. La terza esperienza è, che un Catino di rame fin che non tocca l’acqua viene in giù con moto continuo, ma arrivato all’acqua ne anche spinto, ne ripieno di quel corpo grave si profonda. La quarta esperienza è, che se l'aria sollevasse peso per la figura piana, doverebbe chi pesa a suo pró, o ferro, o piombo fuggir la figura piana, quale farebbe per chi compera. La quinta esperienza è che quelli Artefici, che accommodano i legni da Edifizio Navale, hanno solo riguardo all'acqua, e non punto all’Aria. La sesta, & ultima esperienza è, che se l’Aria potesse sostenere qualche Nave in sù, le impedirebbe il corso perche ritenuta non si muoverebbe. Non dico per hora de' Notatori, che pur si veggono saldi star a galla non per altro, che per la figura. Concludiamo adunque, che il galleggiare in quanto a' corpi leggieri procede principalmente dal predominio dell' Aria, quanto a' corpi più gravi dell’acqua dalla resistenza del mezzo, perche in tali l’Aria inclusa può molto poco. Prova, che l'Aria non potrebbe comunicare la leggerezza alla parte terrestre, LA comunicanza è, o per natura, o per participazione, o per arte; o ver per uso. L'Aria non può comunicare la leggerezza alle parti terrestri per natura: perche la tavoletta non è trasmutata nell'Aria. Ne per participazione; perche non possono gli Elementi comunicar gravità, o leggerezza, se non mediante le qualità alteratrici; come sono le quattro prime degli Elementi. E però non è cosa leggiera, che non sia Aria, o fuoco, o cosa, che habbia predominio da queste. Ne per uso; perche l’uso non si comunica, ma si fa da se, Non per arte propria degli huomini. L’Aria adunque non può in guisa alcuna, tale cominciare la leggerezza alla materia DISCORSO QUINTO. Che la figura sola fa galleggiare il solido. PEr cognizione della verità di questa proposizione si ponga in prima, che niuna sustanza in questo Mondo sollunare opera, se non mediante gli accidenti, che sono convenieti alla sua operazione in quella guisa, che avviene all’artefice, che ricerca gli strumenti accomodati alla sua opera; che non gli conseguendo atti, ne viene in quella più tosto impedito, che apperfezzionato, quantunque l'azione convenga più all'agente primario, che al secondario, Come Aristotile insegna nell'ottavo della Fisica. dicendo, che la causa secondaria non opera per virtù propria, ma per virtù della primaria. E per questo nello stesso libro dice. Che’l primario agente è più nobile del secondario. Per lo qual fondamento è necessario; che la natura, la quale è produttrice de' moti, adoperi qualche strumento, senza il quale non opererebbe. E perciò Aristotile nel sesto della Fisica per la quarta condizione necessaria al moto. Che’l mobile fosse quanto è passibile. Secondo fondamento più particolare pogniamo. Se gli Elementi si deono muovere, conviene che habbiamo qualche figura. La figura è quantità terminata da superficie d’una, o più linee, e questa è quantità continua, e figurata. E perche habbiamo detto, che se lo stromento sarà atto, concorrerà all' operazione, e se nò, che lo impedirà più tosto; sarà ancora manifesto (essendo la figura strumento) che se'l mobile l’havrà conveniente a dividerne il mezzo facilmente egli se ne discenderà più veloce. E se disconveniente, non solo dicenderà con tardità, ma gliene sarà bene spesso impedito interamente il moto. La onde per esplicare la facilità, o difficultà del mezzo. si ha da notare nel terzo luogo, che quanto al mobile: tal differenza nasce dall’essere più, e men grave. come Aristotile nel quarto del Cielo afferma, dicendo, se la virtù della gravità, supererà la resistenza del mezzo, discenderà più velocemente all’ingiù. ma se sarà più debole, soprannuoterà il mobile, che havrà tal gravità, e quanto al mezzo, se sarà più denso, sarà più difficile alla divisione; se più raro, più facile; e la ragione è, che essendo il denso quello, che in poco distendimento contiene gran quantità di materia; e raro quello, che in molto ne contien poca. ne succederà conseguentemente, che secondo le proporzioni delle forze del denso, e del raro ne nascerà la varietà de moti più, o men veloci. Ed in questo opera la figura. Ne seguirà finalmente; che non essendo il resistere altro, che non essere vinto, che è una privazione, come Teodoro Metochita dice nella sua Parafrafi, della generazione, e corruzione, che la figura non produrrà tardità di moto operando, ma resistendo; che è privazione. E così non solo si dee chiamare Strumento della natura operante, che desidera il suo luogo: ma impedimento, e cosa operante, non col mobile, ma col mezzo; perche si come la molta virtù dell'agente è impedita grandemente dalla figura nel minore il mezzo; così la poca è totalmente superata da essa perloche Aristotile nel quarto del Cielo vuole che la figura piana possa far soprannotare certi solidi nel modo, che si è detto, e si dirà appresso. perciò piglisi una materia, che nella figura Sferica vada al fondo, e ridotta nella piana galleggi. dico che si farà manifesto, che volendo ritrovar la causa del galleggiare, e havendo provato, che non puote essere l'Aria, resterà necessariamente che sia la figura: perche le cose quanto sono più acute, e più gravi, penetrano più facilmente; e quanto sono più ottuse, e meno gravi, dividono più difficilmente. Le materie adunque piane galleggiano, per lo mancamento dell'acutezza, e della gravità: toccando l’acqua per lo lato piano: per tali cagioni non potendo rompere la superficie della molt’acqua; come possono fare quella dell’Aria: non si potendo in essa sostenere per la debolezza del suo corpo. La onde paragonando le forze dell'aria, e dell'acqua, si potrà concludere, che se l'Aria sostiene un corpo in alcuna gravità: l’acqua ne sosterrà un'altro in una molto maggiore. E considerata la resistenza dell’un mezzo maggiore, e quella dell'altro, per la maggior estensione delle parti nella figura del solido non sarà difficile comprendere, come l'acqua possa sostenere le materie gravi, in paragon dell'eccesso delle forze divenute per l'accidente detto meno potenti delle sue, servata pero l'egualità delle forze della materia mobile in tutte le parti della figura senza pendere per qualche accidente più da una, che da un'altra parte. Risposte particolari alle proposizioni del Discorso del Galilei. POsti i fondamenti universali delle nostre ragioni; conviene horamai rispondere in particolare alle proposizioni del Galilei, che contengono in se cose conveniente alla nostra presente materia. Dico adunque che di quelle, che nel proemio si ritrvonano, è da concedergli quella. che'l mettere in carta manifeita più la verità, o falsità delle opinioni, che non fa il disputare in voce. si perche, tralasciando altre ragioni, colui, che non mette in carta, può sempre mai negare il suo detto; si ancora perche altri non può così facilmente essendo il tempo della Disputa breve, e fuggevole, in quel subito trascorso sceverare il vero dal falso, e discoprire le fallacie delle cose, che si dicono. questo provano i proverbi seguenti. Il tempo solo è Giudice di tutte le cose, e l'altro. Il tempo tutte le cose occulte conduce a luce. e concedesi altresì la sentenza d’Alcinoo che’l filososare dee essere libero. Ma che dobbiamo stare nella ragione, e nell’autorità nò. non lo consentiamo; perche è palese; che gli huomini grandi fecero sempre grande stima dell’autorità. e Aristotile se ben disse, Amico Socrate, e Platone, ma più amica m’è la verità, nulladimeno citò spesso nelle sue opere diversi Autori. ed enne la ragione. che’l volersi partire dall'autorità seguita da un consenso grandissimo di Savi, e massimamente senza esperienze, e ragioni evidentissime è veramente una cosa temeraria; e porge sospetto, e occasione giusta di dire; che huomo non intenda la cosa più tosto; o vero habbia mente inchinevole naturalmente al falso. A confermazione di ciò è da considerare, che da Aristotile si come non è mai rifiutata la ragione per l'eccellenza del senso; Così nel autorità, ancor che la ragion prevalesse. percioche è una maraviglia della natura, che ella in ogni scienza, e arte habbia prodotto il sovrano Maestro, havendo divinamente in alcuni soggetti adoperato l'ultimo di svo magistero, ed in quelli pur dimostrato le bellezze delle sue idee additandone gli altri, che la si riferiscono, e prendano la norma. Ma lasciamo questi preambuli del Galilei, e vegniamo alle proposizioni, che furono cagione, che egli componesse il suo Discorso, e cominciamoci da quella, che dice, Che in una conversazione di Letterati fu detto, che'l condensare era proprietà del freddo, e glie ne fù addotto l’esempio del ghiaccio; a quali contraddisse: affermando che'l ghiaccio era più tosto acqua rarefatta. Il che crede havere primieramente dimostrato; perche egli sta a galla; che se fosse acqua condensata, per esser divenuto, per la condensazion più grave, non vi starebbe altrimenti. E l’altra ragione; perche l'acqua nel ghiacciarsi cresce di mole; segno, come dice, di rarefazione.   Alle quali ragioni rivolgendomi, dico che la seconda non è vera; cioè, che l’acqua nel gelarsi cresca di mole da per se, affermandosi il contrario, ed alla prima dico, che'l ghiaccio detto dall'agghiacciamento; e costringimento fatto dal gran freddo si rarefà per accidente; come in molte altre materie interviene. perche ristrignendosi in esse alcune parti, alcun'altre per necessità escono non essendo atte a congelarsi, e cosi le dense si rarefanno; e si generano perciò entro di loro alcune porosità, nelle quali penetrando l’Aria, che si ritrvova congiunta al freddo, vi riman rinchiusa, non dandosi il vacuo, le quali cose insieme divengono cause dal galleggiamento suo. Ed argumento di ciò è il vedere che'l cristallo condensato dal freddo è trasparente, per la mischianza dell’Aria, e dell'acqua, come dice Ermino. anzi il ghiaccio, per essere un poco più grave dell'acqua, e per conseguenza dilungato dalla natura di essa, per accidente mediante la ragione della condensazione, essendo, secondo Alessandro nel primo delle Quistioni capitolo sesto, il ghiaccio acqua alterata molto, dovrebbe alquanto discendere: il che non fa divenuto per l’Aria contenuta, che supplisce, e supera la gravità acquistata per accidente, più leggieri. ed in questa guisa un’accidente va contrappesando l’altro. la quale opinione non è invenzione nuova dell’Autore; perche fù innanzi d’Averroe nel comento decimo del terzo del Cielo. che volle, che'l ghiaccio fosse acqua rarefatta, la quale fu da tutti rifiutata. Ma chi sà, che egli non volesse dire, rarefatta per accidente? in quanto essendo dell’acqua uscito lo spirito, e l’altre parti più sottili, che corrispondono all’Aria: viene in quelle parti allargandosi, che rimangono nel constringimento, il tutto a rarefarsi. altrimenti sarebbe contro alla dottrina d’Aristotile, che spesso esclama l'acqua esser condensata dal freddo, e sarebbe contro Hippocrate nel libro del l’Aria, acqua, e luogo. Teofrasto nel capitolo se l'Aria grossa, o sottile conferisca alla condensazione. Ad Alessandro Afrodiseo nel libro della generazione, e corruzione. A Galeno delle facoltà de’ Semplici medicamenti nel primo capitolo, nel 16. e nel 17. e altrove. A Macrobio nel libro settimo de' Saturnali capitolo duodecimo, e Simplicio, e altri infiniti. Il Galilei dice, che di poi gli fu risposto, che'l ghiaccio stava a galla per la ragion della figura larga. alla qual cosa contraddisse asserendo, che la figura non era cagione di far galleggiare, o andare al fondo. Ma di questo parleremo al sup luogo, e volgeremo al presente il nostro ragionamento a quello, che egli va ricercando, cioè la intrinseca, e vera cagione dell' ascendere alcuni corpi solidi nell'acqua, e in quella galleggiare, o vero discendere. Ove egli asserisce, non acquietarsi interamente nella ragione data da Aristotile; e perciò conclude con Archimede essere l’eccesso della gravità dell'acqua, che supera la gravità di quelli. Nella qual cosa dovrebbe pur acquietarsi, poiche non solo per la ragion d'Aristotile; ma per la natura ancora della cosa stessa è noto appresso a tutti gli huomini, che quanto la cosa è più grave, vada tanto più in giù. Anzi Aristotile in poche parole esplica chiarissimamente la cosa ne' libri del Cielo, e in altri luoghi. che le parti per intrinseca inclinazione vanno al proprio luogo, chiamando intrinseca inclinazione la gravità, o vero la leggerezza, e la cagione ne'misti dichiara in una parola farsi il moto loro dall' Elemento predominante. Ma è ben da considerare contro all'Autore, che non conviene chiamare la gravità intrinseca, e vera cagione. Concorrendo ella all'operazione come potenza solamente, e non come intrinseca causa; Appartenendo questo alla natura della cosa, o almeno alla densità come vera causa, se bene accidentale. Ma li principi sono molti, il Cielo, il generante, e qualche volta il togliente lo impedimento. Ia forma, la quale se sia principio solamente passivo, o attivo, o attivo, e passivo; Non è al proposito. la densità; e la gravità. E Alessandro Afrodiseo nel primo dell'anima cap. 2. dice. il caldo, e'l secco facciano spezie di fuoco. E da questi, e in questi è generata la leggerezza. E'l medesimo si può dire della gravità, cioè, esser generata dalla freddezza, tralasciando la Disputa se la qualità degli Elementi siano le forme loro; dicendo solamente, che ancorale alteratrici qualità sono principi de' moti. Però si conclude che volendo insegnare il Galilei ad Aristotile i principi vada cercando di portar la luce al Sole, il quale mentre cerca esplicare il più, o’l men grave; parve che non si curi di abbassare i termini Filosofici. E primo per formar’ una spezie ricerca due cose, ugualità di mole, e di gravità, che sono tra se molto differenti, trovandosi l’una senza l'altra, come dunque forma un'essenza di due enti, cosi separati? oltre che il più, e'l meno non mutano spezie, come dunque più o men grave potrà mutarla? e di poi da al legno la gravità assoluta, e pure è di sua natura leggiere, e nondimeno acciò che per la varia significazione de' termini non s'oscurino i concetti, dicasi di medesima grandezza e gravità, non di medesima grandezza ne gravità di medesima grandezza, ma non gravità, di medesima gravità, ma non grandezza. Adduce poi le proposizioni Matematiche le quali sono, i corpi che soprannuotono deono essere men gravi dell’acqua, e quelli che vanno al fondo più gravi di essa; queste proposizioni appella l’Autore vere, ma difettose, le quali veramente non sono difettose, come egli dice per tal accidente della trave; perche ben che la trave fosse di mille libbre, potrà forse galleggiare sopr'un acqua di cinquanta per essere per natura più leggiere dell’acqua, mediante l’introclusa Aria, e la resistenza dell’acqua, e ben vero che si ricerca proporzionata quantità di acqua per sostenere la trave, quale è quella di cinquanta libbre messa in stretto vaso, si che interverrà il medesimo alla trave come alle Navi, che per Mare galleggiano sostenute dall’acqua sola, che circonda à torno, al che se havesse havuto riguardo l’Autore, non si sarebbe maravigliato della trave gallegiante in acqua di minor peso; ma più tosto che poca acqua in un bicchiere sostenga un altro bicchiere carico di qualche sasso, e per questo assai più grave, il medesimo interviene ne gli altri vasi. Che si dirà adunque? forse che le cose gravi non possino acquistare il luogo loro naturalmente? non dirò io già questo, ma solo per accidente quale è la figura. L’Autore pone l'Aria. e quì è la nostra Disputa, e per questo più accidentale, che essenziale. egli esclama contro la figura; e la Disputa è se l’Aria tiene, o vero l’Acqua, perche la medesima ragione, che muove Aristotile a riguardare la figura per conto dell’acqua, la medesima poteva persuadere il Galilei a metter la figura per ragione dell’Aria, anzi nella resistenza dell’acqua esso da se stesso discorda in più luoghi, imperocche hora dice, che l’acqua resiste, & altrove dice che non contrasta punto. basta che l'Autore niega l'invincibile resistenza dell’acqua. Ma perche il Signor Buonamico conforme alla dottrina del suo Maestro insegna, che ne’ moti degl’Elementi siano congiunte l’inclinazione con la divisione del mezzo, in che riprese Archimede, che afferma, i solidi, che galleggiano, non esser più gravi dell’acqua, ne fu ripreso dal Sig.Galilei; defendendo hora noi la Dottrina Peripatetica, ne verrà anco difeso il Buonamico, il quale nel quinto libro del moto non si quieta nel detto di Archimede, essendosi poco innanzi fidato nel detto di Seneca, che i sassi, e huomini senza notare soprastiano in cert’ acque, e pure i sassi sono più gravi dell’Acqua, hora se l’esempio sia vero, o nò, cerchilo chi non crede a Seneca, a me baslta che la Dottrina sia vera, ma veniamo noi ad altre sperienze. Si vede, che il piombo, e l'oro galleggiano sì per la figura, sì per la piccolezza, e pure non è dubbio, che sono per natura più gravi dell'acqua; Onde assolutamente può esser vero il detto d’Archimede; ma posta la divisione del mezzo per molti riguardi può riuscire falsa, e però Aristotile nel secondo della Metafisica diceva, che l'esquisitezza del parlare intorno alle cose Matematice non bisogna ricercarla in tutte le cose, ma solametite in quelle, che non hanno materia; Non basta dunque dire, che non galleggia il più grave, ma bisogna aggiugnere, che divida il mezzo; perche non lo dividendo senza dubbio galleggerà, e dividendolo si affonderà, come disse Aristotile nel quarto del Cielo, e però l'Autore più tosto doverebbe dimostrare la leggerezza del ghiaccio, perche posto nel fondo ritorna a galla. che perche galleggi, & allora havrebbe concluso, adunque il ghiaccio aereo alquanto poi che ogni solido che sta su l’acqua aereo, e per chiarezza maggiore diciamo, che delle cose galleggianti, altre per la sua natura galleggiano, come più leggieri; altre, o per la figura, o per la piccolezza, ancorche piu gravi non si sommergono. Hora la disputa nostra è di quelle cose che non per la leggierezza, ma per la figura stanno a galla, il che non solamente conviene alle cose gravi, ma aiuta anco le leggieri, che per la figura si tuffano più o meno difficilmente: E per ritornare alla divisione, guardisi, come un legno non solo galleggia, perche è Aereo; perche così l'haverebbe l'Aria sostenuto in alto, come fa la paglia, & altri minutissimi corpi; ma anche per il sollevamento dell’Acqua in modo, che l'Aria resista per starsene al proprio luogo. L'Acqua poi resista al terreno del legno per non dividersi, e più per conservarsi, che per opporsi ad altri, che se l’Acqua cedesse, arriverebbe anche il legno sino al fondo, non essendo l’Aria bastante a sostenerlo, come già si è detto. Hora, che la gravità presupponga la divisione, con due ragioni si può dimostrare. La prima è l'andare, o non andare a fondo si fa trapassando, o non trapassando, che avviene per la maggiore, o minore resistenza, e questa dalla maggiore o minor densità, essendo più o meno parti unite; ma la gravità nelle cose sollunari è effetto della densità; adunque la densità è la principal causa della facile, o difficile divisione, e non la gravità se non secondariamente. L’altra ragione è, che tolta la difficoltà di dividere il mezzo, non ci sarà cagione, per che il più grave più presto si muova del men grave, perche altrimenti si caccierebbe in giù dal mezzo quello, che fusse men grave con prestezza maggiore. Quì fu ripreso il Signor Buonamico, quasi habbia detto, che un vaso di legno pieno d’acqua se ne vada al fondo, e non si avverte, che quel Filosofo non afferma, che vada, o che non vada, ma presupposta l'esperienza ne rende la cagione, e confessa, che questa esperienza è difficile a strigare, basta che sia viva la sua ragione che l'acqua movendosi in giù aggrava per non essere al proprio luogo. Quanto al sospetto, che potrebbe dare Archimede non havendo fatto menzione della divisione del mezzo, ma solamente toccato il cacciamento dell'acqua, come causa di tornare a gallai solidi men gravi di lei, II Signor Galilei dice, che si potrebbe sostenere per verissima la sentenza di Platone, e di altri, che niegano assolutamente la leggerezza contra il Buonamico, & il suo Precettore Aristotile. Haverei quì desiderato, che il Galilei havesse detto se sà, che Anassimandro, e Democrito mettevano I’universo infinito, dove naturalmente non può dirsi ne sù, ne giù, il che ancora negò Timeo appresso Platone per cagione dell’assimiglianza, che per essere il Mondo Sferico ha solamente l’intorno, e mezzo, de' quali ne l’uno, ne l'altro può haver sù, e giù, poiche il mezzo è nel mezzo, e l'intorno verso il suo antipode sarebbe sopra, e sotto. voleva ancora, che tutti gli Elementi fussero gravi, acciòche potessero restare nel proprio luogo, ma Aristotile considerando nel Mondo l'estremo, e mezzo, chiama l'estremo sopra, e'l mezzo sotto, e che naturalmente il sopra prima sia del sotto, si come il destro del sinistro; si che non per l'assimiglianza circulare, ma per la differenza dell'estremo al mezzo vuole Aristotile che altro sopra, altro sotto possa chiamarsi. Hora essendo tre sorti di moti, cioè secondo la grandezza, secondo la qualità, e secondo il luogo non meno del moto locale si fa la mutazione da un contrarto all'altro, che la si faccia negli altri mori; E contrarii sono secondo il luogo sopra, e sotto, e ne rende Alessandro la cagione, perche l’istesso, come tale non può essere in cose contrarie, e però il suggetto all'hora si dice mutarsi quando lascia la prima forma', e ne piglia un altra, hora essendo il luogo forma, e movendosi il mobile dalla potenza all'atto, & essendo questo moto naturale, poiche n' ha il mobile principio in se stesso, ne segue chiaramente, che'l fuoco si muova in sù non per cacciamento de'corpi più gravi, ma per sua natura; Et io conforme ad Aristotile domando hora se il fuoco habbia moto naturale, o no: Non si può negare, ch’egli non l'habbia, perche si darebbe natura senza moto, e havendolo non può all'ingiù; Bisogna dunque, che habbia potenza a salire, perche si muove quello, che può, e non quello, che non può; Questa potenza chiamiamo leggerezza; onde se egli non fusse inclinato per natura al suo luogo, ma che vi andasse cacciato, tal moto non gli sarebbe naturale, ma fuor di natura; poi che tal principio no è a lui intrinseco, ne naturale ma del tutto estrinseco, & violento. E' adunque leggiero il fuoco per sua natura, e non per privazione, anzi vediamo, e lo nota Simplicio, che il maggior fuoco più presto si leva in alto, che il minore, il quale pur dovrebbe esser men grave, che il maggiore: Finalmente tutto quello, che si è detto della Resistenza del mezzo, qua si appartiene. Si concede bene da noi il cacciamento per non darsi il vacuo, e per la continuità, che deono havere le parti, ma quel che importa è la divisione del mezzo. Quell’esperienza che adduce, che l’esaltazione ignee più velocemente ascendono per l'Acqua, che non fa l’Aria, Vorrei, ch’egli dicesse donde ha tal esperienza, e se mai ha visto tali esalazioni astender per l'Acqua; perche ne io, ne altri, con i quali habbia ragionato di questo; siamo stati di vista tanto acuti, che gli habbiamo potuti discernere. Dice poi contra il Buonamico, che tanto è considerare ne’ mobili il predominio delli Elementi, quanto l’eccesso, o'l mancamento di gravità, e però tant'è il dire, che il legno dell'Abeto non va al fondo, perche ha predominio Aereo; quanto il dire, perche è men grave dell’Acqua; Si risponde molto meglio essere il dire, che galleggia il legno per il predominio Aereo, che per esser men grave, perche nel legno notante si deono considerare due cose; l'una è l'immergersi alquanto nell’Acqua, l'altra è il non sommergersi, quella viene per ragione della Terra, questa per la ragione dell'Aria, che si contiene in essso, a quella fa l'Acqua resistenza, con questa non ha combattimento veruno, che non cerca l'Aria andar sotto Acqua, e pur con questa doverebbe esser la contesa, se l’Acqua resistesse al men grave; oltre che già si è provato, che anche i più gravi galleggiano, si che la cagione immediata del galleggiare non è l'essere men grave dell’Acqua, ma il predominio Aereo, con la resistenza del mezzo, come si è detto. Comincia il Galilei con l'esperienze a dimostrare, che la figura non operi nel galleggiare, e l'esperienze sono. La prima d'un Conio, o Piramide fatta d'Abeto, Cipresso, Cera, o altra materia simile, & afferma, che ugualmente tanto la parte larga, quanto l’acuta del Conio, o Piramide penetra l’acqua, donde raccoglie, che niente operi la figura. Al che primo si risponde non essere tale esperienza a proposito, di poi concludere cosa falsa; non e a proposito, perche quando parliamo della figura piana, intendiamo una figura assolutamente tale, quale potria essere una tavoletta d’Ebano, o un quattrino; Ma quando l’Autore parla del piano del Conio, ò Piramide, parla di una sola parte, e perciò non è maraviglia, che’l piano della Piramide per gravità del resto si sommerga fin tanto, che non ritrova tant’acqua a sostenerlo. Se poi rivolgendo la parte acuta verso l’acqua, si vedrà, che tanto della parte più larga resterà fuora dell'acqua, quanto ne restava fuori volta per l'altro verfo; La ragione sarà, perche quando le forze del grave imposto superano le forze dell’acqua, tanto vincerà un corpo più grave, quanto un men grave, e bisogna ben notare, che quella parte della Piramide, che è più facile a dividere l’acqua è più difficile a essere sospinta, e per il contrario la parte, che è più larga, come è più difficile a fendere, così è facile ad esser cacciata, tal che simili esempi non fanno a proposito. Poi che concludono cosa falsa, si vede chiaramete fermandosi la Piramide tutta quasi in un punto dalla parte acuta, e in larghezza dalla base, cioè in più punti, e più difficilmente trapassano più punti, che uno, donde si conosce, che lo stesso Autore forzato dalla verità dice di sotto, che più velocemente vada al fondo una palla, che una tavoletta piana della medesima materia, che da altro non può derivare, che dalla figura; il medesimo si può dire de Cilidri, le parti de quali si profondano per la gravità di sopra, che gli spinge. Quanto all’esperienza della cera, si vede, che ella violentemente è portata sotto dal piombo, e sollevato il piombo violetemente dal sughero, si che in queste violenze non si può vedere quel che operi la figura, e se tal’esempio valesse, varrebbe anco contro la natura, che spesso viene violentata, & in tutti questi esempi si vedrà la diversità dell’operare in diverse figure, secondo il più, o men veloce. In quanto poi a quello, che si dice tanto andare al fondo una tavoletta quanto una palla, quando saranno poste nell'acqua, & esser poste nell’acqua intende secondo la diffinizione del luogo data d’Aristotile esser circondata dall’acqua, e che la tavoletta non si può dir posta nell’acqua, ma sopra l’acqua, non essendo ella circondata dall’acqua, Si risponde, che il ricercare se l’Ebano quando non è bagnato sia sopra l’acqua, o nell'acqua, non fa al proposito di quel che si ricerca, perche si tratta, che cosa sia quello, che lo fa galleggiare quando non è bagnato; oltracciò lamentandosi l’Autore de gli avversari, che posando l’Ebano non bagnato sopra, e non nell’acqua, possono anche quelli ricercare da lui, perche bagnato l’Ebano non si posi nell'acqua, cioè nella superficie, ma sotto la superficie dell’acqua; Diciamo dunque che questi sono rispetti relativi, e differenze di luogo, che non tolgono l’essere una cosa nel luogo, che essere in luogo, parlando però propriamente del luogo, si può intendere in quattro modi, o in quiete naturale, cioè, quando il mobile si quieta naturalmente, o in quiete fuor di natura, quando il mobile si quieta per essere impedito, o nel moto naturale, quando si muove al proprio luogo, o nel moto violento, quando è del proprio luogo cacciato; Hora l’Ebano, o vero il Quattrino si dice essere in luogo mentre che è nell’acqua fuori della natuta sua; perche se l’acqua, che sostiene tal solido non fusse luogo di quella parte, che tocca, ne seguirebbe, che quella parte contenuta dall’acqua non fusse in Iuogo, cosa pur troppo assorda. Quello poi, che l'Autore aggiugne dover essere il luogo della medesima natura, cioè, tutto Aria, o tutto Acqua, si vede nella natura il contrario che la terra è parte circondata dall’Aria, parte dall’Acqua, come, & altre cose patiscono il medesimo. Quello poi, che l’Autore soggiugne, che la medesima figura piana non possa essere hora causa di quiete, e hora di tardanza di moto; Si risponde, che il solido molto dilatato perde della sua forza, e sopra di lui l’acquista di modo il mezzo, che lo sostiene, e ferma, il che non avvenendo in molti per non essere molto dilatati, dividono il mezzo, e tanto più velocemete, o più tardamente si muovono, quanto sono più, o meno atti a dividere il mezzo resistente; onde si vede nell’acqua stessa altri corpi galleggiare, altri andare al fondo, chi più presto, e chi più tardi secondo la maggiore, o minore estensione, tal che la figura giova alla quiete, & alla tardanza secondo diversi modi, e rispetti. dice di poi, eleggasi un legno, o altra materia, della quale una palla venga dal fondo dell’acqua alla superficie più lentamente, che non và al fondo una palla d’Ebano della stessa grandezza; si che manifesto sia, che la palla d’Ebano più prontamente divida l’acqua discendendo, che l’altra ascendendo, e sia tal materia per esemplo il legno di noce. facciasi dipoi un’assicella di noce simile, ed eguale a quella d'Ebano, degli avversari, la qual resti a galla; e se è vero, che ella ci resti mediante la figura impotente per la sua larghezza a fender la crassizie dell’acqua, l'altra di noce senza dubbio alcuno posta nel fondo, si dovrà restare come manco atta per lo medesimo impedimento di figura a dividere la stessa resistenza dell’acqua. Rispondo secondo il Maestro del Galilei, che l’acqua scaccia in sù le cose più leggieri d'essa, e però la figura non havendo nessuna natura in suo aiuto non può fare la quiete, come la fa nelle cose più gravi d’essa acqua havendo il mezzo cooperante per non dividersi. Rispondo di più, che secondo il Gallilei ogni solido penetra l’acqua; onde sarà necessario prelevare il vacuo, che l'acqua sottentri alle cose leggieri, e le mandi in sù per coltello, il che non interviene nelle cose più gravi dell'acqua. Rispondo anco che la cosa leggiera non può stare nel fondo per qualunque commozione, che si faccia nell’acqua nel intrare il corpo, e poi nel ritornare l'acqua nel proprio luogo, le quali parti cercano riunirsi, non così nella parte di sopra per ragione della siccità. Segue l’Autore, che dell'andare a fondo la tavoletta d’Ebano, o la sottil falda d'oro, ne è cagione la sua gravità maggiore di quella dell'acqua, e del galleggiare la sua leggierezza, la quale per qualche accidente forse sin hora non osservato si venga a congiungere con la medesima tavoletta, rendendola non più come prima era, mentre si profondava più grave dell'acqua, ma meno, e tal nuova leggierezza non può dependere dalla figura, si perche le figure non aggiungono, o tolgono il peso; si perche nella tavoletta non si fà mutazione nessuna nella figura, quando ella và al fondo da quella, che l'haveva mentre galleggiava. Qui si contengono più dubbi, che parole; Primo già si è dimostrato, che anco le cose più gravi dell' acqua galleggiano in essa, onde non è vero, quel che si dice, che ne sia cagione la leggerezza, la quale meglio si diceva minor gravezza, quell’accidente poi, che si dice sin hora non osservato; Dall’Autore, forse, non è osservato, ma gli altri fanno esserne cagione la figura, la quale assolutamente non muta il peso, ma che ella non trattenga la tavoletta, si niega, e tocca a lui provarlo; il che non fece, si come si è dimostrato, e però pete il principio il Galilei nostro, e per dare in questa parte qualche sodisfazzione, quando si dice, che la figura non dà, ne toglie peso, bisogna avvertire, che il peso si può intendere in due modi, o alquanto della gravità del corpo in se stesso, alla quale non importa la figura, perche un corpo sotto qual sivoglia figura sarà sempre del medesimo peso, o vero in quanto al mezzo rispetto il quale la figura senza dubbio fa riuscire il corpo più, o meno grave, perche se sarà di figura Sferica, toccherà a poca parte del mezzo sostenerlo, ma se sarà di figura piana, sarà da più parti sostenuto, e per questo sarà men grave in questa, che in quella figura; non altrimenti che più huomini da un medesimo peso vengono meno aggravati, che i pochi. Dice di poi esser falsa la dottrina d’Aristotile, e de gli Avversari, cioè, che la tavoletta resti a galla per la impotenza di fendere, e penetrare la resistenza della crassizie dell’ acqua, perche manifestamente apparirà le dette falde non solo haver penetrata l'acqua, ma esser notabilmente più basse, che la superficie di essa; Si risponde, che non si farà quant’al presente differenza nessuna tra lo spingere, & il penetrare, se bene alcuni la fanno, havendo opinione, che il Quattrino, o l’Ebano più tosto faccia l’acqua essere spinta in giù, che penetrata, ma questo poco importa', perche si chiama galleggiare il rimanere sù l’acqua, cioè non profondandosi il corpo sotto l'acqua, per la qual causa non già si niega mai il subintrare alquanto secondo le parti il corpo galleggiante per ragione della maggiore, o minore partecipazione terrena, che ricerca proporzionate parti del mezzo a sostenere le parti terrestri; altrimenti si negherebbe anco, che i legni stiano su ľacqua; poiche anco quelli subentrano secondo le parti nell' acqua. Ma sia di grazia la nostra Disputa del galleggiare, il che vuol dire non profondarsi tutto il corpo sott'acqua, va di poi dicendo, ma se ella ha già penetrata; & vinta la continuazione dell'acqua, & è di sua natura della medesima acqua più grave, per qual cagione non seguita ella di profondarsi, ma si ferma, e si sospende dentro a quella piccola cavità, che co’I suo peso si è fabbricata nell'acqua? Rispondo; Perche nel sommergersi sin che la sua superficie arriva al livello di quella dell’acqua, ella perde una parte della sua gravità, e'l resto poi lo va perdendo nel profondarsi, & abbassarsi oltre alla superficie dell'acqua, la quale intorno intorno le fa argine, e sponda, e tal perdita fa ella mediante il tirarsi dietro, e far seco discendere l’aria superiore, & a se stessa, per lo contatto aderente, la qual Aria succede a riempiere la cavità circondata da gli arginetti dell’acqua, non è la sola lamina, o tavoletta d’Ebano, o di ferro, ma un composto d’Ebano, e d’Aria, dal quale ne risulta un solido non più in granità superiore all’acqua, come era il semplice Ebano, o’l semplice oro. Per risposta dirò, come l’Autore si fida troppo nell’Aria, refugio troppo debole, e pur sa, che la natura non se ne cura troppo, che l’Ebano, o il Quattrino, o altre cose simili stiano a galla, essendo questo effetto della volontà, o vero Arte, che spesso si oppone alla natura con questo, che anco la imita, per il che la natura non harebbe dato all'Aria tal proprietà contro il suo ordine, e contro la natura dell'Aria istessa di sostener sù l'Acqua le parti terrestri, e che sia contro la sua natura è manifesto, poi che l'Aria più conviene per ragione dell'humidità con l’Acqua, che con la Terra contraria a essa tanto nella qualità attiva, come passiva, onde la Terra più tosto sarebbe scacciata, che ritenuta, come impedimento dell’ordine della natura, diamolo dunque alla resisteza dell’Acqua, dove meglio si vede la prudenza della natura, che vuole unite le parti, come le fece, e non separate. Non si niega il tenere dell’Aria per ragione della resistenza, perche tal modo veramente è naturale, ma ben si niega il tenere per contatto, poiche oltra le dette esperienze in principio è pure chiaro, che levata la contiguità d’alcuni solidi che galleggiano con qualche cosa fluida non si vedono profondarsi anche che sia il fluido più grave dell’Acqua, e non si vede con gli occhi nostri, che alcune figure quanto più entrano nell'Acqua, tanto maggiormente si sostengono, e pure dovrebbe essere il contrario; poi che si sminuiscono le forze dell’Aria. Ne gli arginetti per essere di minore quantità d'Aria, e per consequenza di minore virtù. Nell’Ebano galleggiante appariscono tre cose, la prima, che alquanto discende, la seconda, che fa sponde, la terza, che non si sommerge; hora ricerca la causa della terza apparenza, massimamente essendosi così affondato, e dice essere l’Aria contenuta in quella cavità, che si fa tra l’Ebano, e gli Arginetti. Contra a questo argumento così; Nel modo medesimo tocca l'Ebano l'Aria innanzi, che si profondi, che doppo fatti gli arginetti, ma innanzi non lo sostiene, dunque ne anche doppo si può dir, che l’Aria toccante gli arginetti sostenga l’Ebano; perche non lo tocca, adunque non lo tiene, ne si può dir, che quest’Aria rinforzi quella, che tocca l'Ebano; perche in simili corpi l’una parte non rinforza l'altra havendo ciascuna la sua perfezzione per natura, e senza nessuna varietà non variandosi la natura. Diciamo dunque, che l’Ebano discende alquanto, perche le prime parti dell’Acqua non sono bastanti a sostenere quel peso. E però si ricerca più copia di Acqua tanto, che lo sostenga, il medesimo interviene a legni, & altri simili sostenuti dall'Acqua, che li circonda attorno. Li arginetti poi si fanno, perche occupando l'Ebano quella parte di Acqua: bisogna, che tanta ne salga, quanta è stata l'entratura d’esso; onde quanto più s’assottiglierà l’Ebano, tanto meno s'alzeranno le sponde, e non voglio tacere, che l’Acqua non trascorre per quella tavoletta, perche fugge la siccità sua contraria, come si vede l'Acqua alzarsi versata nella Terra secca, e correre per la bagnata, concludiamo dunque che l'Ebano non si sommerge per la ragione della figura, nel modo, che si è detto innanzi. Quello poi che dice, che dell’Aria, e dell' Ebano, se ne fa un composto, doveva prima a simil composto trovargli nome, e mostrare come per il solo contatto si faccia composizione, e pur io credevo, che la composizione dell'Aria, e della Terra non fusse in altro, che nel misto, nel quale concorrono i restanti due Elementi a produrlo tutti insieme, i quali doppo la pugna ridotti in una contemperanza, e per essa in una concordanza, ancorche siano contrarii, e per un rispetto inimici, per un altro divengono poi amici; In questa guisa dice Ermino nelle sue Quistioni Fisiche, che nella medesima parte di corpo si ritrovano gli Elementi contrari; ma che sia un’altro modo nvovo di composizione tra l'Aria, e la cosa terrea, e massimamente rimanendo l'una, e l'altra cosa nel suo essere, non credo si potrà mai immaginare, perche Aristotile nel secondo delle parti de gli animali pone tre modi di composizione, una de gli Elemenri nel misto, l'altra delle parti similari, e la terza delle dissimilari, poi nel dichiararli in quel luogo, non fa mai menzione alcuna di questa nuova composizione, ne meno niuno de gl’Interpreti suoi nel distinguerla ne’tre modi, cioè di potenza, e d'atto, e di cose perfette, le quali, o si fanno per aggiunzione, o per mistione, o per mescuglio, o vero secondo la concorrenza delle parti discrete in un fine, come la Città, che si compone di Cittadini, e l’universo delle sue parti, se bene che sia tale detta impropriamente composizione; E che questa cotal composizione non sia, dimostriamolo in poche parole, perche nella composizione, e qualche unione, è necessario, che consideriamo quattro cose; cioè la causa, le parti, il fine, e'l tempo; Quanto alla causa non si ritrova, perche chi le compone? le parti? come possono convenire insieme, essendo in tutto, e per tutto contrarie? il fine? che deve esser comune alle parti, mediante la composizione dov'è? se una tiene, e l’altra stà a galla? queste non sono diverse? il tempo? se non si può mai l'Aria disgiugnere dalla tavoletta per non darsi il vacuo, ove si ritrova? Diciamo dunque non essere composizione veruna tra l'Aria, e la tavoletta. Dice l'Autore più di sotto esser falso, che la tavoletta vada al fondo in virtù del nuovo peso, perche l’Acqua nell'Acqua non ha gravità veruna. Si risponde, che l’Acqua non porti gravità, si può intendere in due modi, o immediatamete, cioè quando l'Acqua con l’Acqua è unita e così sarà vera la proposizione; perche la naturale inclinazione è desiderio del proprio luogo conseguitolo si quieta, e per conseguenza non aggraverà più innanzi, si come il saziato non desidera piu il cibo, come nota Simplicio, è pur vero, che l'Elemento nel suo luogo aggrava secondo l’attitudine, e così intese Aristotile quando disse, Che tutti gli Elementi fuor che il fuoco aggravano nel proprio luogo, male inteso, e peggio ripreso da Tolomeo. O s’intende la proposizione mediante un altro corpo, e così riuscirà falsa, perche a questo modo non meno aggrava l'Acqua nell'Acqua, che qualsivogiia altro corpo; e per tanto si sommerge il vaso, havendo dentro Acqua, come se haveste piombo, o sasso, e la ragione forse è questa; perche tal caso la gravità del vaso, e la gravità dell'acqua diventa una gravità, che supera quella dell'Acqua, nella quale per questa causa si profonda. Replica l'Autore, che non è la gravità dell' Acqua contenuta dentro al vaso quella, che lo tira al fondo, ma la gravità propria del rame superiore alla gravità in specie dell’acqua, che se il vaso fusse di materia men grave dell’ acqua, non basterebbe l’Oceano a farlo sommergere. Replico anch'io non esser vero, che la gravità propria del rame lo tiri al fondo, perche rispetto l'estensionè, & assottigliazione del solido fatta dall'Artefice s’è in tal modo indebolita la forza, che non può sommergersi, e così il più forte per natura è diventato per arte più debole, aiutato poi dalla gravità dell' Acqua infusa subito comincia a profondarsi, si che parte per essere spinto in giù dall’acqủa, come alieno dalla natura acquea, parte per essere in moto per il qual più aggrava, & anche per mutare la figura descende più presto, e non avvien questo nella materia notabilmente meno grave dell'acqua, perche si come l’acqua spigne in giù le cose più gravi, così caccia in sù le cose più leggiere, tanto per evitare il vacuo, quanto per il desiderio dell'unione, dove notabil cosa è il vedere nel medesimo corpo una pugna di chi lo spigne, e di chi resiste, ma se la materia sarà poco meno grave, e che per esperienza vada al fondo, come io ho sentito da molti degni di fede, che i legni da navigare in Germania collegati con chiodi di legni, e senza ferro veruno pieni di acqua vanno al fondo, io non vi saperei trovare altra ragione, che quella del Signor Buonamico; Quanto alle più gocciole, che havendo maggior gravità d'una sola non mandono al fondo la tavoletta, e che l’una bagnando tutta la superficie della tavoletta l'affonda; fu risposto innanzi, e però si dice, che non fa la maggior gravità al profondare il solido, ma il trascorso dell’acqua sopra esso lo fa andare in giu; perche quelle gocciole matenendosi qualche poco di siccità sopra la tavoletta, non la manderanno mai al fondo. Et e da considerare come l’Autore all’opposizione, che ha dato contra la risposta, che la tavoletta bagnata andassi al fondo per il desiderio delle parti superiori dell'acqua d'unirsi con l'inferiori, non fu vero, che se concludesse la risposta delli Avversari anco le inferiori parte d'acqua spignerebbono in sù la tavoletta, perche l'acqua per sua natura non ascende mai; oltre che le parti hanno bisogno del tutto e non il tutto delle parti, massimamente che le parti Elementari rimanendo in più perfezzione, che le parti degli Animali, non sono tanto desiderosi del tutto; perche senza quello godono le loro operazioni perfette, e però il tutto non ricerca le sue parti rimanendo anco questo perfetto senza quelle per la mcdesima ragione. Forse alcuno di quei Signori, &c. Innanzi che risponda, notisi che i principi messi dall’Autore nel principio del suo Trattato saranno di poco valore, perche se l’Aria ritiene le cose più gravi dell'Acqua, la conclusione non è per se, ma per accidente, ma principii d’Archimede parlano per se, adunque è difettosa l'opera del Galileo, e più tosto contraria a’ principii che favorevole. L’Autore in questa materia va dimostrando la retenzione dell’Aria con tre esempi, il primo è, che una palla di cera asciutta và a galla, e bagnata va al fondo, e di poi sollevata dall’Aria del'bicchiere spinto in giù rivolto sta a galla. Per risposta s’ha da notare contro l’Autore; Primo, che egli non vuole, che l’Aria operi sù corpi bagnati, e hora dice, che l’Aria porta in su la palla bagnata; Secondo erra volendo, che l'Aria sola la porti in sù, e pur è tale effetto appartiene principalmente all’Acqua, che muovendosi muove le cose in essa, anzi l’Aria si porta dalla Terra, e non porta la terra. Terzo noi disputiamo se l’Aria per contatto sostiene, & egli va mostrando, che porta per moto; Quarto, che la palla bagnata va al fondo per esser bagnata, e pure parendo miracolo che ritornando dal fondo non habbia ad essere bagnata, non rende la ragione di tale effetto, e pure poteva dire non essere più interamente bagnata. Quinto equivoca nel dire, che la medesima Aria la porti in sù, perche se intende dell’Elemento, questo è il medesimo, se intende della parte, come lo può sapere? ne si può conoscere una parte dal l'altra in tanta quantità d’Aria mescolata, ma tralasciando tale esame, & venendo alla Causa dico: Che ogni corpo nel muoversi, se vince l’impedimento, che trova innanzi, lo porta seco; altrimenti resta impedito, e fermo, perche adunque spignendo in giù il bicchiere si caccia dal proprio luogo tanta quantità di Acqua quanta importa la grandezza del bicchiere, e l’Aria contenuta in esso nel trarre fuori il bicchiere, ritorna l'Acqua al luogo suo, e l’Aria anch’ella ricerca il suo, e così mandono per violenza in sù la palla, come anche possono mandare il bicchiere in sù, se non si rivolta per coltello. Il secondo esempio è, che se tufferemo nell'Acqua qualche corpo, nel trarlo fuora ella lo seguita; Si risponde che l’Acqua non seguita quel corpo per ragione del contatto, ma perche havendo quel corpo per quanto è la sua grandezza, levato l'Acqua dal proprio luogo necessario è che ritirandosi l'Acqua sottentri, acciò non resti il vacuo, oltre che questo non fa a proposito disputandosi solo, come l’Aria sostenga, anzi tale esempio haverebbe dimostrato, come l'Acqua tiene, se per il contatto un corpo tenga l'altro, e pure l’Autore attribuisce all’Aria il tenere per ragione del contatto, e lo niega dell'Acqua, se bene più difficilmente, si separano i corpi dall'Acqua, che dall’Aria, perche li sarebbe forse pericolo di levare la contiguità in universale, ma non nell'Aria, poiche subito toccherebbe l’Acqua, come l’Aria tocca l'Aria ne' moti non solamente ritenendo, ma di più spingendo, in che adunque tal esempio gli può giovare? e che vuole concludere? Il terzo esempio è de' corpi solidi, li quali se saranno di superficie in tutto simili sì che esquisitissimamente si combacino insieme, ne tra di loro resti Aria, che si distragga nella separazione, e ceda sì che l'ambiente succeda a riempire lo spazio saldissimamente stanno congiunti ne senza gran forza si separano: Si risponde primo, che la Disputa è dell’Aria contigua al solido, e non di due solidi, che separandosi difficilmente, non però ne segue, che si separi con la medesima difficoltà l’Aria dal solido, come si vede chiaramente per esperienza, oltre che ne questi solidi per tal difficoltà uno toccando l'altro lo sospende, ma ben lo trattiene alquanto fin che per moto, che ha bisogno di tempo entra l’Aria per pericolo del vacuo, overo della contiguità universale; E ben vero che può assai qualche simiglianza, dalla quale nasce l'amor naturale nella natura, e segno manifesto è, che non in tutti li contigui esquisitissimamente si fa tale difficoltà, e pure da tutti è desiderata nel medesimo modo la contiguità universale; Basta che tra l’Aria, e'l solido non interverrebbe tal pericolo, ne è nessuna simiglianza, & anche che fosse niente fa al proposito nostro. Ma questo appartiene ad un’altra materia. Dice l'Autore. Ma perche l’Aria, l’Acqua, e gli altri liquidi molto speditamete si adatta a quella de' solidi senza, che altro resti tra loro, però più manifestamente, e frequentemente si riconosce in loro reffetto di questa copula, & aderenza, che ne corpi duri, le cui superficie di rado concludentemete si congiungono, A questo diciamo, che se la contiguità meglio si fa tra corpo liquido, e solido, che tra due solidi, si staccherà senza dubbio più difficilmente un solido dall’Aria, che da un’altro solido, e pure la sperienza è in contrario, conforme alla ragione che non vuole essere salda la copula del corpo non saldo. Quello poi, che si dice della virtù calamitica con salda copula congiungere tutti i corpi, non si può udire senza maraviglia, che sia tanto la virtù calamitica, diffusa, e comunicata quasi a tutto l’universo; oltre che la Calamita tira da lontano il ferro, non così l'Aria il solido, che secondo l’Autore congiunta lo tiene, & in questo proposito mi sovviene di Blemida, che nella Parafrasi Politica disse, il tenere della calamita essere come fine del tirare, come quello, che tira ha per fine il godere la cosa tirata. Segue l'Autore, e chi sa, che un tal contatto quando sia esquisitissimo non sia bastante cagione della unione, e continuità delle parti del corpo naturale? Io vorrei, che mi si dichiarasse, che differenza si faccia tra squisitissimo contatto unione, e continuità; Primieramente continuo, e contiguo non è l'istesso, e due corpi, ancorche esquisitissimamente contigui non si diranno mai continui, che solo sono quelli, che hanno le parti unite con termine comune, quali non sono i contigui, come può dunque la contiguità essere causa della continuità? oltre a ciò, chiamisi ancorche impropriamente esquisitissimo contatto nelle cose continue, Che differenza sarà tra esso, l'unione, e la continuità? Saranno senza dubbio tutt’uno, percioche non sarà mai uno causa dell'altro. Diciamo dunque, che potendosi questa parola Uno pigliare in tre modi spettanti al proposito nostro, per tralasciare hora l’equivoco, e la ragione, o secondo il genere, o secondo la spezie, o secondo il numero, si come il genere unisce le spezie tra loro differenti, e la spezie gli individui, così la forma corporea unisce le parti del corpo fra di loro separate con maggior perfezzione, che non fa ne la spezie, ne il genere; Onde la parte, che si separa dalla forma non si dirà già mai essere parte del tutto, e la ragione è manifesta, ne fa al proposito nostro. Ecco l'Autore intorno alla resistenza pare contradire a se medesimo parte negando la resistenza quanto alla quiete, ma non quanto alla tardità, e parte negandola in tutto, e per tutto, come si vede in qualcuno di questi suoi esempi, ma se l’Acqua non camina su l’Acqua ne descende per l’Acqua, ne si divide da se, ne si muove al moto d’altrui è necessario concedere che si divide per violenza, e pur chi non sa, che niun corpo desidera la propria divisione? essendo ciascuno fatto dalla natura non diviso, ma continuo. E’l contrario allora è perfetto, q uando ha le sue parti unite. Stando adunque la cosa così non è dubbio, che chi volesse dividerlo, esso resisterebbe al dividente, e cederebbe allora, quando fosse da forze maggiori superato: perche cede veramente, non havendo però mancato di fare quanto ha potuto, per ritardare almeno la vittoria al nimico. E tanto più resiste nel combattere, quanto è più denso. E si vede ancora per esperienza, che quando si spigne con la mano l’Acqua in giù, si sente qualche resistenza, la quale non si sentirebbe; se le parti cedessero solamente, e non resistessero, come anche il medesimo avviene a chi va contro al vento, o a chi fende la terra. Ma torniamo alle ragioni del Galilei, che impugnano la resistenza del mezzo, delle quali la prima è, che se fosse la resistenza, tanto sarebbe nelle parti interne, quanto nelle prossime alla superficie. Alla quale si risponde, che la cosa meno grave dell’Acqua, ancorche galleggi si sommerge in ogni modo più, ò meno secondo la maggiore, o minor gravità. e la stessa Acqua, secondo la maggiore, ò minor grossezza sostiene più, o meno la cosa, che le stà sopra. come per esempio una Nave si solleverà più nell’Acqua salata, che nella dolce. come ogn’altra cosa atta a salire dal fondo, salirà più presto nel Mare, che nell’Acqua dolce. Ma torniamo alla Nave, e diciamo, che questo le avviene, perche la cosa, che sta sopr'Acqua più, e meno vince, secondo la proporzione della gravità sua in paragone di quella dell’Acqua; e sosterrà più la maggior quantità che la minore delle parti dell’Acqua, e però sosterranno più una cosa grave le parti dell’Acqua, che sono prossime alla superficie, insieme con quelle, che le sono lontane, che loro sole, che potrebbono esser vinte dalla maggior gravità: perche, se bene la cosa è più lieve, secondo la natura, ricerca nientedimeno una certa proporzione del mezzo, in proporzione della figura, e della gravità. Il secondo argometo è, che ogni corpo nell'Acqua, se è grave va al fondo, se è lieve sta a galla. adunque cede, ma non resiste. Questo argomento è contro di lui. perche se delli corpi più gravi dell’Acqua, che per loro natura vanno al fondo; altri vanno più presto, & altri più tardi, e delli corpi leggieri altri s'immergono più, & altri meno, ne seguirà necessariamente, che si dia la resistenza; peroche se l'Acqua solamente cedesse, come per termine di creanza fa al nobile il plebeo; non ci farebbe causa alcuna di varietà: perche il cedere sarebbe uno, & indifferente. Adduce seguendo, l’esempio dell’Acqua torbida, nella quale dice, che le materie intorbidanti stanno sei, o sette giorni a discendere al fondo; Il quale esempio fa simigliantemente per noi; perche, se non fosse la resistenza, quelle particelluzze non starebbono tanto a discendere al luogo loro; ma vi discenderebbono in un momento: perloche, quantunque il Galilei si dimostri di mal’ animo contro Aristotile, pure porta le ragioni sue in suo favore. Indi segue dicendo, che non si potrà trovare minima virtù; che alla resisteza dell’acqua all' esser divisa, non sia minore, che se fosse di qualche sensibil potere, qualche larga falda si potrebbe trovare di materia simile in gravità all’Acqua, la quale non solo si fermasse tra le due acque; ma non si potrebbe senza notabil forza abbassare, e sollevare. Si risponde a questo in due modi. Il primo per contraddizione; che da cose impossibili non ne segue mai niente; Impossibile è, che si ritrovi, quanto alla natura, cosa simile in gravità all'Acqua, che non sia similmente Acqua. Impercioche dato il medesimo effetto, ne seguirà sempre la medesima causa; come per esempio data la medesima risibilità all'huomo, & al Leone, ne seguirà, che tanto il Leone, quanto l’huomo sia ragionevole. Il secondo, che dato, e non concesso, che fosse una cosa simile in gravità all’acqua, non havrebbe in essa luogo diterminato, ma per tutto sarebbe il suo. Ci mancava l’esempio, ch’un capello tirasse una trave per acqua. ma rispondiamogli in ogni modo negando, che nella paura, ch’altri havrebbe, che e’ non si strappasse, non si sentisse un poco di resistenza, la quale si pruova manifestamente; perche, se la trave, che si tirerà havrà dalla parte, che ha da fendere l'acqua la figura più larga; o si tirerà per lo traverso dividerà il mezzo con maggior difficultà, che in altra guisa; si che questo argomento ancora, non fa contro Aristotile; perche mossa la medesima trave secondo diversi moti, se non fosse la resistenza, tanto le poche, quanto le molte parti cedendo nel medesimo tempo, e nel medesimo modo non farebbono più difficultà in uno, che in un altro modo. La qual differenza è nota nella differente forma di un Navilio largo, e stretto. E venendo alle sue figure Matematiche. Diciamo, che la proporzione, che pruova in esse, non fa al proposito nostro; perche egli piglia, per concesso in quelle la cosa, che si cerca. Che è errore di Logica. La onde habbiamo di già provato, che la materia, che sta sopra l'Acqua, galleggia in due modi. o perche di natura è più lieve di essa; o vero perche in una certa proporzionata gravità la figura la fa galleggiare. E simigliantemente habbiamo provato, che quella vada al fondo, che non solo eccede nella gravità, secondo la natura; ma che ha ancora le forze maggiori di quelle del mezzo, e le può superare in proporzione. E similmente diciamo, che egli non prvova che un solido di più grave materia debba per galleggiare haver l'aria che lo sostenga; come era necessario: dovendo provare la sua opinione. Si conclude adunque universalmente, che le parti degli Elementi, che si muovono al luogo loro, lo fanno combattendo, e vincendo in maniera tale, che non vincendo non lo conseguiscono mai con la propria loro natura solamente impedite da maggiori forze; come a un sasso sospeso a un filo avviene. però le figure sono cagioni di far galleggiare quel solido, in cui le parti non sono unite, e percio non possono superare il mezzo cooperante con esse. Alla fine viene il Galilei a dimostrarsi più che mai inmico d'Aristotile impugnandolo, e Democrito difendendo, e dando ancora contro all'uno, & all’altro. Mi sforzerò adunque io non di difendere Aristotile, che non ha bisogno di mia difesa, ma quanto potrò dichiararlo solamente, il che farò, non perche Aristotile fosse di nazion Greca, ma per la verità. impercioche se questa ragion valesse, nessun valente Greco nelle scienze havrebbe mai contraddetto all’altro. E pur veggiamo tante Dispute fatte tra loro medesimi. Perloche dico, che chiunque, qual che si sia lo interesse, non pregia, e riverisce la verità, non si dee veramente, il bene dello'ntelletto abbandonando, stimare huomo, ma più tosto'una mala bestia. Torniamocene al nostro proposito, e consideriamo le parole d'Aristotile, che sono. Le figure non sono causa del muoversi semplicemente in giù, o in sù, ma del muoversi più o tardi, o più velocemente. e per quali cagioni ciò avvenga, non è difficile il vederlo. Il Galilei intorno a queste parole dice, che Aristotile nomina le figure come cause del tardo, e del veloce, escludendole dall’esser cause del moto assoluto, e semplice. Ma io non veggio, che Aristotile habbia detto: che le figure sian cause del moto assoluto, e semplice; ma dice, che sono. A’πλωζ, cioè semplicemente cause. e la ragione è chiara, perche Aristotile mai distingue i moti assoluti e non assoluti: ma nel retto, nel circolare, e nel misto. E parla in questo testo universalmente dicendo, che le figure, non sono cause da per se di niun moto. Ne meno intende, che le figure siano cause del moto semplice, e non composto. Ma intende universalmente di qual si voglia moto locale. E venendo all’esplicazione di quella parola, semplicemente credo, che ci potremo quietare nella dichiarazione d’Ammonio nel Capitolo del genere. esponendola in quattro modi. cioè universalmente; particolarmente, propriamente, e vanamente. in questo luogo la prende Aristotile propriamente, volendo dire, che'l moto proceda dall’essenzia della cosa, e non dalla figura, come altri havevano detto, seguendola in quella guisa, che fa l'ombra il corpo: essendo essa accidente, cioè ente imperfetto. E per questa cagione non può produr moto; però che tale opera appartiene alla natura. Anzi essendo il moto più perfetto della figura, ella non può esser causa efficiente d'un effetto più nobile di se; però questa serve alla natura a produrre tale effetto, come all’Architetto servono gli strumenti all’opera. E si nobile è il moto, che rappresenta quasi la natura, che lo fa. Onde non senza ragione gli antichi Filososi chiamarono i moti termini delle nature: percio che si come i termini separano le cose tra loro, così i moti distinguono le nature. La figura adunque non fa altro, che concorrere più, o meno alla intenzione del proprio motore per la maggiore, o minor resistenza, come habbiamo detto. Però conclude Aristotile che la diversità de' moti secondo il più, o meno tempo non può procedere dalla natura essendo la stessa: ma dalla diversità delle figure, in quanto sono cagioni che 'l solido più, o meno vinca. Siano adunque le figure da per se cause non del moto, ma del modo, cioè del più veloce, e più tardo, che si fa per la più, e meno resistenza. Il Galilei segue, che se per Aristotile le figure sono cause del moto più tardo, o più veloce; adunque non potranno essere cause della quiete. Si risponde essere tutto il contrario; che se per essere dilatate alcune figure impediscono il mobiIe dal suo moto, e fanno i moto più tardo; quando saranno molto dilatate lo impediranno totalmente, e saranno causa di quiete, come anche si vede per esperienza, e però Aristotile congiugne nel quarto del Cielo il tardo con la quiete, e li referisce alla figura come causa. Ricerca poi, se alcune figure fanno la quiete; adunque alcune raccolte saranno cause di moto, che è contr'Aristotile. Si risponde che non ci è conseguenza, perche le figure non per se sono cause di moto, ma di modo, cioè più veloce, e più tardo; & anche da per se sono cause della quiete in quanto il più forte per natura, per estensione lo fanno più debole, & il superante superato. Va ancora investigando l'Autore se quella parola, semplicemente; si debba congiugnere con la parola, causae, o vero col verbo, ferantur. A questo diciamo, che si ha da congiugnere con la parola, ferantur, dove la pone Aristotile, ma ancorche si congiugnesse con la parola, causae, non farebbe niente in favor suo. perche Aristotile come habbiamo detto, dalla diversità delle figure conclude il più, o meno veloce moto. Onde se le figure si dessero quali appartengono a gli Elementi, aiuterebbono elle bene il moto loro, inquanto la cosa mossa dee havere quantità figurata. Ma perche in tal caso sono indifferenti, la indifferente natura seguendo, non vengono a variarlo secondo il tempo. perche si come da indifferenti cagioni procedono indifferenti effetti; così dalle differenti, differenti effetti. Dice più avanti nel suo libro il Galilei, che da Aristotile nel quarto della Fisica sono attribuite le cause primarie del più, e men veloce alla maggiore, o minor gravità de' mobili paragonati tra di loro, & alla maggiore, o minor resistenza de' mezzi dipendente dalla maggiore, o minor crassizie. E che la figura vien poi dallo stesso considerata più tosto come causa strumentaria della forza della gravità. E che da queste cose conclude, che la figura per se stessa non farebbe ne gravità, ne leggerezza. La qual conseguenza diciamo esser falsa; perche Aristotile nel quarto della Fisica parla di materie diverse, e nel quarto del Cielo, della maggiore, o minor velocità del moto nella medesima materia per la ragione delle figure. Viene anco l'Autore a battaglia con Aristotile per un Ago, e dubita contr’esso, perche posato leggiermente sù l'Acqua resti a galla non meno, che le sottili falde di ferro, o di piombo. Distrighiamoci di questa ancora dicendo in prima, che il Galilei cerca tra queste cosette se alcuna ne potesse trovare, per la quale gli riuscisse, corre Aristotile in qualche erro retto. come per esempio, d'Ortografia, e non in cose gravi. poi che il fare l’esperienza, se un Ago stà a galla, o no, è tanto facile ad ogn'uno, che non sarebbe stato men facile ad Aristotile, il quale volle vedere infinite, e difficili esperienze. E gli intendenti della lingua Greca fanno ormai, che'l vocabolo usato da Aristotile in questa materia. Bελουη. che in lingua latina significa, acus, significa l'Ago da reti, il dirizzatoio de’capelli, & altri aghi grandi. Perche adunque il Galilei non prese di questi? ma per fare la sua esperienza ne prese uno, che propriamente si dee dire aghetto, o aghino, e non ago; & viene in tal maniera strignere Aristotile, si come non fosse altro. l’Ago, che aghino, e pure Acus, significa per metafora ancora aciculam, cioè, ζαφιδιου oltre che il paragone non si fa mai negli estremi, ma nelle cose più prossime: e però nelle parole d’Aristotile ove dice, e altre cose minori, e meno gravi; cioè, de' larghi ferramenti, e piombo; che se sono ritondi, o lunghi, come l'ago, vanno al fondo. Si deono adunque prendere aghi, un poco minori de larghi ferramenti, e piombo, e non i minimi, i quali soprannuotano nel modo, che afferma Aristotile di alcune cose, per la picciolezza loro nuotano per l’Aria, e l’Acqua, come la rena d’oro, e altre cose terrestri, e polverizzatte. E non è dubbio, che le cose minime si sostengono più nell’ acqua che nell'Aria, se non avviene qualche altro accidente. Contradice ad Aristotile, perche afferma, che l’oro battuto, e la rena d'oro, & altre cose terree, e polverizzate nuotano per l’Aria, negandone la esperienza, e dicendo nuotare commosse dal vento. Al che pur si risponde, che Aristotile in questo luogo parla figuratamente, cioè συνεκδοχιωσ nominando la parte per lo tutto; perche il vento contien due parti, l’esalazione, e l’Aria contigua, che è mossa per violenza. E questo è modo comune di parlare; si come si suol dire, che l’Aria porta alcuna cosa: perche quasi sempre nell’Aria è alcuna commozione. Ma diciamola come sta ψυγμα non si chiama l’oro battuto, ma la limatura, ne Aristotile di che nuoti sù l’Aria, ma sù l'Acqua, come osservò Simplicio, e cosi non occorre fondarsi nel vento. Impugna di nvovo l’Autore la risposta d’Aristotile contr'a Democrito, il quale hebbe opinione; che alcuni atomi ignei, che continovamente ascendono per l’Acqua; sospingono in sù, e sostengano quei corpi gravi, che sono molto larghi; e che li stretti calino a basso: per la poca quantità d’Atomi, che contrasta, e ripugna loro; perche rispondendo Aristotile a Democrito, disse. che ciò dovrebbe più facilmente avvenire nell’Aria; si come il medesimo Democrito ne muove contro di se instanza. ma dopo haverla mossa, la scioglie leggiermente con dire, che i corpuscoli, che ascendono in Aria, fanno impeto disunitamente. Dico, che Aristotile non ha risposto al falso scioglimento di Democrito, perche era fondato sù principii falsi, cioè sù Calidi da’quali voleva si facessero tutte le cole, e contra quelli altre volte haveva disputato Aristotile, e mostratone la vanità loro, tal che sarebbe anco stato vano il trattarne più volte di questi senza proposito, & in vero è quella dottrina una tal pazzia, che mi vergogno io, non che Aristotile a trattarne; e pure poi che pare se ne tenga conto dicamisi di grazia per qual cagione habbino quei calidi più forza di sostener per Acqua, che per Aria? se perche vengono più uniti, ma perche più nell’ Acqua s’uniscono, che per Aria? e dovunque s’uniscono, necessario è che lascino un luogo, e che s’accostino all’altro; nel luogo dunque lasciato non potranno haver forza di sostenere, e pur la forza si vede uguale a tutte le parti; se già non vogliamo dare tanto cervello a gli Atomi, che non altrimenti, che soldati in battaglia vadino soccorrendo secondo il bisogno; e non niego però, che potessero essere a tempo; ma digrazia usciamo delle pazzie tanto espresse. Dice l’Autore, che s’inganna Aristotile non avvertendo, che i medesimi corpi sono men gravi nell'Acqua, che nell’Aria, e però si sosterranno più facilmente in quella, che in questa. S'inganna ben egli doppiamente prima, perche non ha inteso Democrito, il quale non attribuiva il sostenere all’Acqua, ma a quei calidi solamente, e però il sostenere più nell’Acqua, che nell’Aria non fa a proposito di Democrito; dipoi perche non vuole la Resistenza posta da Aristotile senza la quale non si può render ragione, perche una cosa pesi più nell’Aria; che nell’Acqua, perche altrimenti un corpo dovunque sia posto ha la medesima gravità. Adesso l’Aitore si sforza a confutare Democrito non stimando in nessuna maniera la riprensione d’Aristotile contra Democrito; onde dice che se gli Atomi caldi ascendenti nell'Acqua sostenessero un corpo, che senza’l loro ostacolo andrebbe al fondo, ne seguiterebbe, che noi potessimo trovare una materia pochissimo superiore in gravità all’Acqua, la quale ridotta in una palla, o altra figura raccolta, andasse al fondo, come quella, che incontrasse pochi Atomi ignei, e che distesa poi in una ampia, e sottil falda, venisse sospinta in alto dalle impulsioni di gran moltitudine de medesimi corpuscoli, e poi tratrenuta al peso della superficie dell'Acqua: il che non si vede accadere, mostrandoci l’esperieza, che un corpo di figura v. g. Sferica, il quale a pena, e con grandissima tardità, va al fondo, vi resterà, e vi discenderà ancora, ridotto in qualunque altra larghissima figura, bisogna dunque dire, o che nell’acqua non sieno tali Atomi ignei ascendenti, o se vi sono, che non sieno potenti a sollevare, e spignere in sù alcuna falda di materia, che senza loro andasse al fondo: delle quali due posizioni io stimo, che la seconda sia vera, intendendo dell’Acqua costituita nella sua natural freddezza; ma se noi piglieremoun vaso di vetro, o di rame, o di qualsivoglia altra materia dura, pieno d’acqua fredda, dentro la quale si ponga un solido di figura piana, o concava, ma che in gravità ecceda l'Acqua cosi poco, che lentamente si conduca al fondo, dico che mettendo alquanti carboni accesi sotto il detto vaso, come prima i nuovi corpuscoli ignei, penetrata la sustanza del vaso, ascenderanno per quella dell’acqua, senza dubbio urtando nel solido sopradetto, lo spigneranno fino alla superficie dell’acqua, e quivi lo tratterranno, sin che dureranno le incursioni de’ detti corpuscoli, le quali, cessando, dopo la suttrazion del fuoco, tornerà il solido al fondo, abbandonato da' suoi puntelli. Intorno alle parole del Galilei è da notare, che egli primieramente erra volendo, che la figura ampia e larga, che tocca il fondo habbia da esser sollevata da qielli Atomi caldi, che nell’acqua secondo l'opinione di Democrito si ritrovano in pochissima quantità; perche fra la superficie della figura larga, e la parte della superficie della terra, che si toccano fra loro, non può esser quantità bastante a muovere tali figure in sù. Di poi erra perche potrebbe cofutare Dimocrito, con il dire, che qualsivoglia gravità in figura dilatata, che galleggia in sù l’acqua sarebbe anco sostenuta sotto la superficie dell’Acqua, e di più potrebbe anco esser sollevata in alto per la medesima gran quantità, che tanto sarebbe nel mezzo dell’acqua, come nella superficie, poi che l'istessi in numero, che lo potrebbeno sostenere in alto, lo potrebbono anco sollevare in alto. Erra ponendo gli Atomi. Erra ponendo la penetrazione de' corpi, Erra chiamando la caldezza corpo, Erra dicendo che il caldo sostenga, del quale è proprio riscaldare, e penetrare è'l sostenere de' corpi. Erra perche ancora che quelli calidi fussero fuoco, ad ogni modo non potrebbono sostenere sopra di loro le cose terrestri, essendo questi per natura leggieri, e quelli per natura gravi. Erra mettendo il fuoco dentro all’acqua senza esser mantenuto da qualche convenevole materia, Erra perche vuole che sia nell’acqua fuoco senza vederlo, e senza provarlo. Erra perche il fuoco movendosi ricerca il suo luogo, e non resta nell’acqua, Erra perche l’acqua calda non sostiene i corpi più gravi d’essa se non sia per qualche commozione. Erra ponendo moto a gl’indivisibili. Erra perche tali Atomi harebbono sostenuto meglio nell'Aria, che nell’Acqua, perche nell’Aria non sarebbono cosi sparpagliati, come nell’acqua per la contrarietà interposta, Erra mettendo il fuoco nell' acqua senza essere spento, Erra perche il fuoco nell'acqua non sosterrebbe, ma più tosto s’armerebbe contro l’acqua come destruttiva del suo essere, Erra chiamando la caldezza Atomo che si distende con la quantità del subietto, Erra perche chiama indivisibilii corpi ignei. Erra ponendo l’acqua mezzo del moto naturale del fuoco. Erra ponendo i corpuscoli sostenere più in cima, che nel mezzo, Erra perche da al fuoco più forza, che all'acqua, Erra perche l’inconveniente crede essere causa contro Democrito, Erra dando alle cose indivisibili tatto. Erra ponendo essere Fisico indivisibile, Erra perche quelli corpuscoli abbrucerrebbono quelli corpi, e non li sosterrebbono, Erra perche i corpirari non sostengono sopra di se tali corpi gravi, ma si dividono da loro facilmente, Erra finalmente per non ricercare altre minuzie dicendo, che il fuoco partorisca fuoco Atomo per servizio di quelli corpi gravi. Concludiamo dunque, che chi non vuole caminare alla cieca, bisogna che si consigli con Aristotile ottimo interprete della natura, che nel fine del quarto libro del Cielo non se la passa solo con addurre un inconveniente, ma con renderne la cagione bene esplicata da lui, cioè, che il tutto depende dalla più, e men facile divisione del mezzo. cioè, che le cose larghe essendo più spaziose sono causa, che la gravità del solido si appoggia in più punti, e per conseguenza accrescendo anche le parti del mezzo pigliano tanta forza contro il galleggiante solido, che così lo fanno flare a galla. Il contrario è nella figura acuta, nella quale posando la gravità in manco punti, vengono accresciute le forze di sopra, e diminvite quelle di sotto, e conseguentemente vincendosi il mezzo dal solido è penetrato in tutte le sue parti, e si vede per esperienza, che quanto più le figure sono acute, tanto più si sommergono, e questo vuole intendere Aristotile quando dice che le figure piane compredono molto, donde si cava manifestamente, che la figura piana non solo è causa de la tardità del moto ma d’una intera quiete, questo non può intervenire all'Aria per essere molto debole, anzi l'esempio che adduce l’Autore, che un legno tanto vincerà l’Acqua ascendendo come l'Aria discendendo, è falso: perche con questo che nel ascendere non solo è mosso dall’Aria, ma anche cosi scacciato dall’Acqua, a ogni modo ascende più tardi per l’Acqua, che non discende per l'Aria senza comparazione veruna. e quì negherà mai che non si tagli più difficilmente il corpo più sodo che il più debole, per la maggiore resistenza: è falso adunque che non s’habbia a poter ritrovare, o imaginare virtù, della quale la renitenza dell’Acqua, all’esser divisa, e distratta, non sia minore, perche la virtù d’Aria è minore, e per ritornare al nostro proposito benche le strisce fatte d’una falda di piombo, o d’altra materia sopranuotino, ciò non è contro quello, che scrive Aristotile, perche esse galleggiano per la loro picciolezza; E da questo si comprende chiaramente esser falso quello, che asserisce il Galilei dicendo, Che quando ben fusse vero, che la renitenza alla divisione fusse la propria cagione del galleggiare, molto e molto meglio galleggierebbono le figure più strette, e più corte, che le più spaziose, e larghe. Dico esser false simili parole, perche in questa parola stretto, o intende d'un corpo continuo, che habbia la medesima gravità che haveva la figura piana, o vero intende d’una figura stretta, che soprannuota per la piccolezza; Se del primo modo, non solamente non soprannuota meglio tal figura, ma ne meno soprannuota in guisa alcuna; ma lui intende del secondo, come si vede nella tavola A.B.D.C. e però non fa al proposito nostro, perche noi parliamo d'una figura piana, e d’una raccolta, o stretta come d’un’ago, e che habbino la medesima gravità in un medesimo subbietto, cioè in un medesimo corpo continovo. Indi si rivolge pure a esso, che confutando Democrito, argomentava così. Se una gran mole d'Aria havesse maggior quantità di terra, che una piccola d'Acqua. l’Aria, senza dubbio, sarebbe più grave, e discenderebbe conseguentemente in giù più presto dell'Acqua. Si che Aristotile vuole, che la maggior parte di terra, si muova più presto della minore. Il che è falso. Mostreremo noi che non è falso, ma tra tanto dicasi perche più presto in giù si muova il ferro che il legno, ancor che di grandezza disuguali? Questa opinione posta dal Galilei fu avanti del Mazzoni mosso dalle parole del testo d'Arist. che si porranno quì appresso, nelle quali afferma, che più velocemete si muova il tutto, che la parte, per contenere il tutto quantità maggiore. la qual cosa stimando il Mazzoni errore, lasciò nel suo libro scritto; che Aristotile vi cascò, per non haver conosciute le proporzioni Matemathice. Per la quale inconsiderata, & arrogante calunnia, siamo sforzati di nvovo a prendere la dichiarazione d’Aristotile. per lo che fare esamineremo prima le parole del testo; e di poi dimostreremo il senso di esse. Il testo del Mazzoni addotto nel terzo del Cielo è questo. E se si dividerà un corpo, che habbia gravità, come la linea C. E. alla linea C. D. se’l tutto si muove per tutta la linea C. E. è necessario che la parte si muova nello stesso tempo della C. D. la qual cosa il Mazzoni dice essere per esperieza falsa, tenendo, che Aristotile affermi ancora il medesimo nel quarto della Fisica con quelle parole. Lo stesso corpo, e lo stesso peso; per la parola, stesso; che stima, che significhi lo, stesso, secondo la medesima spezie, cioè, secondo la medesima materia. Risponderemo adunque al Mazzoni ancora e dimostreremo in prima gli errori ch’egli ha commessi, e quindi trapasseremo a far manifesto il restante. primo error del Mazzoni è stato haver creduto, che Aristotile non habbia conosciute le proporzioni Matematiche. Ma chi dubita, che questo sia falfissimo? poi che è noto, che gli Studiosi della Filosofia attendevano in que' tempi molto più alle scienze Matematiche, che non fanno oggi i nostri. ne studiava già mai alcuno Logica, che non havesse prima dato opera a quelle. Ma più de gli altri facevano questo gli Scolari di Platone. il cui precetto era, che niuno senza la scienza della Geometria entrasse nella sua Scuola. Come sarà adunque credibile, che Aristotile Scolare suo, il maggiore che egli havesse, vi fosse entrato senza la cognizione di essa? E chi crederà mai, che huomo di si eminente dottrina non l’havesse appresa? la quale imparavano allora i fanciulli, come fanno hora i nostri le lettere dell’Alfabeto. A confermazione di ciò si vede, che quasi in tutti i suoi libri, sono sparse molte cose di Matematica, e principalmente in quelli, delle Meccaniche, ne’quali egli le usò quanto giudicò necessario a suoi insegnamenti. Oltracciò la proporzione appartenente al nostro testo non era si difficile, che senza una molto esatta cognizione di Matematiche non l'havesse potuta intendere, e usare. La quale era, che data parità di proporzione in cose contrarie tanto fosse, per esempio, quella del combattere dodici con quattro, quanto quella di sei, con due. per loche dati nella medesima materia di sasso gradi dodici di gravità, e nella parte del medesimo sei, di necessità ne avvenisse, che'l mezzo havesse a contrastare nella medesima proporzione. E ne seguisse, che’l tutto si dovesse muovere nello stesso tempo, che la parte; quando però nello esperimentarsi la cosa in materia, ne succedesse tale effetto. Ma di questo ne parleremo poi. E concludendo dico, che Aristotile dato, che havesse negata tal proporzione in altri luoghi, non la niega in questo, perche parla in altro proposito. E’l Mazzoni stesso lo havrebbe concesso diverso; se havesse inteso il luogo. Dice adunque Aristotile in quel testo 26. del terzo del Cielo, primieramente che i moti de’corpi sono naturali, perche non si fanno, ne per violenza, ne fuor di natura. Secondariamente dice, esser necessario, che alcuni corpi habbiano inclinazione a gravità, e leggerezza, peroche niuna cosa, si può muovere, che non sia grave, o lieve; è che se sarà grave, si muoverà al mezzo; e se lieve da esso. parlando in questo luogo solamente del corpo sollunare, e non celeste movendosi quello solo circolarmente. E ritornando alla cosa, perche havrebbe forse alcun dubitato contr'Aristotile che un corpo non grave, potesse anche discendere; volendo egli all'incontro, che i gravi solo facciano questo, mosso da ciò, a distruzione del dubbio, argomentò nella maniera seguente, conducendo l’avversario in uno assordo necessario, cioè, che’l non grave, e'l grave, discenderebbono nel medesimo tempo. a pruova di che piglia come concesso, che'l grave debba muoversi più presto del non grave. Et argometa in questa guisa per lettere. Sia A. non grave. Sia B. grave. muovasi il non grave per la linea C. D. e'l grave per la linea C. E. cioè, per la porzione più veloce per ragion del concesso. E dividasi il corpo grave. Se'l tutto si muove per la linea C.E. sarà necessario, che la parte si muova meno. Onde per conseguenza havrà la medesima linea del non grave. cioè C. D. e avverrà, che nello stesso tempo si muoverà il grave, e’l non grave, che è impossibile. Ora per intendere questa cosa è da notare, che Aristotile in questo testo parla d’una gravità minima, della quale non se ne possa dare alcun'altra minore. Il che si prova in questo modo. Pigliamo A. non grave, che si muova per la linea C.D. e piglisi per grave, per esempio un sasso. e muovasi per la linea C. E. e di esso una parte, della quale si possa trovare altra cosa men grave. E muovasi per la linea C.D. del non grave. Ora, perche date le linee uguali, quando una di esse eccede un' altra, necessariamente ancora la sua uguale eccederà la medesima. E perche s'è detto ancora, che'l non grave, e la parte del sasso si muovono nel medesimo tempo, ne seguirà, che'l non grave habbia a muoversi più presto di quel grave, che era men grave della parte del sasso. E per conseguenza si verrà a concludere che'l non grave s'habbia a muovere più presto del grave. che sarebbe una conclusione contro’l concesso, che era che’l grave si muovesse più presto del non grave. Il che sarà non solo conclusione diversa a quella, che vuol fare Aristotile. Ma concluderà contro'l concesso. cosa contraria al modo dell’argomentare. Onde sarà sforzato il Mazzoni, & ogn'altro a confessare, che Aristotile intenda in questo luogo una minima gravità della quale non se ne possa trovare altra minore, e che parli più tosto in astratto che in concreto, e per conseguenza niuna altra cosa non possa di essa muoversi più tardi per corrispondere la minima gravità, al minimo tempo. Onde per non dare Aristotile lo infinito, il quale niega nel primo del Cielo, ove fa corrispondente la gravità, e leggierezza, piglia il contrario di esso, che è il fine; cioè, la minima gravità. Che se pigliasse parte proporzionata, non concluderebbe niente: perche l’avversario negherebbe sempre, che’l non grave potesse muoversi in un medesimo tempo con la parte proporzionata del sasso, massimamente che Aristotile vuole che la parte habbia un grado meno del tutto quanto alla gravità, la qual cosa non è vera nel parlar concreto, dove la parte sempre ha assai manco gradi del tutto. Seguita l’altro suo errore, che credeva, per quelle parole d'Aristotile nel quarto della Fisica, che fosse’l medesimo materia, e spezie. e pure Simplicio, che ne sapeva più di lui, fa la gravità una spezie, e la leggerezza un altra, e niente di meno non direbbe, che tutte le cose gravi fossero della medesima materia, e pur sono della medesima spezie. adunque altro è spezie, & altro materia. perche o pongasi la gravità nel predicamento della qualità, o della relazione, o del dove, o della quantità; Inquanto la gravità segue la moltitudine della materia, sempre sarà una nella spezie; se bene fosse participata da diverse materie gravi, secondo i più, o meno gradi. Commette di nvovo due altri errori il Mazzoni, non di poco momento, il primo negando l’esperienza, che in una medesima materia si muova il tutto più presto della parte. nella quale s’ingannò; perche ne fece forse l'esperienza dalla sua finestra, la quale perche fu bassa, da essa tutte le materie gravi andarono forse ugualmente a basso; ma noi l'habbiamo fatta di cima al Campanile del Duomo di Pisa esperimentando vero il detto d’Aristotile, che’l tutto della medesima materia in figura proporzionata alla parte discendeva più velocemente di essa, luogo veramente a proposito fu, poi che il vento mediante l'impulsione potrebbe variare l’effetto, nel qual luogo non sarebbe mai tal pericolo, e cosi viene avverato il detto d’Aristotile nel primo del Cielo, che’l corpo maggiore, si muove più velocemente del minore della medesima materia. e nel medelimo modo che cresce la gravità, cresce ancora la velocità. E questo testo faceva molto più per loro, che quegli, che hanno citati di sopra. Ma l’error del Mazzoni è stato, che ha paragonato solamente il mezzo col mobile, secondo la grandezza della materia, e non secondo le forze sue. E però la sua proporzione non è a proposito. Si dee adunque distinguere l'eccesso in due modi, o secondo la quantità, o secondo la qualità. Siano v. g. due sassi un maggiore, e un minore. Sia secondo la quantità il maggiore doppio del minore; ma di qualità sia tre volte più. Ora quanto alla quantità procede bene la proporzione del Mazzoni; ma quanto alla qualità non è vera. Perche havendo il maggiore più forze supererà per conseguenza il minore in proporzione rispetto al mezzo disuguale. Ma non si dee pigliare la quantità, senza la qualità; perche se bene l’Aria contrasta secondo l’occupamento della figura, si muoverà niente di meno, per le forze maggiori, o minori contenvte in essa, uno più velocemente dell’altro. Onde si vede, che pigliando ferro, e sasso della medesima figura, si muoverà più presto il ferro, che’l sasso: perche nel ferro la virtù della gravità è maggior di quella del sasso, e per conseguenza egli per l’eccesso delle forze, supererà più le parti resistenti dell’Aria, che non farà il sasso le sue: le quali parti erano tra di loro uguali. Piglisi di poi un sasso, il quale pesi dieci libbre, e ferro, che ne pesi cinque discenderà indubitatamente più presto il ferro del sasso: perche se bene il sasso haveva maggior gravità, per necessità haveva ancora molto maggiore la figura. e così in proporzione al mezzo, le forze del ferro erano maggiori di quelle del sasso. Onde, se bene nel sasso era maggior gravità, ritrovava niente di meno per maggior estensione della figura maggior contrasto nel mezzo. Concludiamo adunque che paragonando insieme la quantità con la qualità rispetto al mezzo, si ritroverà, che la proporzione, come habbiamo detto, sarà disuguale. Ma ritorniamo all’Autore, il quale contraddice ad Aristotile, che argomentava così contro a Democrito. Che se una gran parte d'Aria contenesse più parti di terra, che una picciola quantità d’Acqua, l'Aria discenderebbe per le molte parti di terra più velocemente in giù, che non farebbe l’Acqua per le poche. A questo s’oppone il Galilei, dicendo. non esser necessario, che una gran mole d’Aria per la molta terra contenuta in essa discenda più velocemente, che la picciola mole d'Acqua. Anzi per l’opposto, qualunque mole d'Acqua dovrà muoversi più veloce di qualunque altra d’Aria; per essere la participazione della parte terrea, in spezie maggiore nell'Acqua, che nell'Aria. E la risposta a quest’opposizione del Galilei sia horamai la conclusione di questo nostro Libro. perloche fare, si ha da distinguere la velocità in più modi, cioè, o secondo il maggior moto in paragon del minore, o secondo la propinquità del fine, o la diversità del mezzo, o della figura, o l’eccesso delle gravità di diverse materie, o quello della gravità della medesima, o vero secondo quello della men grave in paragone della più grave ma ridotta in minima quantità. Ora di qual velocità di moto all'ingiù intendesse Aristotile nell’argomentare contro a Democrito diciamo, che egli parlò dell’ultimo modo, cioè dell'eccesso. Per pruova di questo è da notare tre cose. la prima che Aristotile parla di qualche moltitudine, ma non di ogni; perche non fosse intesa ogni moltitudine in paragone di qualsivoglia minor'Acqua. La seconda è che Aristotile non pone minor parte d’Acqua di quella d'Aria, ma assolutamente dice poca; accioche non fosse presa poca in paragone di qualsivoglia maggior parte d’Aria; perche dicendosi, poca, si potrebbe intendere ancorauna gran copia, come interviene per lo più ne' paragoni. La terza cosa finalmente è che Aristotile non congiugne la voce greca corrispondente alla dizzione, poca, con l'articolo, per la cognizione di che è da sapere, che l'articolo significa o la Idea universale delle cose differenti da essa; come insegna Ammonio nel libro della Interpretazione; o vero il proprio, e diterminato a differenza dello’mproprio. o vero significa, ma di rado, cosa detta in universale, ma ristretta al particolare. come afferma Magentino nel libro della Priora. dove Aristotile dice, il piacere non esser buono. Ed in questo modo conviene con la voce, che è senza articolo propriamente. se bene con l’articolo si dice impropriamente, e però Aristotile in questo luogo non piglia ogni poca acqua; ma qual che poca. per non concludere come il Galilei, che conclude adunque ogni maggior parte d'Aria si muoverà più velocemente, che la minor’acqua. la qual conclusione se Aristotile facesse contraddirebbe egli stesso a suoi Dogmi; tra’ quali uno è, che il più grave debba più velocemente muoversi, intendendo più grave o secondo diversa materia, o secondo la medesima. II che si dee prendere in proporzione; poiche qualche volta avviene il contrario, cioè, quando non si piglia la proporzione uguale, ma disuguale; perche in tale estremità si può dire, che non solo le cose gravi si muovono più tardi, ma che cessi poi tutto il lor moto. Cioè, che la terra voli per aria, e che la cosa più grave dell'acqua nuoti sopr'essa. Si come l'oro battuto quel minimo, e la rena volano per l'Aria, e l'Ebano, e l’Aghetto soprastanno all'Acqua. & anche si vede per esperienza come un legno si muove più presto in giù che un sasso piccolo, con questo che è più gravità nel sasso che nel legno, e pure è molto maggiore la quantità dell'Aria in quel legno che non è la terra, ne puo fare secondo il Galilei tanta quantità del fuoco in quell’Aria che la parte terrena con la quale è unita non s’habbia a muovere più presto d’un sasso, o d'altra cosa per natura più grave del legno, molto adunque più presto si muoverebbe dall’acqua che è meno grave di tali materie per havere il suo fuoco secondo l’opinione di Democrito. Concludasi adunque che non solo la terra in minore quantità porta l'Aria, o vero il fuoco in giù, ma anco non può essere cosi trattenuta che non possa muoversi più presto da una minima parte di terra, o gocciola d'Acqua, ma quello in che doverebbe fare il Galileo difficultà è più di sotto, dove Aristotile argumenta, che anche una gran quantità d’Acqua si muoverebbe più presto in sù, che poca d'Aria, ma se poca terra vince molto fuoco, come adunque manco fuoco porterà in sù più terra? Tal dubbio m’induce a credere che Aristotile contra Democrito argomenta havendo più riguardo a' Nomi, che alla natura della cosa, poi che quelli Antichi Filosofi andavano dicendo, che si muovessero gli Elementi hora per il triangolare, hora per la grandezza, & hora per il pieno, & voto, e non ponevano altrimenti la natura principio del moto, e cosi diceva Democrito, che la terra si muoveva in giù per il pieno, & il fuoco in sù per il voto, e dipoi voleva che l'Aria participasse più di voto che di pieno, e l’Acqua più di pieno che di voto, contro di lui Aristotile argomenta, che se per il pieno l'Acqua si muove in giù, adunque una gran quantità d'Aria havendo più pieno che poca Acqua si muoverà più presto in giù, come anche una gran quantità d'Acqua per havere più divoto che poca d'Aria si muoverà più presto in sù, E se bene la gran quantità d'Aria havesse più di voto, che di pieno, e per il contrario l'Acqua più di pieno che di voto, non gioverebbe questo punto a Democrito, perche se per il più voto non venisse in giù l'Aria, non sarebbe adunque vero che il pieno fusse causa del moto all’ingiù, e più di voto dove non s'accelera il moto all'insù, adunque ne pieno è nell'Aria, ne voto nell’Acqua, ne questi possono dirsi principio di moto. si che la Disputa stà ne nomi, e non in Re, come ha creduto il Galilei nostro, oltre che si darebbe repugnanza nella natura degli Elementi, per il pieno, & vacuo, se il pieno per il più voto non facesse il muoversi in giù, ne il voto per il più piano non facesse il muoversi in sù, di più un nome non leva la forza d'un altro, E questo basti a dichiarazione della vera dottrina d'Aristotile. La quale ho difeso, e m'offerisco a difendere. IL FINE. Gli errori fatti nella stampa circa l'interpunzioni, & ortografia, che nella nostra lingua non pare ancora forma di consenso comune, non si noteranno altri, che quelli, che mutassero il senso; ma quelli, che si doveranno dal Lettore riconoscere, saranno i seguenti. Pag. Verso Errore Correzzione. 9 29 si ci 2 43 amici amori 3 35 descrizzioni descrizzione 4 15 la contraria e contraria 6 13 unissero uscissero 6 21 humidi humido 9 28 in Latino che in Latino 9 32 come è l’anima e posposto onde Aristotile 14 8 loro lui 16 12 s’è se 17 17 cacciata cacci 18 24 cominciare comunicare 19 11 habbiamo habbino 19 18 lo la 20 1 Nel minore il mezzo cassa queste parole 21 19 ghiaccio aereo ghiaccio è aereo 27 24 esaltazione esalazioni 27 28 gli la 33 10 si puo non si puo 36 15 e bagnata va e bagnata aggiuntovi un poco di piombo va &c. 36 19 pur è pure 45 7 di che dice 48 29 e qui a chi

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Operetta intorno al galleggiare dei corpi solidi, ecc. Di Giorgio Coresio lettore di lingua greca nel famosissimo Studio di Pisa. Coresios, Giorgio Florence Sermartelli, Bartolomeo 1612

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Operetta intorno al galleggiare dei corpi solidi. All'Illustrssimo, et Eccellentissimo Principe Il Signore Don Francesco Medici. Di Giorgio Coresio lettore di lingua greca nel famosissimo Studio di Pisa. In Firenze Appresso Bartolommeo Sermartelli, e fratelli. MDCXII. Con Licenza de' Superiori.
1612
OPERETTA INTORNO AL GALLEGGIARE DE CORPI SOLIDI. ALL'ILLUSTRSSIMO, ET ECCELLENTISSIMO PRINCIPE IL SIGNORE DON FRANCESCO MEDICI. Di Giorgio Coresio Lettore di Lingua Greca nel famosissimo Studio di Pisa. IN FIRENZE Appresso Bartolommeo Sermartelli, e fratelli. MDCXII. Con Licenza de' Superiori. ALL'ILLVSTRISSIMO ET ECCELLENTISSIMO SIGNORЕ PADRON MIO COLENDISSIMO, IL SIGNOR PRINCIPE DON FRANCESCO MEDICI IL desderio, che ho sempre havuto di corrispondere con qualche virtuoso effetto all' obbligatigissima mia servitù verso il Sereniss. Gran Duca suo frattelo mio Signor m’indusse a formare come ho fatto il presente Discorso intorno al galleggiare de solidi secondo l'opinione d' Aristotile, per l'occasione che già diedero di ciò le superbe Machine fatte nelle Reali Nozze dell' A. S. e la continuata favoritissima sua protezzione verso di me, dedicandolo a V.E. pubblicarlo, cioè porgero al Mondo, la fatica mia stabilita, & illustrata con l'autorità, e splendore di Lei, la quale con ogni riverenza supplico ad accettarlo, e per fare questo nvovo honore, che è grandissimo all'ossequentissima devozione, e servitù, che le tengo, è si per accrescere l'ardire a quelli, che la riveriscono di spendere allegramente il tempo a benifizio universale, con lodevoli fatiche, e riverente all'E.V. Le prego ogni contento da chi può dar ogni bene. Di Firenze il dì 10. di Settembre 1612. Di V. Eccell. Servitore devotissimo, e humilissimo Giorgio Coresio DICHIARAZIONE DELL'OPINIONE D'ARISTOTILE Intorno al galleggiare della Figura DI GIORGIO CORESI NOBILE GRECO Lettore della Lingua Greca nello Studio di Pisa. Contro l'opposizione del Signor Galileo Galilei. SE GLI Huomini si quietassero ugualmente nella cognizione del vero, Illustrissimo & Eccellentissimo Principe, e non fossero più tosto dalla celeste providenza partiti i petti, e gl’ingegni di molto isuariamento: starebbono, senza dubbio oltr’à tutti gl’altri, i letterati in continua concordia tra di loro; e si goderebbono tranquillamente il proprio ozio. Ma poi che questo non è concesso; ma addiuiene, che ciascuno si muova à diversi fini, e ’ntendimenti; e operi, secondo il numero delle forme dell’animo, che non e minor di quelle de' corpi; quindi è, che nascono in altrui l’opinioni diverse: e da queste le discordie il più delle volte, non meno tra gli huomini volgari delle cose loro, che delle scienze tra’ letterati. le quali; come l’altre cose caduche; secondo gli autori, e le qualità loro; camminano à diversi fini di bene, e di male. Non altrimenti che, ne’reggimenti le discordie civili, che mutano le forme primiere: perche altre portano alla dirittura delle Leggi loro peggioramento. & altre miglioramento. Ma se vorremo considerare quali di queste apportino più spesso alcun bene a' mortali; non si dubita, che più spesso d'ogn'altra, il fanno quelle delli scienziati. Conciosiacosa che la loro contenzione illustri sempre via maggiormente la verità delle cose, e la maestà sereni della sapienza humana. Per lo che sono coloro grandemente da commendare, che per acutezza d'intelletto porgono a' dotti occasioni di contemplazioni nuove, e maravigliose, così risuegliando gl'intelletti altrui, troppo per aventura addormentati nell'ozio; ovvero generando nvovi parti al Mondo. Il mouversi adunque qualche volta alcuna discordia tra' letterati, sarà cosa utile, bella, e gioconda, e degna altresì d’un' amator di virtù, e conveniente alla difensione, che si dee prendere degli huomini grandi, e delle dottrine di quegli, in cui altri ha smarrito il fior degl’anni suoi. La onde essendo uscito fuori il discorso del Signor Galilei, e considerate in quello cose degne di impugnazione, ho giudicato grazioso, e forse utile à gl'amici miei, e secondo l’opera, e’l tempo, cosa degna di qualche stima; imprendere in brevi divisamenti ad impugnare con le seguenti mie ragioni, alcune sue proposizioni. Affin chè, da questo, in vn certo modo sprovveduto, e contenzioso accidente, si produca qualche effetto conveniente alla Filofosia: che dourà forse essere, il nascimento di molte considerazioni intorno alla ’nvestigazion del vero. Avvegna chè: come dice quel savio Greco, la dubitazione sia madre della ’nvenzione. E potrà in alcun modo avvenir questo à noi proporzionatamente alle proposizioni, che pigliamo ad oppugnare. contro le quali volgo queste presenti mie ragioni: come amico della verità, che supera ogn'altra cosa in nobiltà. per lo cui abbellimento si ha voletieri à combattere, e soffrite ogni molestia, e fatica; perchè, se per la sanità del corpo si sottopogniamo à cose travagliose, dobbiamo questo molto più fare per essa sanità, e forma dell'anima, che è secondo Aristotile come una tavola rasa. L’obbligo adunque di difender questa, e non altra cosa, mi ha mosso à formare queste ragioni contr’al discorso del Galilei. E stimando che egli l'habbia mandato in luce, per risuegliare più tosto gli animi de' letterati, che per altra sua opinione. Ma perche da' fondamenti, come dice Demostene, si conosce ogn’ azione; terminando hora mai il Proemio, che dee essere, come pur vuole Platone, breve verso gli amici; sarà bene, ch’io mi rivolga à por quelli, che sono necessari à quest'operetta delle nostre ragioni: e lasceremo il giudicare di essi (perciocche gli amici propri difficilmente lascian mutare sentenza altrui) à gl'huomini d'alto, e incorrotto intelletto e discendendomene già già all'opera, porrò imprima in essa i fondamenti universali, e poi i particolari, adattando partitamente alle proposizioni del Galilei quelle risposte, che faranno convenienti alla qualità delle nostre ragioni. DISCORSO PRIMO. Che’l ghiaccio sia acqua per se condensata. LE parole adunque; onde il Galilei prende la mossa alle sue proposizioni; diano cominciamento à questo primo nostro discorso. le quali sono. che trovandosi in una conversazione di letterati; fù detto che'l condensare era proprietà del freddo. e glie ne fù addotto l'esempio del ghiaccio. a’ quali disse. credere più tosto il ghiaccio essere acqua rarefatta, che condensata, perche la condensazione partorisce diminuzione di mole, & augumento di gravità. e la rarefazione fa maggior leggerezza, & augumento di mole; e l'acqua nel ghiacciarsi cresce di mole, e'l ghiaccio esser più leggieri delľ acqua, standovi à galla. Intorno alle quali parole sono da considerare tre cose, che'l Galilei contr'à quei letterati, ó negava il ghiaccio esser condensato; negando essere proprietà del freddo, il condensare, ò vero non negava questa proposizione in universale, ma in particolare sì. Cioè, che’l freddo non condensava il ghiaccio, come l'altre cose. ó vero, egli intendeva, il ghiaccio non essere rarefatto propriamente, ma accidentalmente. E cominciando dal primo modo della distinzione, sarò breve, sì perche la cosa è assai ben manifesta sì perche queste materie sono diffusamente trattate da altri. Ma non per tanto tralascierò le descrizioni d'Aristotile del caldo, e del freddo, nel secondo libro della generazione, e corruzione. ove dice. il caldo è quello che congiugne le cose del medesimo genere. ò vero quello, che disgiugne le cose del diverso. e'l freddo è quello, che congiugne tanto le cose del medesimo genere, quanto quelle del diverso. ma è da notare intorno à tale descrizioni. che se bene la cera, con la pece, e li medicamenti, e altre simiglianti cose, tra loro diverse si congiungono insieme dal caldo; basti che egli fa ancora questo, secondo gl'Interpreti d'Aristotile, per ragion di qualche simiglianza. E'l medesimo ristrigne ancora qualche volta per accidente discacciando le cose humide, come, per accidente, e non propriamente nel fango avviene, cioè non per la virtù dell’operazione; ma per la disposizione della materia, che havendo poca humidità, e quella cacciata dal Sole, viene à condensarsi. E venendo alla descrizione del freddo, egli (quantunque propriamente congiunga le cose, tanto del medesimo genere, quanto quelle del diverso) nientedimeno disgiugne ancora per accidente scacciando le cose sottili. Come si vede nello ’nverno, che mediante il costregnimento del gran freddo, vengono premute le lagrime da gl'occhi. dileguandosi nel medesimo modo per lo agghiacciamento le parti sottili dall’acqua. Ma torniamo alle descrizioni d’Aristotile, che non è da dubitare s’elle sian vere; perche elevandosi dalla terra, e dall’acqua riscaldati da' raggi del Sole operanti la rarefazione; due aliti esalazione, e vapore; le parti della terra per cotali ragioni, divengono rade, e si convertono in esalazioni fumose. Il vapore per lo contrario, levato in alto, e congelato dal freddo, e per la gelazione condensato, si fa pioggia, o rugiada, o brina, o grandine, o neve; e simigliantemente dal caldo s'allargano i pori ne’ corpi degli animali, e li medesimi dal freddo per contrario si ristringono; e queste, con altre simili cose, sono manifeste al senso; como anche è manifesto la cera liquefatta, rappigliandosi dal freddo, unire mescolatamente insieme sassetti, e altre simili materie, le quali sono poi dal caldo disunite; e questo è si chiaro, che se alcuno lo volesse negare, negherebbe, oltr’alla ragione, ancora il senso; principalmente considerando, che le nature, le quali hanno queste operazioni, sono tali; cioè che'l fuoco, e l'aria sono rari, e perciò rarefanno, e l’acqua, e la terra sono densi, e perciò condensano e ciascuno di questi da solamente quello, che ha, e non mai quello, che non ha. Onde Simplicio nel comento 70. del terzo del Cielo dicea, questo proposito eccellentemente in questa guisa. E simigliantemente, e li Pittagotici ricorrendo alle figure piane, e stimando le figure, e le grandezze essere le cause del caldo, e del freddo. Impercioche quelle, che sono disunitive, e divisive ritenevano senso di caldo: e quelle che univano, e condensavano ritenevano quello del freddo. E percioche ogni cosa secondo la sostanza vien di poi fatta quanta. Ma la figura eziandio che ella sia qualità, nientedimeno è presa del genere della quantità; per lo che ciascheduno de' corpi è un quanto figurato. E nel medesimo luogo soggiugne. E questa instanza sciogliendo Proclo dice, bene al producente il freddo essere stata assegnata conveniente figura, e bisognare insieme ridurre a memoria del caldo; in che modo non dicevano la Piramide essere il caldo; ma la virtù incisiva per quella acutezza, che è secondo gli angoli, e per quella sottigliezza, che è secondo i lati. Che adunque il freddo, ne esso sia il primo, si come, ne il caldo; ma la virtù di alcuna figura, e che, come questa è divisiva, così quella è unitiva per iscacciamento; e che, come questa secondo l’acutezza degli angoli, e la sottigliezza de' lati, così per lo contrario quella, per l’ottusità degl’angoli, e grossezza de' lati opera. La contraria virtù adunque questa a quella non essendo contrarie le figure, ma le virtù, che sono nelle figure. E’nferisce la ragione non figura; ma virtù contraria. Qualunque per tanto hanno angoli ottusi, e lati grossi, queste hanno virtù contrarie alla Piramide, e sono unitive de' corpi. Ma tali Elementi de’ tre corpi, per lo che tutte le cose unitive sono costrignenti per iscacciamento; E solo il fuoco, come detto habbiamo, è disunitivo. Ne più oltre del primo modo della distinzione. E venendo al secondo; se l'Autore concede, che’l freddo condensi; ma non il ghiaccio. Sarà una maraviglia; che condensando egli tutte l’altre cose, rarefaccia solamente l’Acqua. E massimamente perche essendo l’operazione d’esso una in numero; come potrebbe mai fare cose contrarie, in un medesimo tempo. Ma che 'l ghiaccio sia acqua condensata, e non rarefatta dimostrisi con queste ragioni. Il ghiaccio si fa lo ’nverno, quando il freddo costrigne tutte le cose. costrignerà adunque altresi lo ghiaccio: perche essendo il freddo una causa, non può produr due effetti, e contrari in un medesimo tempo. Il ghiaccio, se fosse acqua rarefatta, non costrignerebbe insieme cose diverse: perche le cose quanto più son rarefatte, tanto meno ritengono. Le cose più sensibili al tatto, & più vifbili sono più dense, il ghiaccio è più sensibile al tatto, & più visibile, che l’acqua. adunque il ghiaccio è più denso d’essa. Le cose, quanto son più dense, tanto più difficilmente si tagliano. il ghiaccio più difficilmente si taglia, che l’acqua. adunque è piu denso di essa. e tagliansi più difficilmente le cose più dense: per l’union maggiore delle parti; quando però non fossero secche: come il ferro, per la cui durezza, il piombo, ben che sia di lui più denso, nulladimeno più facilmete si taglia. ma parliamo delle cose del medesimo genere. E cosi sarà vero, che mai le cose diventando più rare siano più forti, perche vengono a disunirsi, e la disunione partorisce la debolezza. Quello, che si rarefà, e s’assottiglia dal caldo. innanzi è costretto dal freddo, questo avviene nel ghiaccio. adunque non è raro, ma denso. Il ghiaccio, se non fosse fatto per congelazione, nessuna ragion ci havrebbe, per la quale non essendo dell’acqua più freddo, e' si facesse in ogni modo sentir più gelato; come e’ fà. Se questa non fosse la densità, la quale, per haver maggior quantità di parti, opera più; In quanto nella maggior quantità, e maggior virtù. Come si vede, che il caldo abbrucia più nel ferro infocato, che nella fiamma. E per la medesima ragione il ghiaccio è ancora secco, e si ditermina da' termini propri dileguandosi per lo costrignimento, e gran frigidità, contraria all'humido, le parti humidi in esso; percioche, si come l'humidità non può stare col gran caldo; com’è quel del fuoco. Così non può stare con l'estremo freddo. Se'l ghiaccio non si facesse, per costrignimento, qual sarebbe la ragione; per la quale, l’acque delle nevi, e de' ghiacci fossero mal sane? Se nel costrignimento, come dice Hippocrate, e Aristotile, non unissero le parti più sottili, e rimanessero le terree; e da questo nasce, che nel disgelarsi il ghiaccio, o la neve, l'acqua non ritorna mai in quella medesima quantità, che era innanzi alla congelazione. Il ghiaccio, se fosse più raro dell'acqua, si dissiperebbe più facilmente di essa; ma veggiamo il contrario: che resiste più: adunque è più denso di essa, e più resiste. Come degli Elementi; l'acqua, e la terra resistono più, che'l fuoco, e l'aria, come che questi habbino maggiore operazione. E finalmente se'i ghiaccio non fosse cosa costretta, e condensata, non havrebbe, ne da' Greci, ne da’ Latini, ne da altri, conseguito nome di tal concetto. i quali essendo nel corso di tanti secoli stati tanti, e di sì gran valore nelle scienze; non farebbe mai stato possibile, che tutti si fossero ingannati. perche; lasciando altri argomenti, che si potrebbono fare; seguiam il proverbio, che dice. lascia anche qual cosa a’ Medi. Se poi il Galilei intende, il ghiaccio essere acqua rarefatta per accidente: come diremo poi. è errore il contradire in quella maniera, che fa: perche non si niega mai la proposizione necessaria per accidente alcuno. Se egli però non volesse ancora negare che Pietro fosse sustanza: perche come Padre, o Filosofo, fosse accidente. Percioche, si come questo non si dee fare: così ancora non si può negare che 'l ghiaccio, non sia condensato, se bene per accidente è rarefatto. Ma è da distinguere la rarità: secondo le diverse cause: delle quali una è secondo la sottigliezza delle parti, di cui Giovanni Grammatico nel secondo della generazione parlò così. L'Aria diciamo rara, e l’acqua densa: non perche le parti dell'aria siano distanti tra di loro, e habbino interposti vacui: perche veramente niente è di vacuo nell'aria; ne altro corpo è interposto tra le sue parti. Ma perche l’aria ha fustanza sottile, e l’acqua grossa. E pare, che questa densità proceda dalla sustanza del freddo, e la rarità del caldo. L’altra rarità è la quale non consiste nella sottigliezza della sustanza; ma nella distanza delle parti tra di loro; come nella spugna. E questa rarità è quella, che si fa nel ghiaccio, poi che non tutte le parti dell’acqua sono atte à congelarsi, ma quelle, che hanno, qualche siccità per tenere più di terra, che le fa anche più grosse, e però le parti più sottili, come inette sono cacciate, e per supplire al vacuo, parte si costringono le grosse, e parte vi resta l'Aria, che l’agghiaccia. DISCORSO SECONDO Nel quale si pruova, che Aristotile senza ragione è biasimato dall’Autore intorno a' Princìpi del discendere il solido. ORa; poi che l'Autore dice, che Aristotile non conobbe che’l più grave discendesse più giù; Cioè, che le parti terree non cercassero d'andare al lvogo loro; Cosa veramente che non solo da Aristotile, ma ne da niun altro, quantunque rozzo, è stata mai ignorata; toccherò per necessità alcuni luoghi del medesimo Aristotile, da' quali si cava la vera specolazione di questi principi. E perche il discendere, come il salire son moti secondo l’Ove. considereremo intorno a ciò alcune cose per conoscere quello, che fa di bisogno in questo proposito. Dico per tanto, che nel moto locale degli Elementi si hanno da considerare cinque cose. Il movente principio del moto; il mosso; il luiogo; la causa finale; e’l tempo. Quanto al principio o ver causa, si distingue in due modi, nell’essenziale, & accidentale. E dall'essenziale, che produce il moto, cominciando; Intorno ad essa considereremo cinque opinioni, differenti l'una dall’altra. poi che. Empedocle hebbe opinione, che'l Cielo fosse principio scacciando col svo rapidissimo moto gli Elementi. Che fu in questa guisa rifiutata da Aristotile. Se'l Cielo scacciasse gli Elementi, i moti loro sarebbono violentati. Oltracciò l’Aria non si muoverebbe in giù, ma sarebbe scacciata dal Cielo. Altri dicono, che non havendo il Cielo altro moto, che quel della luce, non può muover gli Elementi. A questo aggiungo, che l'agente sarebbe molto lontano dal mosso. Ma s'Empedocle non havesse detto altro, che quello, cioè, che’l Cielo fosse principio, senza quell'altre parole, che scaccia gli Elementi; non direbbe forse una novella. Considerando io, che Aristotile nel terzo delle Meteore ci insegna, che le qualità degli Elementi procedono dal Cielo. anzi, come saviamente dice Ermino, il Mondo inferiore al superiore viene ad essere, come materia all’operante. E però i Filofosi dissero; che, tutte le cose del Mondo sottano si governano dal sovrano costituite da esso per azione, ovver privazione. E la seconda opinione fu di quegli, che pensavano che’l luogo fosse principio; perche il desiderio d’esso muove gli Elementi ad acquietarsi, e riposarsi in lui. Ma egli non è veramente causa, ma è più tosto causa di quiete, che di moto. E' adunque causa finale, e non efficiente. per lo che Alessandro, e Simplicio dividono il moto dell'Elemento in due modi, nel proprio, in quello, cioè, che riceve dal generante per acquistare il suo luogo, e nell’accidentale: quando uscitone cerca di riacquistarlo. la onde è manifesto, che’l luogo è causa finale, e non agente. Habbiamo fino a quì veduto il mosso, e'l luogo. lasciata al presente la causa finale, di cui parleremo poi. La terza opinione fu di quelli, che tennero principio il generante; poi che, chi da la forma, da ancora le cose, che la seguono. Ma questi parlano delle parti degli Elementi, che sono generabili, e corruttibili, e non del tutto. Generante sarà poi quello, che trasmuta da un'Elemento a un’altro; qual che si sia o Sole, o Elemento. La quale opinione si conferma con due prove. Una d'Aristotile, il quale nell'ottavo della Fisica, e nel quarto del Cielo: facendo differenza tra le cose animate, e inanimate; dice; l'animate muoversi da principio intrinseco, e l'inanimate da estrinseco, cioè, dal generante. E l’altra, ben che sia anzi ragione, che autorità; nulladimeno è fondata in Aristotile, ed è questa. Che ogni cosa, che si muove, è mossa da altra; perche niuna cosa può da se medesima patire; ne esser più nobile di se stessa. Conciosia cosa che l'Agente sia più nobile del Paziente. La quarta opinione fu di coloro, che vollono, la causa essere, il togliente lo impedimento inquanto, essendo lo Elemento impedito da lui nel muoversi, chi lo toglie, opera che l'Elemento vada al luogo suo. Ma questa è causa per accidente. E conferisce a togliere lo’mpedimento; ma non al moto naturale dell’Elemento: ed evvi ancora altra ragione, che la causa volontaria non può produrre effetto naturale. La quinta, & ultima hebbero quegli, che dissero muoversi li Elementi dalla propria natura; cioè dalla forma: essendo la materia solamente radice delle passioni. perciò affermarono alcuni, in latino si dice, Actus: perche agit, non havendo considerato loro, che in Greco si dice εντελεχεια. per haver ridotta la cosa nel fine. come la significazione del vocabolo vuole. Si che dice fine: per lo quale la natura opera propriamente come è l'anima. Significa anco l'operazione; in quanto anch’essa è come fine, onde Aristotile chiamava la natura fine di ciascuna cosa. Ma ritorniamo al nostro proposito. Cotale opinione fù fondata nel testimonio d’Aristotile nel 2. della Fisica, ove dice a distinzione delle cose naturali dalle artifiziali, le fatte dall'arte non havere in se stesse per se principio di facimento; adunque le cose naturali havranno in se stesse principio attivo. e nello stesso libro egli dice haver detto per se, e non per accidente; per cagione del Medico sanante se stesso. E tale fu l’opinione di Temistio nell'ottavo della Fisica. ove parla così. Diciamo il fuoco da altro esser mosso all’insù, e la terra all'ingiù; perche da altro son fatte queste cose, e non si fanno da se stesse. Ma quando sono generate subito, e per quella natura, per la quale sono generate, operano. Fondata in quell'autorità d'Aristotile, nel secondo della Fisica, che vuole, che l’effetto esistente in atto habbia in atto esistente la causa. E nel secondo della Posteriora. ove dice dell'effetto passato esserne passata la causa; del presente la presente; e del futuro la futura. Ma horamai, e forse con brevità habbiamo palesata la specolazione d’Aristotile intorno a’ principi de’ moti. Parliamo adunque degli accidenti, come siano loro principi. Ma perche opera la natura sempre, mediante i suoi strumenti, che sono accidenti. Di questi noi considereremo solamente quegli, che conferiscono a tali moti. per chiarezza della qual cosa dico, che la sustanza di sua natura non è ne grave, ne lieve. Si fa adunque tale acquistando certi accidenti, i quali Aristotile nell’ottavo libro della Fisica. e nel terzo del Cielo riferisce alla densità, o rarità; veggendosi manifestamente, che'l fuoco, e l’Aria sono rari, e l’acqua, e la terra densi; perche si come la gravità dipede dalla strettura grande delle parti. così la leggerezza dalla largura di esse. E se mi dicesse alcuno che’l corpo celeste è denio, ma non grave adunque la densità non è causa della gravità: gli risponderei che noi non parliamo del corpo celeste, che ha l’essere diverso dalle cose presenti: cioè più persetto, oltracciò dico, che non ogni sustanza esequirà il medesimo efetto, datole il medesimo accidente: perche si ricerca tal sustanza. Onde diciamo, l'acqua, e la terra solamente secondo la forma loro possono fare tal’effetto mediante la maggiore, o minor densità: secondo la maggiore, o minore inclinazione verso quest'accidente della densità e così eziandio de misti quel, che ha più densità, è più terreo per essere la terra densissima, e tanto maggiormente questo interverrà, quanto le parti terrestri sono più pure, e quel, che participa dell’ aqueo in tal parte è men denso della terra; per essere l’acqua men densa d’essa. Ma torniamo al proposito. La densità è adunque causa della gravità, come la rarità della leggerezza. Or lasciata quella, dico, che la gravità non è altro, che un’attitudine, e naturale inclinazione al luogo inferiore; come la leggerezza e naturale attitudine al superiore. Onde non essendo altro, che potenza non opera; ma sì bene è attitudine della causa nell’operare. Di più l’operazione si fa da Atto; adunque non da potenza. E perciò non si dice mai, che la gravità muova; come a uno, che domandasse perche l’huomo rida? non si risponderebbe ride; perche egli ha la potenza; ma perche ha la razionalità. per lo che habbiamo ancora noi detto, che la gravità è principio come potenza. la qual cosa considerò Aristotile ne' libri del Cielo; ove spesso nominò gravissimo quello, che stà di sotto a tutti; e leggerissimo quello, che sta di sopra a tutti. di poi disse, esser grave quello, che va al mezzo, e all’ingiù. E ne’nsegna, che gli Elementi gravi si muovono all’ingiù per la gravità, & i leggieri, per la leggerezza all’insù. Onde è manifesto, che pigliandosi la gravità in due modi, o secondo la natura, o secondo il moto; Aristotile ne parlò tanto chiaramete dell’uno, e dell’altro; che quasi niuno degli interpreti v’ha, che non habbia cavato da lui che la gravità, e la leggerezza sono principi strumentali del moto; poi che c’insegnò come i corpi si muovono mediante l'interiore inclinazione loro, e tal inclinazione non sia altro, che la gravità, e la leggerezza. Rimane il tempo; cioè, quando si muove il mosso. conciosiacosa che essendo il tempo numero de’ moti; non possa mai essere moto senza tempo; e però Platone lo diffinì. Immagine mobile dell'eternità, ed intervallo del moto del Mondo. e fece il medesimo Aristotile chiamandolo numero. onde il moto si dice temporale, non perche si faccia in tempo, a guisa d’azione; ma perche è misurato da esso facendosi l’azione nello istante; come la intellezione, la illuminazione, e simili altre cose. Il moto adunque non è azione. Ma in che modo è misura il tempo? La misura è secondo Simplicio, o numero, o grandezza, o luogo, o tempo. il numero misura la distinzione. la grandezza misura lo intervallo; il luogo la posizione. il tempo l’estensione della generazione diterminandola secondo il prima, e'l poi. Ora presupposto questo fondameto si tolgono via due cose, il vacuo, e'l cedere. Il vacuo; perche se non fosse la continuità del mezzo, che, per la successione delle parti ritarda il moto, non potendo essere in un medesimo tempo in tutte le superiori, e inferiori; non sarebbe mai moto. è adunque necessario il mezzo. Si toglie ancora il cedere senza resistenza più velocemente muovendosi il più grave del meno. all’incontro nuotando per l'aria alcune cose di minima gravità, e altresì per l'acqua. si farà variazione per la figura, e secondo il mezzo; perche si muoverà una cosa più velocemete nell'Aria, che nell’acqua. e un sasso si muove ancora più velocemente nel fine, che nel principio; e più velocemente da un luogo più alto, che da un più basso. Similmente una nave s’immergerà più nell'acqua dolce, che nella marina, e nella stess’acqua un legno, quanto sarà più grave si profonderà più. e la causa di questo non dipende da altro, che dalla resistenza del mezzo; in quanto ella più, o meno vince. ove se le parti havessero a dar luogo senza resisteza, non si vedrebbe la cagione; perche dessero più luogo ad uno, che ad un’altro; e come si facesse la variazione. Onde l’opinione di coloro, che stimarono che'l mezzo, e la figura non operasse proporzionatamente al ritardamento del moto del mobile, fu sempre mai stimata vana dagli huomini savi, ma trapassiamo horamai all'altro Discorso. DISCORSO TERZO. Pertinente all’esamine delle cagioni del discendere il solido. A Formare questo Discorso mi muove il dubbio, che nasce contro la naturale aspettazione, stimandosi che i corpi più gravi dell'acqua non galleggino, ma discendino al proprio lvogo, come l'autorità d’Aristotile, e d’Archimede conferma. e la ragione di questo è. perche la natura, che diede loro il proprio luogo di sotto come perfezione, gli diede ancora la maggior densità, accioche se lo perdessero, lo potessero di nuovo ancora racquistare; il qual fine non conseguirebbono; se per la maggior densità non vincessero, che contiene più forze della minore; da che nasce la pugna: percioche il corpo più grave dell’acqua vuole acquistare il proprio luogo: e l'acqua non vuol soffrire il suo nimico appresso. in un certo modo suo nimico mediante la siccità, e la gran freddezza della terra, che se bene non contraddice a quella dell’acqua, gli è nulla dimeno contraria in quanto la gran freddezza della terra porta seco gran siccità, che muta la natura, o almeno l’altera molto; quando però è meno; come nel ghiaccio si vede. perche Alessandro nel libro primo delle Naturali Quistioni disse l’acqua mancare più di suo essere per la perdita dell’humido, che del freddo. percioche ella patisce, per passiva qualità, che non vuole, come corpo, ne meno patir la sua divisione. Come habbiamo già detto. Ma da questo fondamento nasce via più maggior maraviglia, perche il corpo più grave non conseguisca il proprio luogo; ma si stia sopra l’acqua. La qual cosa Aristotile considerando solve riducendone la causa alla figura piana: come quella del Quattrino, o della tavoletta d’Ebano. La riferisce dico a una certa resistenza dell’acqua non superata da quella. la qual resistenza è di due sorte. una, che ritardando alquanto la vittoria all'inimico, è alla fine superata. e l’altra, che non è superata. questa seconda si fa tra l’acqua, e la materia terrestre in due modi: uno per ragion della figura del solido, il quale per haver le sue parti distese è debole; e l'altro per la sua minima forza, per la quale non può vincere le forze inferiori; e questo secondo modo non toglie il detto d’Aristotile, e d’Archimede, se bene in astratto, come di poi diremo, che parlano secondo il proprio modo del favellare; cioè, che data la medesima proporzione del più, e men grave; il più grave supera, e'l meno nò. In contrario. la seconda resistenza è molto sproporzionata, e non fa niente in questo caso. Torno adunque a dire; che chi conoscerà la resistenza del mezzo, non havrà difficultà a intendere in qual modo le cose gravi galleggino; come si è di già detto. ma chi non conosce questa resistenza, è necessitato riferirne la causa all’Aria. e la ragione è perche se l’acqua solamente cede, e non resiste alle parti del solido, non potrà sostenerlo, ma cederà alla sua sommersione. Sarà dunque altra la causa, che la sosterrà. e questa sarà l’aria, concluderà un cotal bello ingegno. ma all’incontro, se si farà manifesta la verità della resistenza, come s’è fatto in parte. E come la esperienza dimostra; cioè che'l Quattrino non istà in aria; ma in sù l’acqua; si conoscerà, che l'acqua lo sostiene; perche non può da forze minori delle sue esser divisa, tenendosi ella forte; come si vede, e non cedendo solamente. DISCORSO QUARTO In qual guisa l’Aria sia, o non sia vera cagione di far galleggiare il solido. NIega finalmente al tutto il Galilei che la figura possa far galleggiare solido alcuno. e s’oppone ad Aristotile, che afferma che ella il possa fare in alcuni. Ed in questo mi pare, che l'opinion sua pur contraddica alle sue proprie ragioni, perche secondo loro ancora l’aria non fa galleggiare i solidi in ogni sorte di figure; ma in alcune particolari solamente. Onde conseguentemente ancora è necessitato a confessare che la figura ne sia in qualche modo la cagione. Imperciocche se l'aria mediante questa, e non quella figura fa galleggiare il solido, significando la parola, mediante, causa istrumentale ne seguirà necessariamente, che anche la figura operi qual cosa; che è quello, che niega l'Autore. Per cognizione della qual verità. Dico ritrovarsi tre opinioni di questa cosa, due estreme, una di mezzo. la prima tiene che l’aria solamente operi. la seconda l’Aria, e la figura. la terza la figura sola. la prima abbraccia l’Autore volendo, che l’Aria solamente, che si contiene nella concavità degl’Arginetti, che si fanno intorno al solido dall'acqua, sia la cagione, che i corpi più gravi in essa galleggino, la seconda è di quegli, che vogliono che l’Aria, e la figura insieme faccino l’effetto. Ma lasciamo di grazia l'equivocazione, e notisi non negarsi da noi che l’Aria ritenga, ma il modo di ritenere, che si dice, può dirsi l’Aria in tre modi sforzare, o per predominio, come si vede nelle cose leggieri, & altri modi, che l’Aria ritiene, o per moto, come l'Aria mossa dalla calamita tira a se il ferro, o per simiglianza qual si scorge nelle coppette, o vero nelle putrefazioni; fuor di questi modi se ne stà l’Aria nella sua naturalità; Vediamo hora se l'Aria toccando ritiene, e pensa l’Autore che ritenga per ragione d’affinità con virtù calamitica; ma questa non è men desiderata dall'Aria, che da qualsivoglia altro corpo, ne seguirà adunque, che ogni corpo toccando l’altro lo ritenga sospeso, & habbia virtù calamitica, il che è falso; perche il corpo leggiere tocca non tiene, il corpo grave non solamente tiene, ma di più spinge. adunque argomenta contra di se medesimo. Et dato, che questo, intervenisse all'Aria sola, e non a gli altri corpi doverebbe questo convenire a tutta l’Aria, e ritirandosi ad un effetto particolare doverebbe l'Autore renderne la ragione, anzi questa Aria accostandosi più all'acqua doverà essere più humida, e per questo meno tenace, il che tanto più deve l’Autore tenere per vero, quanto anche è contra Aristotile niega che l’Aria possa sostenere cose, per minime che elle sieno. Quello poi, che si dice dell’affinità, o contiguità, è molto ambiguo; perche la natura non abborrisce la contiguità in particolare; perche s’impedirebbono tutti i moti; ma si bene d’universale, la quale consiste nel toccare, non nel tenere, che sono effetti diversissimi, che il toccare significa unione estrinseca di due corpi; senza violenza veruna, & il ritenere significa medesimamente unione estrinseca, ma con violenza, massimamete che tanto tocca chi tiene, quanto chi spinge, e notisi come l'Aria spinge i corpi toccandoli come si vede ne' moti. Sia, che la natura, vuole tra le sue parti una certa unione, & armonia; si che non dà mai cosa alcuna ad esse, che non riguardi la constituzione dell’universo, nè meno da lei si produce cosa alcuna a destruzzione dell’altra, se non per accidente, volendo conservare se stessa; percioche se altrimenti operasse, sarebbe tra le sue parti una certa discordia simile a quella, che nasce tra Cittadini, che si dipartono dall’unione di loro civiltà: per il che non viene corrotta la forma, e l'ornamento primiero, onde dissero i Filofosi, che cosa niuna opera senza il fine della natura, tutte le cose di alcuna, e per qualch’una facendosi, perche Platone nel Dialogo della natura distinguendo le cause in due, una chiamò necessaria, e l’altra Divina ponendo quella necessaria, che opera per li mezzi, in quanto senza questa non si può conseguire il fine, e nominò poi il fine Divino, come ottimo, e simigliante alla causa prima, per il quale tutre le cose, che sono mezzi s’incamminano; donde viene, che nessuna opera contro la intenzione naturale ne contro l’altra se non per vtilità propria, o comune, e per ciò l’una non vuole la distruzzione dell’altra. Concludiamo per tanto, che se l’Aria havesse da natura il ritenere in figura piana, o in concava le materie terrestri, ne seguirebbono molti assurdi, percioche questo contraddirebbe principalmente all'ordine di natura, alla intenzione dell'acqua quanto all'ordine, non quanto alla divisione. Contradirebbe alla natura terrestre, e quel che sarebbe inconveniente maggior di tutti, la stessa Aria harebbe contrarii desiderii in un istesso tempo, parte volendo toccare l’acqua per la somiglianza, che ha con essa, e parte volendola ritenere per l'affinità onde seguirebbe, che per la contrarietà d’appetiti naturali anche havesse contrarie nature l'Aria; ma se l’Aria è contraria secondo la caldezza, e humidità alla materia terrestre, la scaccerà più tosto, che terrà; perche ogni cosa più tosto vuole essere con il suo simile, che con l'inimico. Sia di più, che s’è data molto maggior quantità dell’Aria, che della terra vince la terra per essere molto densa, anzi serva la sua gravità nell'Aria, con questo, che resista alla divisione la medesima Aria, come adunque sarà possibile, che per contatto solo habbia a vincere la terra nell'acqua, e impedirla dal proprio luogo vna minima, e così debole virtù di natura molto rara, e dissipabile. E di poi se poca Aria sostiene poca parte terrestre; come Aria, l’Aria adunque, che circonda la terra la sosterrà tutta, che ne seguirebbe, che la terra non fusse nel proprio luogo, ma pur vi è, adunque la terra non è sostenuta dall'Aria, e per conseguenza l'Aria non sosterrà; ne meno farà questo una parte di essa, percioche quello, che ha una parte di essa per natura l’haverà ancora il suo tutto. Et anche ogni potenza, la quale non viene all'atto, è in vano. Se adunque tal potenza è naturale, sarà in vano nell’altra Aria, poi che non tien mai tal materia. Si dirà con ogni ragione, che non è corpo nel Mondo fatto unito, che desideri ester diviso, anzi cosa, che si divide è divisa da altra. E nessuna cosa è divisa da se medesima; hora presupposto questo, domando se l'acqua resiste dividendosi, Se non, adunque non sarà corpo sullunare, perche il corpo, come corpo mai si divide da se, se resiste, dunque l'aiuto dell'Aria è in vano, perche se l’Aria può sostenere certi corpi sottili, non sarà impossibile, che l'acqua corpo molto più sodo in suo paragone possa sostenere alcuni corpi deboli senza l'aiuto di essa, e come più soda habbia a tenergli molto maggiori di quelli, sia la prima esperienza tale, Pongasi nell'acqua un vaso di qualsivoglia materia più grave di essa, e per l'avversario galleggi, per l'Aria contenuta nella sua concavità; pensate due corpi di medesima gravità, ma disuguali di grandezza, e dipoi mettete dentro a quel vaso hor ľuno, hor l'altro, tanto si sommerga con l'uno, come con l'altro, Hor se l'Aria ritenesse, non doverebbono ugualmente sommergersi essendo in uno maggiore copia d'Aria, che nell’altro; L'Aria dunque o non ritiene, o tanto ritiene la poca, quanto la molta, il che è assordo, perche universalmente cresce la virtù dell'operare essendendosi più la forma nella materia; perche se bene la forma in se stessa così in una quantità, come nell'altra, non riceve ne più, ne meno, e pur è vero, che in quanto alla potenza dell'operare riceve augumento; presupposto dunque che nella maggior quantità s'accresca la virtù, si concluderà che l'Aria non ritenga. La seconda esperienza, empiasi un vaso di qualsivoglia materia men grave dell'acqua sì, che galleggi e che tocchi per tutto sì, che cacciata l'Aria, bisognerà dire una delle tre cose o, che per esempio il legno sia fatto un composto con quel vaso, che lo sostiene, o l'Aria inclusa nel legno, o vero altr Aria, che sia restata tra il vaso, e'l legno; il primo non si può dire, perche il legno da se non sostiene, ma aggrava, l'aria inclusa nel legno, non tocca il vaso, come adunque lo tiene? quella poca aria, che si contiene nella parte estrema non può ritenere, perche se tutta l'Aria inclusa nel legno non lo ritiene per Aria, ma discende violentata dalla terrestre parte, come potrà quella poca sostenere insieme il legno, & il vaso? ne meno l'aria, che si possi pesare rimasta tra il vaso, e'l legno, può haver forza di sostenerlo, perche se tanta poca ha virtù di ritenere il vaso, & il legno, riterrà certo la medesima gravità, o poco minore in figura Sferica, perche un medesimo peso lo porterà uno sotto qualsivoglia figura; si che non resta veruno scampo, e notisi pure, come un tal solido galleggierà sempre tanto, quanto il peso del vaso lo sommerge sott’acqua. La terza esperienza è, che un Catino di rame fin che non tocca l’acqua viene in giù con moto continuo, ma arrivato all’acqua ne anche spinto, ne ripieno di quel corpo grave si profonda. La quarta esperienza è, che se l'aria sollevasse peso per la figura piana, doverebbe chi pesa a suo pró, o ferro, o piombo fuggir la figura piana, quale farebbe per chi compera. La quinta esperienza è che quelli Artefici, che accommodano i legni da Edifizio Navale, hanno solo riguardo all'acqua, e non punto all’Aria. La sesta, & ultima esperienza è, che se l’Aria potesse sostenere qualche Nave in sù, le impedirebbe il corso perche ritenuta non si muoverebbe. Non dico per hora de' Notatori, che pur si veggono saldi star a galla non per altro, che per la figura. Concludiamo adunque, che il galleggiare in quanto a' corpi leggieri procede principalmente dal predominio dell' Aria, quanto a' corpi più gravi dell’acqua dalla resistenza del mezzo, perche in tali l’Aria inclusa può molto poco. Prova, che l'Aria non potrebbe comunicare la leggerezza alla parte terrestre, LA comunicanza è, o per natura, o per participazione, o per arte; o ver per uso. L'Aria non può comunicare la leggerezza alle parti terrestri per natura: perche la tavoletta non è trasmutata nell'Aria. Ne per participazione; perche non possono gli Elementi comunicar gravità, o leggerezza, se non mediante le qualità alteratrici; come sono le quattro prime degli Elementi. E però non è cosa leggiera, che non sia Aria, o fuoco, o cosa, che habbia predominio da queste. Ne per uso; perche l’uso non si comunica, ma si fa da se, Non per arte propria degli huomini. L’Aria adunque non può in guisa alcuna, tale cominciare la leggerezza alla materia DISCORSO QUINTO. Che la figura sola fa galleggiare il solido. PEr cognizione della verità di questa proposizione si ponga in prima, che niuna sustanza in questo Mondo sollunare opera, se non mediante gli accidenti, che sono convenieti alla sua operazione in quella guisa, che avviene all’artefice, che ricerca gli strumenti accomodati alla sua opera; che non gli conseguendo atti, ne viene in quella più tosto impedito, che apperfezzionato, quantunque l'azione convenga più all'agente primario, che al secondario, Come Aristotile insegna nell'ottavo della Fisica. dicendo, che la causa secondaria non opera per virtù propria, ma per virtù della primaria. E per questo nello stesso libro dice. Che’l primario agente è più nobile del secondario. Per lo qual fondamento è necessario; che la natura, la quale è produttrice de' moti, adoperi qualche strumento, senza il quale non opererebbe. E perciò Aristotile nel sesto della Fisica per la quarta condizione necessaria al moto. Che’l mobile fosse quanto è passibile. Secondo fondamento più particolare pogniamo. Se gli Elementi si deono muovere, conviene che habbiamo qualche figura. La figura è quantità terminata da superficie d’una, o più linee, e questa è quantità continua, e figurata. E perche habbiamo detto, che se lo stromento sarà atto, concorrerà all' operazione, e se nò, che lo impedirà più tosto; sarà ancora manifesto (essendo la figura strumento) che se'l mobile l’havrà conveniente a dividerne il mezzo facilmente egli se ne discenderà più veloce. E se disconveniente, non solo dicenderà con tardità, ma gliene sarà bene spesso impedito interamente il moto. La onde per esplicare la facilità, o difficultà del mezzo. si ha da notare nel terzo luogo, che quanto al mobile: tal differenza nasce dall’essere più, e men grave. come Aristotile nel quarto del Cielo afferma, dicendo, se la virtù della gravità, supererà la resistenza del mezzo, discenderà più velocemente all’ingiù. ma se sarà più debole, soprannuoterà il mobile, che havrà tal gravità, e quanto al mezzo, se sarà più denso, sarà più difficile alla divisione; se più raro, più facile; e la ragione è, che essendo il denso quello, che in poco distendimento contiene gran quantità di materia; e raro quello, che in molto ne contien poca. ne succederà conseguentemente, che secondo le proporzioni delle forze del denso, e del raro ne nascerà la varietà de moti più, o men veloci. Ed in questo opera la figura. Ne seguirà finalmente; che non essendo il resistere altro, che non essere vinto, che è una privazione, come Teodoro Metochita dice nella sua Parafrafi, della generazione, e corruzione, che la figura non produrrà tardità di moto operando, ma resistendo; che è privazione. E così non solo si dee chiamare Strumento della natura operante, che desidera il suo luogo: ma impedimento, e cosa operante, non col mobile, ma col mezzo; perche si come la molta virtù dell'agente è impedita grandemente dalla figura nel minore il mezzo; così la poca è totalmente superata da essa perloche Aristotile nel quarto del Cielo vuole che la figura piana possa far soprannotare certi solidi nel modo, che si è detto, e si dirà appresso. perciò piglisi una materia, che nella figura Sferica vada al fondo, e ridotta nella piana galleggi. dico che si farà manifesto, che volendo ritrovar la causa del galleggiare, e havendo provato, che non puote essere l'Aria, resterà necessariamente che sia la figura: perche le cose quanto sono più acute, e più gravi, penetrano più facilmente; e quanto sono più ottuse, e meno gravi, dividono più difficilmente. Le materie adunque piane galleggiano, per lo mancamento dell'acutezza, e della gravità: toccando l’acqua per lo lato piano: per tali cagioni non potendo rompere la superficie della molt’acqua; come possono fare quella dell’Aria: non si potendo in essa sostenere per la debolezza del suo corpo. La onde paragonando le forze dell'aria, e dell'acqua, si potrà concludere, che se l'Aria sostiene un corpo in alcuna gravità: l’acqua ne sosterrà un'altro in una molto maggiore. E considerata la resistenza dell’un mezzo maggiore, e quella dell'altro, per la maggior estensione delle parti nella figura del solido non sarà difficile comprendere, come l'acqua possa sostenere le materie gravi, in paragon dell'eccesso delle forze divenute per l'accidente detto meno potenti delle sue, servata pero l'egualità delle forze della materia mobile in tutte le parti della figura senza pendere per qualche accidente più da una, che da un'altra parte. Risposte particolari alle proposizioni del Discorso del Galilei. POsti i fondamenti universali delle nostre ragioni; conviene horamai rispondere in particolare alle proposizioni del Galilei, che contengono in se cose conveniente alla nostra presente materia. Dico adunque che di quelle, che nel proemio si ritrvonano, è da concedergli quella. che'l mettere in carta manifeita più la verità, o falsità delle opinioni, che non fa il disputare in voce. si perche, tralasciando altre ragioni, colui, che non mette in carta, può sempre mai negare il suo detto; si ancora perche altri non può così facilmente essendo il tempo della Disputa breve, e fuggevole, in quel subito trascorso sceverare il vero dal falso, e discoprire le fallacie delle cose, che si dicono. questo provano i proverbi seguenti. Il tempo solo è Giudice di tutte le cose, e l'altro. Il tempo tutte le cose occulte conduce a luce. e concedesi altresì la sentenza d’Alcinoo che’l filososare dee essere libero. Ma che dobbiamo stare nella ragione, e nell’autorità nò. non lo consentiamo; perche è palese; che gli huomini grandi fecero sempre grande stima dell’autorità. e Aristotile se ben disse, Amico Socrate, e Platone, ma più amica m’è la verità, nulladimeno citò spesso nelle sue opere diversi Autori. ed enne la ragione. che’l volersi partire dall'autorità seguita da un consenso grandissimo di Savi, e massimamente senza esperienze, e ragioni evidentissime è veramente una cosa temeraria; e porge sospetto, e occasione giusta di dire; che huomo non intenda la cosa più tosto; o vero habbia mente inchinevole naturalmente al falso. A confermazione di ciò è da considerare, che da Aristotile si come non è mai rifiutata la ragione per l'eccellenza del senso; Così nel autorità, ancor che la ragion prevalesse. percioche è una maraviglia della natura, che ella in ogni scienza, e arte habbia prodotto il sovrano Maestro, havendo divinamente in alcuni soggetti adoperato l'ultimo di svo magistero, ed in quelli pur dimostrato le bellezze delle sue idee additandone gli altri, che la si riferiscono, e prendano la norma. Ma lasciamo questi preambuli del Galilei, e vegniamo alle proposizioni, che furono cagione, che egli componesse il suo Discorso, e cominciamoci da quella, che dice, Che in una conversazione di Letterati fu detto, che'l condensare era proprietà del freddo, e glie ne fù addotto l’esempio del ghiaccio; a quali contraddisse: affermando che'l ghiaccio era più tosto acqua rarefatta. Il che crede havere primieramente dimostrato; perche egli sta a galla; che se fosse acqua condensata, per esser divenuto, per la condensazion più grave, non vi starebbe altrimenti. E l’altra ragione; perche l'acqua nel ghiacciarsi cresce di mole; segno, come dice, di rarefazione.   Alle quali ragioni rivolgendomi, dico che la seconda non è vera; cioè, che l’acqua nel gelarsi cresca di mole da per se, affermandosi il contrario, ed alla prima dico, che'l ghiaccio detto dall'agghiacciamento; e costringimento fatto dal gran freddo si rarefà per accidente; come in molte altre materie interviene. perche ristrignendosi in esse alcune parti, alcun'altre per necessità escono non essendo atte a congelarsi, e cosi le dense si rarefanno; e si generano perciò entro di loro alcune porosità, nelle quali penetrando l’Aria, che si ritrvova congiunta al freddo, vi riman rinchiusa, non dandosi il vacuo, le quali cose insieme divengono cause dal galleggiamento suo. Ed argumento di ciò è il vedere che'l cristallo condensato dal freddo è trasparente, per la mischianza dell’Aria, e dell'acqua, come dice Ermino. anzi il ghiaccio, per essere un poco più grave dell'acqua, e per conseguenza dilungato dalla natura di essa, per accidente mediante la ragione della condensazione, essendo, secondo Alessandro nel primo delle Quistioni capitolo sesto, il ghiaccio acqua alterata molto, dovrebbe alquanto discendere: il che non fa divenuto per l’Aria contenuta, che supplisce, e supera la gravità acquistata per accidente, più leggieri. ed in questa guisa un’accidente va contrappesando l’altro. la quale opinione non è invenzione nuova dell’Autore; perche fù innanzi d’Averroe nel comento decimo del terzo del Cielo. che volle, che'l ghiaccio fosse acqua rarefatta, la quale fu da tutti rifiutata. Ma chi sà, che egli non volesse dire, rarefatta per accidente? in quanto essendo dell’acqua uscito lo spirito, e l’altre parti più sottili, che corrispondono all’Aria: viene in quelle parti allargandosi, che rimangono nel constringimento, il tutto a rarefarsi. altrimenti sarebbe contro alla dottrina d’Aristotile, che spesso esclama l'acqua esser condensata dal freddo, e sarebbe contro Hippocrate nel libro del l’Aria, acqua, e luogo. Teofrasto nel capitolo se l'Aria grossa, o sottile conferisca alla condensazione. Ad Alessandro Afrodiseo nel libro della generazione, e corruzione. A Galeno delle facoltà de’ Semplici medicamenti nel primo capitolo, nel 16. e nel 17. e altrove. A Macrobio nel libro settimo de' Saturnali capitolo duodecimo, e Simplicio, e altri infiniti. Il Galilei dice, che di poi gli fu risposto, che'l ghiaccio stava a galla per la ragion della figura larga. alla qual cosa contraddisse asserendo, che la figura non era cagione di far galleggiare, o andare al fondo. Ma di questo parleremo al sup luogo, e volgeremo al presente il nostro ragionamento a quello, che egli va ricercando, cioè la intrinseca, e vera cagione dell' ascendere alcuni corpi solidi nell'acqua, e in quella galleggiare, o vero discendere. Ove egli asserisce, non acquietarsi interamente nella ragione data da Aristotile; e perciò conclude con Archimede essere l’eccesso della gravità dell'acqua, che supera la gravità di quelli. Nella qual cosa dovrebbe pur acquietarsi, poiche non solo per la ragion d'Aristotile; ma per la natura ancora della cosa stessa è noto appresso a tutti gli huomini, che quanto la cosa è più grave, vada tanto più in giù. Anzi Aristotile in poche parole esplica chiarissimamente la cosa ne' libri del Cielo, e in altri luoghi. che le parti per intrinseca inclinazione vanno al proprio luogo, chiamando intrinseca inclinazione la gravità, o vero la leggerezza, e la cagione ne'misti dichiara in una parola farsi il moto loro dall' Elemento predominante. Ma è ben da considerare contro all'Autore, che non conviene chiamare la gravità intrinseca, e vera cagione. Concorrendo ella all'operazione come potenza solamente, e non come intrinseca causa; Appartenendo questo alla natura della cosa, o almeno alla densità come vera causa, se bene accidentale. Ma li principi sono molti, il Cielo, il generante, e qualche volta il togliente lo impedimento. Ia forma, la quale se sia principio solamente passivo, o attivo, o attivo, e passivo; Non è al proposito. la densità; e la gravità. E Alessandro Afrodiseo nel primo dell'anima cap. 2. dice. il caldo, e'l secco facciano spezie di fuoco. E da questi, e in questi è generata la leggerezza. E'l medesimo si può dire della gravità, cioè, esser generata dalla freddezza, tralasciando la Disputa se la qualità degli Elementi siano le forme loro; dicendo solamente, che ancorale alteratrici qualità sono principi de' moti. Però si conclude che volendo insegnare il Galilei ad Aristotile i principi vada cercando di portar la luce al Sole, il quale mentre cerca esplicare il più, o’l men grave; parve che non si curi di abbassare i termini Filosofici. E primo per formar’ una spezie ricerca due cose, ugualità di mole, e di gravità, che sono tra se molto differenti, trovandosi l’una senza l'altra, come dunque forma un'essenza di due enti, cosi separati? oltre che il più, e'l meno non mutano spezie, come dunque più o men grave potrà mutarla? e di poi da al legno la gravità assoluta, e pure è di sua natura leggiere, e nondimeno acciò che per la varia significazione de' termini non s'oscurino i concetti, dicasi di medesima grandezza e gravità, non di medesima grandezza ne gravità di medesima grandezza, ma non gravità, di medesima gravità, ma non grandezza. Adduce poi le proposizioni Matematiche le quali sono, i corpi che soprannuotono deono essere men gravi dell’acqua, e quelli che vanno al fondo più gravi di essa; queste proposizioni appella l’Autore vere, ma difettose, le quali veramente non sono difettose, come egli dice per tal accidente della trave; perche ben che la trave fosse di mille libbre, potrà forse galleggiare sopr'un acqua di cinquanta per essere per natura più leggiere dell’acqua, mediante l’introclusa Aria, e la resistenza dell’acqua, e ben vero che si ricerca proporzionata quantità di acqua per sostenere la trave, quale è quella di cinquanta libbre messa in stretto vaso, si che interverrà il medesimo alla trave come alle Navi, che per Mare galleggiano sostenute dall’acqua sola, che circonda à torno, al che se havesse havuto riguardo l’Autore, non si sarebbe maravigliato della trave gallegiante in acqua di minor peso; ma più tosto che poca acqua in un bicchiere sostenga un altro bicchiere carico di qualche sasso, e per questo assai più grave, il medesimo interviene ne gli altri vasi. Che si dirà adunque? forse che le cose gravi non possino acquistare il luogo loro naturalmente? non dirò io già questo, ma solo per accidente quale è la figura. L’Autore pone l'Aria. e quì è la nostra Disputa, e per questo più accidentale, che essenziale. egli esclama contro la figura; e la Disputa è se l’Aria tiene, o vero l’Acqua, perche la medesima ragione, che muove Aristotile a riguardare la figura per conto dell’acqua, la medesima poteva persuadere il Galilei a metter la figura per ragione dell’Aria, anzi nella resistenza dell’acqua esso da se stesso discorda in più luoghi, imperocche hora dice, che l’acqua resiste, & altrove dice che non contrasta punto. basta che l'Autore niega l'invincibile resistenza dell’acqua. Ma perche il Signor Buonamico conforme alla dottrina del suo Maestro insegna, che ne’ moti degl’Elementi siano congiunte l’inclinazione con la divisione del mezzo, in che riprese Archimede, che afferma, i solidi, che galleggiano, non esser più gravi dell’acqua, ne fu ripreso dal Sig.Galilei; defendendo hora noi la Dottrina Peripatetica, ne verrà anco difeso il Buonamico, il quale nel quinto libro del moto non si quieta nel detto di Archimede, essendosi poco innanzi fidato nel detto di Seneca, che i sassi, e huomini senza notare soprastiano in cert’ acque, e pure i sassi sono più gravi dell’Acqua, hora se l’esempio sia vero, o nò, cerchilo chi non crede a Seneca, a me baslta che la Dottrina sia vera, ma veniamo noi ad altre sperienze. Si vede, che il piombo, e l'oro galleggiano sì per la figura, sì per la piccolezza, e pure non è dubbio, che sono per natura più gravi dell'acqua; Onde assolutamente può esser vero il detto d’Archimede; ma posta la divisione del mezzo per molti riguardi può riuscire falsa, e però Aristotile nel secondo della Metafisica diceva, che l'esquisitezza del parlare intorno alle cose Matematice non bisogna ricercarla in tutte le cose, ma solametite in quelle, che non hanno materia; Non basta dunque dire, che non galleggia il più grave, ma bisogna aggiugnere, che divida il mezzo; perche non lo dividendo senza dubbio galleggerà, e dividendolo si affonderà, come disse Aristotile nel quarto del Cielo, e però l'Autore più tosto doverebbe dimostrare la leggerezza del ghiaccio, perche posto nel fondo ritorna a galla. che perche galleggi, & allora havrebbe concluso, adunque il ghiaccio aereo alquanto poi che ogni solido che sta su l’acqua aereo, e per chiarezza maggiore diciamo, che delle cose galleggianti, altre per la sua natura galleggiano, come più leggieri; altre, o per la figura, o per la piccolezza, ancorche piu gravi non si sommergono. Hora la disputa nostra è di quelle cose che non per la leggierezza, ma per la figura stanno a galla, il che non solamente conviene alle cose gravi, ma aiuta anco le leggieri, che per la figura si tuffano più o meno difficilmente: E per ritornare alla divisione, guardisi, come un legno non solo galleggia, perche è Aereo; perche così l'haverebbe l'Aria sostenuto in alto, come fa la paglia, & altri minutissimi corpi; ma anche per il sollevamento dell’Acqua in modo, che l'Aria resista per starsene al proprio luogo. L'Acqua poi resista al terreno del legno per non dividersi, e più per conservarsi, che per opporsi ad altri, che se l’Acqua cedesse, arriverebbe anche il legno sino al fondo, non essendo l’Aria bastante a sostenerlo, come già si è detto. Hora, che la gravità presupponga la divisione, con due ragioni si può dimostrare. La prima è l'andare, o non andare a fondo si fa trapassando, o non trapassando, che avviene per la maggiore, o minore resistenza, e questa dalla maggiore o minor densità, essendo più o meno parti unite; ma la gravità nelle cose sollunari è effetto della densità; adunque la densità è la principal causa della facile, o difficile divisione, e non la gravità se non secondariamente. L’altra ragione è, che tolta la difficoltà di dividere il mezzo, non ci sarà cagione, per che il più grave più presto si muova del men grave, perche altrimenti si caccierebbe in giù dal mezzo quello, che fusse men grave con prestezza maggiore. Quì fu ripreso il Signor Buonamico, quasi habbia detto, che un vaso di legno pieno d’acqua se ne vada al fondo, e non si avverte, che quel Filosofo non afferma, che vada, o che non vada, ma presupposta l'esperienza ne rende la cagione, e confessa, che questa esperienza è difficile a strigare, basta che sia viva la sua ragione che l'acqua movendosi in giù aggrava per non essere al proprio luogo. Quanto al sospetto, che potrebbe dare Archimede non havendo fatto menzione della divisione del mezzo, ma solamente toccato il cacciamento dell'acqua, come causa di tornare a gallai solidi men gravi di lei, II Signor Galilei dice, che si potrebbe sostenere per verissima la sentenza di Platone, e di altri, che niegano assolutamente la leggerezza contra il Buonamico, & il suo Precettore Aristotile. Haverei quì desiderato, che il Galilei havesse detto se sà, che Anassimandro, e Democrito mettevano I’universo infinito, dove naturalmente non può dirsi ne sù, ne giù, il che ancora negò Timeo appresso Platone per cagione dell’assimiglianza, che per essere il Mondo Sferico ha solamente l’intorno, e mezzo, de' quali ne l’uno, ne l'altro può haver sù, e giù, poiche il mezzo è nel mezzo, e l'intorno verso il suo antipode sarebbe sopra, e sotto. voleva ancora, che tutti gli Elementi fussero gravi, acciòche potessero restare nel proprio luogo, ma Aristotile considerando nel Mondo l'estremo, e mezzo, chiama l'estremo sopra, e'l mezzo sotto, e che naturalmente il sopra prima sia del sotto, si come il destro del sinistro; si che non per l'assimiglianza circulare, ma per la differenza dell'estremo al mezzo vuole Aristotile che altro sopra, altro sotto possa chiamarsi. Hora essendo tre sorti di moti, cioè secondo la grandezza, secondo la qualità, e secondo il luogo non meno del moto locale si fa la mutazione da un contrarto all'altro, che la si faccia negli altri mori; E contrarii sono secondo il luogo sopra, e sotto, e ne rende Alessandro la cagione, perche l’istesso, come tale non può essere in cose contrarie, e però il suggetto all'hora si dice mutarsi quando lascia la prima forma', e ne piglia un altra, hora essendo il luogo forma, e movendosi il mobile dalla potenza all'atto, & essendo questo moto naturale, poiche n' ha il mobile principio in se stesso, ne segue chiaramente, che'l fuoco si muova in sù non per cacciamento de'corpi più gravi, ma per sua natura; Et io conforme ad Aristotile domando hora se il fuoco habbia moto naturale, o no: Non si può negare, ch’egli non l'habbia, perche si darebbe natura senza moto, e havendolo non può all'ingiù; Bisogna dunque, che habbia potenza a salire, perche si muove quello, che può, e non quello, che non può; Questa potenza chiamiamo leggerezza; onde se egli non fusse inclinato per natura al suo luogo, ma che vi andasse cacciato, tal moto non gli sarebbe naturale, ma fuor di natura; poi che tal principio no è a lui intrinseco, ne naturale ma del tutto estrinseco, & violento. E' adunque leggiero il fuoco per sua natura, e non per privazione, anzi vediamo, e lo nota Simplicio, che il maggior fuoco più presto si leva in alto, che il minore, il quale pur dovrebbe esser men grave, che il maggiore: Finalmente tutto quello, che si è detto della Resistenza del mezzo, qua si appartiene. Si concede bene da noi il cacciamento per non darsi il vacuo, e per la continuità, che deono havere le parti, ma quel che importa è la divisione del mezzo. Quell’esperienza che adduce, che l’esaltazione ignee più velocemente ascendono per l'Acqua, che non fa l’Aria, Vorrei, ch’egli dicesse donde ha tal esperienza, e se mai ha visto tali esalazioni astender per l'Acqua; perche ne io, ne altri, con i quali habbia ragionato di questo; siamo stati di vista tanto acuti, che gli habbiamo potuti discernere. Dice poi contra il Buonamico, che tanto è considerare ne’ mobili il predominio delli Elementi, quanto l’eccesso, o'l mancamento di gravità, e però tant'è il dire, che il legno dell'Abeto non va al fondo, perche ha predominio Aereo; quanto il dire, perche è men grave dell’Acqua; Si risponde molto meglio essere il dire, che galleggia il legno per il predominio Aereo, che per esser men grave, perche nel legno notante si deono considerare due cose; l'una è l'immergersi alquanto nell’Acqua, l'altra è il non sommergersi, quella viene per ragione della Terra, questa per la ragione dell'Aria, che si contiene in essso, a quella fa l'Acqua resistenza, con questa non ha combattimento veruno, che non cerca l'Aria andar sotto Acqua, e pur con questa doverebbe esser la contesa, se l’Acqua resistesse al men grave; oltre che già si è provato, che anche i più gravi galleggiano, si che la cagione immediata del galleggiare non è l'essere men grave dell’Acqua, ma il predominio Aereo, con la resistenza del mezzo, come si è detto. Comincia il Galilei con l'esperienze a dimostrare, che la figura non operi nel galleggiare, e l'esperienze sono. La prima d'un Conio, o Piramide fatta d'Abeto, Cipresso, Cera, o altra materia simile, & afferma, che ugualmente tanto la parte larga, quanto l’acuta del Conio, o Piramide penetra l’acqua, donde raccoglie, che niente operi la figura. Al che primo si risponde non essere tale esperienza a proposito, di poi concludere cosa falsa; non e a proposito, perche quando parliamo della figura piana, intendiamo una figura assolutamente tale, quale potria essere una tavoletta d’Ebano, o un quattrino; Ma quando l’Autore parla del piano del Conio, ò Piramide, parla di una sola parte, e perciò non è maraviglia, che’l piano della Piramide per gravità del resto si sommerga fin tanto, che non ritrova tant’acqua a sostenerlo. Se poi rivolgendo la parte acuta verso l’acqua, si vedrà, che tanto della parte più larga resterà fuora dell'acqua, quanto ne restava fuori volta per l'altro verfo; La ragione sarà, perche quando le forze del grave imposto superano le forze dell’acqua, tanto vincerà un corpo più grave, quanto un men grave, e bisogna ben notare, che quella parte della Piramide, che è più facile a dividere l’acqua è più difficile a essere sospinta, e per il contrario la parte, che è più larga, come è più difficile a fendere, così è facile ad esser cacciata, tal che simili esempi non fanno a proposito. Poi che concludono cosa falsa, si vede chiaramete fermandosi la Piramide tutta quasi in un punto dalla parte acuta, e in larghezza dalla base, cioè in più punti, e più difficilmente trapassano più punti, che uno, donde si conosce, che lo stesso Autore forzato dalla verità dice di sotto, che più velocemente vada al fondo una palla, che una tavoletta piana della medesima materia, che da altro non può derivare, che dalla figura; il medesimo si può dire de Cilidri, le parti de quali si profondano per la gravità di sopra, che gli spinge. Quanto all’esperienza della cera, si vede, che ella violentemente è portata sotto dal piombo, e sollevato il piombo violetemente dal sughero, si che in queste violenze non si può vedere quel che operi la figura, e se tal’esempio valesse, varrebbe anco contro la natura, che spesso viene violentata, & in tutti questi esempi si vedrà la diversità dell’operare in diverse figure, secondo il più, o men veloce. In quanto poi a quello, che si dice tanto andare al fondo una tavoletta quanto una palla, quando saranno poste nell'acqua, & esser poste nell’acqua intende secondo la diffinizione del luogo data d’Aristotile esser circondata dall’acqua, e che la tavoletta non si può dir posta nell’acqua, ma sopra l’acqua, non essendo ella circondata dall’acqua, Si risponde, che il ricercare se l’Ebano quando non è bagnato sia sopra l’acqua, o nell'acqua, non fa al proposito di quel che si ricerca, perche si tratta, che cosa sia quello, che lo fa galleggiare quando non è bagnato; oltracciò lamentandosi l’Autore de gli avversari, che posando l’Ebano non bagnato sopra, e non nell’acqua, possono anche quelli ricercare da lui, perche bagnato l’Ebano non si posi nell'acqua, cioè nella superficie, ma sotto la superficie dell’acqua; Diciamo dunque che questi sono rispetti relativi, e differenze di luogo, che non tolgono l’essere una cosa nel luogo, che essere in luogo, parlando però propriamente del luogo, si può intendere in quattro modi, o in quiete naturale, cioè, quando il mobile si quieta naturalmente, o in quiete fuor di natura, quando il mobile si quieta per essere impedito, o nel moto naturale, quando si muove al proprio luogo, o nel moto violento, quando è del proprio luogo cacciato; Hora l’Ebano, o vero il Quattrino si dice essere in luogo mentre che è nell’acqua fuori della natuta sua; perche se l’acqua, che sostiene tal solido non fusse luogo di quella parte, che tocca, ne seguirebbe, che quella parte contenuta dall’acqua non fusse in Iuogo, cosa pur troppo assorda. Quello poi, che l'Autore aggiugne dover essere il luogo della medesima natura, cioè, tutto Aria, o tutto Acqua, si vede nella natura il contrario che la terra è parte circondata dall’Aria, parte dall’Acqua, come, & altre cose patiscono il medesimo. Quello poi, che l’Autore soggiugne, che la medesima figura piana non possa essere hora causa di quiete, e hora di tardanza di moto; Si risponde, che il solido molto dilatato perde della sua forza, e sopra di lui l’acquista di modo il mezzo, che lo sostiene, e ferma, il che non avvenendo in molti per non essere molto dilatati, dividono il mezzo, e tanto più velocemete, o più tardamente si muovono, quanto sono più, o meno atti a dividere il mezzo resistente; onde si vede nell’acqua stessa altri corpi galleggiare, altri andare al fondo, chi più presto, e chi più tardi secondo la maggiore, o minore estensione, tal che la figura giova alla quiete, & alla tardanza secondo diversi modi, e rispetti. dice di poi, eleggasi un legno, o altra materia, della quale una palla venga dal fondo dell’acqua alla superficie più lentamente, che non và al fondo una palla d’Ebano della stessa grandezza; si che manifesto sia, che la palla d’Ebano più prontamente divida l’acqua discendendo, che l’altra ascendendo, e sia tal materia per esemplo il legno di noce. facciasi dipoi un’assicella di noce simile, ed eguale a quella d'Ebano, degli avversari, la qual resti a galla; e se è vero, che ella ci resti mediante la figura impotente per la sua larghezza a fender la crassizie dell’acqua, l'altra di noce senza dubbio alcuno posta nel fondo, si dovrà restare come manco atta per lo medesimo impedimento di figura a dividere la stessa resistenza dell’acqua. Rispondo secondo il Maestro del Galilei, che l’acqua scaccia in sù le cose più leggieri d'essa, e però la figura non havendo nessuna natura in suo aiuto non può fare la quiete, come la fa nelle cose più gravi d’essa acqua havendo il mezzo cooperante per non dividersi. Rispondo di più, che secondo il Gallilei ogni solido penetra l’acqua; onde sarà necessario prelevare il vacuo, che l'acqua sottentri alle cose leggieri, e le mandi in sù per coltello, il che non interviene nelle cose più gravi dell'acqua. Rispondo anco che la cosa leggiera non può stare nel fondo per qualunque commozione, che si faccia nell’acqua nel intrare il corpo, e poi nel ritornare l'acqua nel proprio luogo, le quali parti cercano riunirsi, non così nella parte di sopra per ragione della siccità. Segue l’Autore, che dell'andare a fondo la tavoletta d’Ebano, o la sottil falda d'oro, ne è cagione la sua gravità maggiore di quella dell'acqua, e del galleggiare la sua leggierezza, la quale per qualche accidente forse sin hora non osservato si venga a congiungere con la medesima tavoletta, rendendola non più come prima era, mentre si profondava più grave dell'acqua, ma meno, e tal nuova leggierezza non può dependere dalla figura, si perche le figure non aggiungono, o tolgono il peso; si perche nella tavoletta non si fà mutazione nessuna nella figura, quando ella và al fondo da quella, che l'haveva mentre galleggiava. Qui si contengono più dubbi, che parole; Primo già si è dimostrato, che anco le cose più gravi dell' acqua galleggiano in essa, onde non è vero, quel che si dice, che ne sia cagione la leggerezza, la quale meglio si diceva minor gravezza, quell’accidente poi, che si dice sin hora non osservato; Dall’Autore, forse, non è osservato, ma gli altri fanno esserne cagione la figura, la quale assolutamente non muta il peso, ma che ella non trattenga la tavoletta, si niega, e tocca a lui provarlo; il che non fece, si come si è dimostrato, e però pete il principio il Galilei nostro, e per dare in questa parte qualche sodisfazzione, quando si dice, che la figura non dà, ne toglie peso, bisogna avvertire, che il peso si può intendere in due modi, o alquanto della gravità del corpo in se stesso, alla quale non importa la figura, perche un corpo sotto qual sivoglia figura sarà sempre del medesimo peso, o vero in quanto al mezzo rispetto il quale la figura senza dubbio fa riuscire il corpo più, o meno grave, perche se sarà di figura Sferica, toccherà a poca parte del mezzo sostenerlo, ma se sarà di figura piana, sarà da più parti sostenuto, e per questo sarà men grave in questa, che in quella figura; non altrimenti che più huomini da un medesimo peso vengono meno aggravati, che i pochi. Dice di poi esser falsa la dottrina d’Aristotile, e de gli Avversari, cioè, che la tavoletta resti a galla per la impotenza di fendere, e penetrare la resistenza della crassizie dell’ acqua, perche manifestamente apparirà le dette falde non solo haver penetrata l'acqua, ma esser notabilmente più basse, che la superficie di essa; Si risponde, che non si farà quant’al presente differenza nessuna tra lo spingere, & il penetrare, se bene alcuni la fanno, havendo opinione, che il Quattrino, o l’Ebano più tosto faccia l’acqua essere spinta in giù, che penetrata, ma questo poco importa', perche si chiama galleggiare il rimanere sù l’acqua, cioè non profondandosi il corpo sotto l'acqua, per la qual causa non già si niega mai il subintrare alquanto secondo le parti il corpo galleggiante per ragione della maggiore, o minore partecipazione terrena, che ricerca proporzionate parti del mezzo a sostenere le parti terrestri; altrimenti si negherebbe anco, che i legni stiano su ľacqua; poiche anco quelli subentrano secondo le parti nell' acqua. Ma sia di grazia la nostra Disputa del galleggiare, il che vuol dire non profondarsi tutto il corpo sott'acqua, va di poi dicendo, ma se ella ha già penetrata; & vinta la continuazione dell'acqua, & è di sua natura della medesima acqua più grave, per qual cagione non seguita ella di profondarsi, ma si ferma, e si sospende dentro a quella piccola cavità, che co’I suo peso si è fabbricata nell'acqua? Rispondo; Perche nel sommergersi sin che la sua superficie arriva al livello di quella dell’acqua, ella perde una parte della sua gravità, e'l resto poi lo va perdendo nel profondarsi, & abbassarsi oltre alla superficie dell'acqua, la quale intorno intorno le fa argine, e sponda, e tal perdita fa ella mediante il tirarsi dietro, e far seco discendere l’aria superiore, & a se stessa, per lo contatto aderente, la qual Aria succede a riempiere la cavità circondata da gli arginetti dell’acqua, non è la sola lamina, o tavoletta d’Ebano, o di ferro, ma un composto d’Ebano, e d’Aria, dal quale ne risulta un solido non più in granità superiore all’acqua, come era il semplice Ebano, o’l semplice oro. Per risposta dirò, come l’Autore si fida troppo nell’Aria, refugio troppo debole, e pur sa, che la natura non se ne cura troppo, che l’Ebano, o il Quattrino, o altre cose simili stiano a galla, essendo questo effetto della volontà, o vero Arte, che spesso si oppone alla natura con questo, che anco la imita, per il che la natura non harebbe dato all'Aria tal proprietà contro il suo ordine, e contro la natura dell'Aria istessa di sostener sù l'Acqua le parti terrestri, e che sia contro la sua natura è manifesto, poi che l'Aria più conviene per ragione dell'humidità con l’Acqua, che con la Terra contraria a essa tanto nella qualità attiva, come passiva, onde la Terra più tosto sarebbe scacciata, che ritenuta, come impedimento dell’ordine della natura, diamolo dunque alla resisteza dell’Acqua, dove meglio si vede la prudenza della natura, che vuole unite le parti, come le fece, e non separate. Non si niega il tenere dell’Aria per ragione della resistenza, perche tal modo veramente è naturale, ma ben si niega il tenere per contatto, poiche oltra le dette esperienze in principio è pure chiaro, che levata la contiguità d’alcuni solidi che galleggiano con qualche cosa fluida non si vedono profondarsi anche che sia il fluido più grave dell’Acqua, e non si vede con gli occhi nostri, che alcune figure quanto più entrano nell'Acqua, tanto maggiormente si sostengono, e pure dovrebbe essere il contrario; poi che si sminuiscono le forze dell’Aria. Ne gli arginetti per essere di minore quantità d'Aria, e per consequenza di minore virtù. Nell’Ebano galleggiante appariscono tre cose, la prima, che alquanto discende, la seconda, che fa sponde, la terza, che non si sommerge; hora ricerca la causa della terza apparenza, massimamente essendosi così affondato, e dice essere l’Aria contenuta in quella cavità, che si fa tra l’Ebano, e gli Arginetti. Contra a questo argumento così; Nel modo medesimo tocca l'Ebano l'Aria innanzi, che si profondi, che doppo fatti gli arginetti, ma innanzi non lo sostiene, dunque ne anche doppo si può dir, che l’Aria toccante gli arginetti sostenga l’Ebano; perche non lo tocca, adunque non lo tiene, ne si può dir, che quest’Aria rinforzi quella, che tocca l'Ebano; perche in simili corpi l’una parte non rinforza l'altra havendo ciascuna la sua perfezzione per natura, e senza nessuna varietà non variandosi la natura. Diciamo dunque, che l’Ebano discende alquanto, perche le prime parti dell’Acqua non sono bastanti a sostenere quel peso. E però si ricerca più copia di Acqua tanto, che lo sostenga, il medesimo interviene a legni, & altri simili sostenuti dall'Acqua, che li circonda attorno. Li arginetti poi si fanno, perche occupando l'Ebano quella parte di Acqua: bisogna, che tanta ne salga, quanta è stata l'entratura d’esso; onde quanto più s’assottiglierà l’Ebano, tanto meno s'alzeranno le sponde, e non voglio tacere, che l’Acqua non trascorre per quella tavoletta, perche fugge la siccità sua contraria, come si vede l'Acqua alzarsi versata nella Terra secca, e correre per la bagnata, concludiamo dunque che l'Ebano non si sommerge per la ragione della figura, nel modo, che si è detto innanzi. Quello poi che dice, che dell’Aria, e dell' Ebano, se ne fa un composto, doveva prima a simil composto trovargli nome, e mostrare come per il solo contatto si faccia composizione, e pur io credevo, che la composizione dell'Aria, e della Terra non fusse in altro, che nel misto, nel quale concorrono i restanti due Elementi a produrlo tutti insieme, i quali doppo la pugna ridotti in una contemperanza, e per essa in una concordanza, ancorche siano contrarii, e per un rispetto inimici, per un altro divengono poi amici; In questa guisa dice Ermino nelle sue Quistioni Fisiche, che nella medesima parte di corpo si ritrovano gli Elementi contrari; ma che sia un’altro modo nvovo di composizione tra l'Aria, e la cosa terrea, e massimamente rimanendo l'una, e l'altra cosa nel suo essere, non credo si potrà mai immaginare, perche Aristotile nel secondo delle parti de gli animali pone tre modi di composizione, una de gli Elemenri nel misto, l'altra delle parti similari, e la terza delle dissimilari, poi nel dichiararli in quel luogo, non fa mai menzione alcuna di questa nuova composizione, ne meno niuno de gl’Interpreti suoi nel distinguerla ne’tre modi, cioè di potenza, e d'atto, e di cose perfette, le quali, o si fanno per aggiunzione, o per mistione, o per mescuglio, o vero secondo la concorrenza delle parti discrete in un fine, come la Città, che si compone di Cittadini, e l’universo delle sue parti, se bene che sia tale detta impropriamente composizione; E che questa cotal composizione non sia, dimostriamolo in poche parole, perche nella composizione, e qualche unione, è necessario, che consideriamo quattro cose; cioè la causa, le parti, il fine, e'l tempo; Quanto alla causa non si ritrova, perche chi le compone? le parti? come possono convenire insieme, essendo in tutto, e per tutto contrarie? il fine? che deve esser comune alle parti, mediante la composizione dov'è? se una tiene, e l’altra stà a galla? queste non sono diverse? il tempo? se non si può mai l'Aria disgiugnere dalla tavoletta per non darsi il vacuo, ove si ritrova? Diciamo dunque non essere composizione veruna tra l'Aria, e la tavoletta. Dice l'Autore più di sotto esser falso, che la tavoletta vada al fondo in virtù del nuovo peso, perche l’Acqua nell'Acqua non ha gravità veruna. Si risponde, che l’Acqua non porti gravità, si può intendere in due modi, o immediatamete, cioè quando l'Acqua con l’Acqua è unita e così sarà vera la proposizione; perche la naturale inclinazione è desiderio del proprio luogo conseguitolo si quieta, e per conseguenza non aggraverà più innanzi, si come il saziato non desidera piu il cibo, come nota Simplicio, è pur vero, che l'Elemento nel suo luogo aggrava secondo l’attitudine, e così intese Aristotile quando disse, Che tutti gli Elementi fuor che il fuoco aggravano nel proprio luogo, male inteso, e peggio ripreso da Tolomeo. O s’intende la proposizione mediante un altro corpo, e così riuscirà falsa, perche a questo modo non meno aggrava l'Acqua nell'Acqua, che qualsivogiia altro corpo; e per tanto si sommerge il vaso, havendo dentro Acqua, come se haveste piombo, o sasso, e la ragione forse è questa; perche tal caso la gravità del vaso, e la gravità dell'acqua diventa una gravità, che supera quella dell'Acqua, nella quale per questa causa si profonda. Replica l'Autore, che non è la gravità dell' Acqua contenuta dentro al vaso quella, che lo tira al fondo, ma la gravità propria del rame superiore alla gravità in specie dell’acqua, che se il vaso fusse di materia men grave dell’ acqua, non basterebbe l’Oceano a farlo sommergere. Replico anch'io non esser vero, che la gravità propria del rame lo tiri al fondo, perche rispetto l'estensionè, & assottigliazione del solido fatta dall'Artefice s’è in tal modo indebolita la forza, che non può sommergersi, e così il più forte per natura è diventato per arte più debole, aiutato poi dalla gravità dell' Acqua infusa subito comincia a profondarsi, si che parte per essere spinto in giù dall’acqủa, come alieno dalla natura acquea, parte per essere in moto per il qual più aggrava, & anche per mutare la figura descende più presto, e non avvien questo nella materia notabilmente meno grave dell'acqua, perche si come l’acqua spigne in giù le cose più gravi, così caccia in sù le cose più leggiere, tanto per evitare il vacuo, quanto per il desiderio dell'unione, dove notabil cosa è il vedere nel medesimo corpo una pugna di chi lo spigne, e di chi resiste, ma se la materia sarà poco meno grave, e che per esperienza vada al fondo, come io ho sentito da molti degni di fede, che i legni da navigare in Germania collegati con chiodi di legni, e senza ferro veruno pieni di acqua vanno al fondo, io non vi saperei trovare altra ragione, che quella del Signor Buonamico; Quanto alle più gocciole, che havendo maggior gravità d'una sola non mandono al fondo la tavoletta, e che l’una bagnando tutta la superficie della tavoletta l'affonda; fu risposto innanzi, e però si dice, che non fa la maggior gravità al profondare il solido, ma il trascorso dell’acqua sopra esso lo fa andare in giu; perche quelle gocciole matenendosi qualche poco di siccità sopra la tavoletta, non la manderanno mai al fondo. Et e da considerare come l’Autore all’opposizione, che ha dato contra la risposta, che la tavoletta bagnata andassi al fondo per il desiderio delle parti superiori dell'acqua d'unirsi con l'inferiori, non fu vero, che se concludesse la risposta delli Avversari anco le inferiori parte d'acqua spignerebbono in sù la tavoletta, perche l'acqua per sua natura non ascende mai; oltre che le parti hanno bisogno del tutto e non il tutto delle parti, massimamente che le parti Elementari rimanendo in più perfezzione, che le parti degli Animali, non sono tanto desiderosi del tutto; perche senza quello godono le loro operazioni perfette, e però il tutto non ricerca le sue parti rimanendo anco questo perfetto senza quelle per la mcdesima ragione. Forse alcuno di quei Signori, &c. Innanzi che risponda, notisi che i principi messi dall’Autore nel principio del suo Trattato saranno di poco valore, perche se l’Aria ritiene le cose più gravi dell'Acqua, la conclusione non è per se, ma per accidente, ma principii d’Archimede parlano per se, adunque è difettosa l'opera del Galileo, e più tosto contraria a’ principii che favorevole. L’Autore in questa materia va dimostrando la retenzione dell’Aria con tre esempi, il primo è, che una palla di cera asciutta và a galla, e bagnata va al fondo, e di poi sollevata dall’Aria del'bicchiere spinto in giù rivolto sta a galla. Per risposta s’ha da notare contro l’Autore; Primo, che egli non vuole, che l’Aria operi sù corpi bagnati, e hora dice, che l’Aria porta in su la palla bagnata; Secondo erra volendo, che l'Aria sola la porti in sù, e pur è tale effetto appartiene principalmente all’Acqua, che muovendosi muove le cose in essa, anzi l’Aria si porta dalla Terra, e non porta la terra. Terzo noi disputiamo se l’Aria per contatto sostiene, & egli va mostrando, che porta per moto; Quarto, che la palla bagnata va al fondo per esser bagnata, e pure parendo miracolo che ritornando dal fondo non habbia ad essere bagnata, non rende la ragione di tale effetto, e pure poteva dire non essere più interamente bagnata. Quinto equivoca nel dire, che la medesima Aria la porti in sù, perche se intende dell’Elemento, questo è il medesimo, se intende della parte, come lo può sapere? ne si può conoscere una parte dal l'altra in tanta quantità d’Aria mescolata, ma tralasciando tale esame, & venendo alla Causa dico: Che ogni corpo nel muoversi, se vince l’impedimento, che trova innanzi, lo porta seco; altrimenti resta impedito, e fermo, perche adunque spignendo in giù il bicchiere si caccia dal proprio luogo tanta quantità di Acqua quanta importa la grandezza del bicchiere, e l’Aria contenuta in esso nel trarre fuori il bicchiere, ritorna l'Acqua al luogo suo, e l’Aria anch’ella ricerca il suo, e così mandono per violenza in sù la palla, come anche possono mandare il bicchiere in sù, se non si rivolta per coltello. Il secondo esempio è, che se tufferemo nell'Acqua qualche corpo, nel trarlo fuora ella lo seguita; Si risponde che l’Acqua non seguita quel corpo per ragione del contatto, ma perche havendo quel corpo per quanto è la sua grandezza, levato l'Acqua dal proprio luogo necessario è che ritirandosi l'Acqua sottentri, acciò non resti il vacuo, oltre che questo non fa a proposito disputandosi solo, come l’Aria sostenga, anzi tale esempio haverebbe dimostrato, come l'Acqua tiene, se per il contatto un corpo tenga l'altro, e pure l’Autore attribuisce all’Aria il tenere per ragione del contatto, e lo niega dell'Acqua, se bene più difficilmente, si separano i corpi dall'Acqua, che dall’Aria, perche li sarebbe forse pericolo di levare la contiguità in universale, ma non nell'Aria, poiche subito toccherebbe l’Acqua, come l’Aria tocca l'Aria ne' moti non solamente ritenendo, ma di più spingendo, in che adunque tal esempio gli può giovare? e che vuole concludere? Il terzo esempio è de' corpi solidi, li quali se saranno di superficie in tutto simili sì che esquisitissimamente si combacino insieme, ne tra di loro resti Aria, che si distragga nella separazione, e ceda sì che l'ambiente succeda a riempire lo spazio saldissimamente stanno congiunti ne senza gran forza si separano: Si risponde primo, che la Disputa è dell’Aria contigua al solido, e non di due solidi, che separandosi difficilmente, non però ne segue, che si separi con la medesima difficoltà l’Aria dal solido, come si vede chiaramente per esperienza, oltre che ne questi solidi per tal difficoltà uno toccando l'altro lo sospende, ma ben lo trattiene alquanto fin che per moto, che ha bisogno di tempo entra l’Aria per pericolo del vacuo, overo della contiguità universale; E ben vero che può assai qualche simiglianza, dalla quale nasce l'amor naturale nella natura, e segno manifesto è, che non in tutti li contigui esquisitissimamente si fa tale difficoltà, e pure da tutti è desiderata nel medesimo modo la contiguità universale; Basta che tra l’Aria, e'l solido non interverrebbe tal pericolo, ne è nessuna simiglianza, & anche che fosse niente fa al proposito nostro. Ma questo appartiene ad un’altra materia. Dice l'Autore. Ma perche l’Aria, l’Acqua, e gli altri liquidi molto speditamete si adatta a quella de' solidi senza, che altro resti tra loro, però più manifestamente, e frequentemente si riconosce in loro reffetto di questa copula, & aderenza, che ne corpi duri, le cui superficie di rado concludentemete si congiungono, A questo diciamo, che se la contiguità meglio si fa tra corpo liquido, e solido, che tra due solidi, si staccherà senza dubbio più difficilmente un solido dall’Aria, che da un’altro solido, e pure la sperienza è in contrario, conforme alla ragione che non vuole essere salda la copula del corpo non saldo. Quello poi, che si dice della virtù calamitica con salda copula congiungere tutti i corpi, non si può udire senza maraviglia, che sia tanto la virtù calamitica, diffusa, e comunicata quasi a tutto l’universo; oltre che la Calamita tira da lontano il ferro, non così l'Aria il solido, che secondo l’Autore congiunta lo tiene, & in questo proposito mi sovviene di Blemida, che nella Parafrasi Politica disse, il tenere della calamita essere come fine del tirare, come quello, che tira ha per fine il godere la cosa tirata. Segue l'Autore, e chi sa, che un tal contatto quando sia esquisitissimo non sia bastante cagione della unione, e continuità delle parti del corpo naturale? Io vorrei, che mi si dichiarasse, che differenza si faccia tra squisitissimo contatto unione, e continuità; Primieramente continuo, e contiguo non è l'istesso, e due corpi, ancorche esquisitissimamente contigui non si diranno mai continui, che solo sono quelli, che hanno le parti unite con termine comune, quali non sono i contigui, come può dunque la contiguità essere causa della continuità? oltre a ciò, chiamisi ancorche impropriamente esquisitissimo contatto nelle cose continue, Che differenza sarà tra esso, l'unione, e la continuità? Saranno senza dubbio tutt’uno, percioche non sarà mai uno causa dell'altro. Diciamo dunque, che potendosi questa parola Uno pigliare in tre modi spettanti al proposito nostro, per tralasciare hora l’equivoco, e la ragione, o secondo il genere, o secondo la spezie, o secondo il numero, si come il genere unisce le spezie tra loro differenti, e la spezie gli individui, così la forma corporea unisce le parti del corpo fra di loro separate con maggior perfezzione, che non fa ne la spezie, ne il genere; Onde la parte, che si separa dalla forma non si dirà già mai essere parte del tutto, e la ragione è manifesta, ne fa al proposito nostro. Ecco l'Autore intorno alla resistenza pare contradire a se medesimo parte negando la resistenza quanto alla quiete, ma non quanto alla tardità, e parte negandola in tutto, e per tutto, come si vede in qualcuno di questi suoi esempi, ma se l’Acqua non camina su l’Acqua ne descende per l’Acqua, ne si divide da se, ne si muove al moto d’altrui è necessario concedere che si divide per violenza, e pur chi non sa, che niun corpo desidera la propria divisione? essendo ciascuno fatto dalla natura non diviso, ma continuo. E’l contrario allora è perfetto, q uando ha le sue parti unite. Stando adunque la cosa così non è dubbio, che chi volesse dividerlo, esso resisterebbe al dividente, e cederebbe allora, quando fosse da forze maggiori superato: perche cede veramente, non havendo però mancato di fare quanto ha potuto, per ritardare almeno la vittoria al nimico. E tanto più resiste nel combattere, quanto è più denso. E si vede ancora per esperienza, che quando si spigne con la mano l’Acqua in giù, si sente qualche resistenza, la quale non si sentirebbe; se le parti cedessero solamente, e non resistessero, come anche il medesimo avviene a chi va contro al vento, o a chi fende la terra. Ma torniamo alle ragioni del Galilei, che impugnano la resistenza del mezzo, delle quali la prima è, che se fosse la resistenza, tanto sarebbe nelle parti interne, quanto nelle prossime alla superficie. Alla quale si risponde, che la cosa meno grave dell’Acqua, ancorche galleggi si sommerge in ogni modo più, ò meno secondo la maggiore, o minor gravità. e la stessa Acqua, secondo la maggiore, ò minor grossezza sostiene più, o meno la cosa, che le stà sopra. come per esempio una Nave si solleverà più nell’Acqua salata, che nella dolce. come ogn’altra cosa atta a salire dal fondo, salirà più presto nel Mare, che nell’Acqua dolce. Ma torniamo alla Nave, e diciamo, che questo le avviene, perche la cosa, che sta sopr'Acqua più, e meno vince, secondo la proporzione della gravità sua in paragone di quella dell’Acqua; e sosterrà più la maggior quantità che la minore delle parti dell’Acqua, e però sosterranno più una cosa grave le parti dell’Acqua, che sono prossime alla superficie, insieme con quelle, che le sono lontane, che loro sole, che potrebbono esser vinte dalla maggior gravità: perche, se bene la cosa è più lieve, secondo la natura, ricerca nientedimeno una certa proporzione del mezzo, in proporzione della figura, e della gravità. Il secondo argometo è, che ogni corpo nell'Acqua, se è grave va al fondo, se è lieve sta a galla. adunque cede, ma non resiste. Questo argomento è contro di lui. perche se delli corpi più gravi dell’Acqua, che per loro natura vanno al fondo; altri vanno più presto, & altri più tardi, e delli corpi leggieri altri s'immergono più, & altri meno, ne seguirà necessariamente, che si dia la resistenza; peroche se l'Acqua solamente cedesse, come per termine di creanza fa al nobile il plebeo; non ci farebbe causa alcuna di varietà: perche il cedere sarebbe uno, & indifferente. Adduce seguendo, l’esempio dell’Acqua torbida, nella quale dice, che le materie intorbidanti stanno sei, o sette giorni a discendere al fondo; Il quale esempio fa simigliantemente per noi; perche, se non fosse la resistenza, quelle particelluzze non starebbono tanto a discendere al luogo loro; ma vi discenderebbono in un momento: perloche, quantunque il Galilei si dimostri di mal’ animo contro Aristotile, pure porta le ragioni sue in suo favore. Indi segue dicendo, che non si potrà trovare minima virtù; che alla resisteza dell’acqua all' esser divisa, non sia minore, che se fosse di qualche sensibil potere, qualche larga falda si potrebbe trovare di materia simile in gravità all’Acqua, la quale non solo si fermasse tra le due acque; ma non si potrebbe senza notabil forza abbassare, e sollevare. Si risponde a questo in due modi. Il primo per contraddizione; che da cose impossibili non ne segue mai niente; Impossibile è, che si ritrovi, quanto alla natura, cosa simile in gravità all'Acqua, che non sia similmente Acqua. Impercioche dato il medesimo effetto, ne seguirà sempre la medesima causa; come per esempio data la medesima risibilità all'huomo, & al Leone, ne seguirà, che tanto il Leone, quanto l’huomo sia ragionevole. Il secondo, che dato, e non concesso, che fosse una cosa simile in gravità all’acqua, non havrebbe in essa luogo diterminato, ma per tutto sarebbe il suo. Ci mancava l’esempio, ch’un capello tirasse una trave per acqua. ma rispondiamogli in ogni modo negando, che nella paura, ch’altri havrebbe, che e’ non si strappasse, non si sentisse un poco di resistenza, la quale si pruova manifestamente; perche, se la trave, che si tirerà havrà dalla parte, che ha da fendere l'acqua la figura più larga; o si tirerà per lo traverso dividerà il mezzo con maggior difficultà, che in altra guisa; si che questo argomento ancora, non fa contro Aristotile; perche mossa la medesima trave secondo diversi moti, se non fosse la resistenza, tanto le poche, quanto le molte parti cedendo nel medesimo tempo, e nel medesimo modo non farebbono più difficultà in uno, che in un altro modo. La qual differenza è nota nella differente forma di un Navilio largo, e stretto. E venendo alle sue figure Matematiche. Diciamo, che la proporzione, che pruova in esse, non fa al proposito nostro; perche egli piglia, per concesso in quelle la cosa, che si cerca. Che è errore di Logica. La onde habbiamo di già provato, che la materia, che sta sopra l'Acqua, galleggia in due modi. o perche di natura è più lieve di essa; o vero perche in una certa proporzionata gravità la figura la fa galleggiare. E simigliantemente habbiamo provato, che quella vada al fondo, che non solo eccede nella gravità, secondo la natura; ma che ha ancora le forze maggiori di quelle del mezzo, e le può superare in proporzione. E similmente diciamo, che egli non prvova che un solido di più grave materia debba per galleggiare haver l'aria che lo sostenga; come era necessario: dovendo provare la sua opinione. Si conclude adunque universalmente, che le parti degli Elementi, che si muovono al luogo loro, lo fanno combattendo, e vincendo in maniera tale, che non vincendo non lo conseguiscono mai con la propria loro natura solamente impedite da maggiori forze; come a un sasso sospeso a un filo avviene. però le figure sono cagioni di far galleggiare quel solido, in cui le parti non sono unite, e percio non possono superare il mezzo cooperante con esse. Alla fine viene il Galilei a dimostrarsi più che mai inmico d'Aristotile impugnandolo, e Democrito difendendo, e dando ancora contro all'uno, & all’altro. Mi sforzerò adunque io non di difendere Aristotile, che non ha bisogno di mia difesa, ma quanto potrò dichiararlo solamente, il che farò, non perche Aristotile fosse di nazion Greca, ma per la verità. impercioche se questa ragion valesse, nessun valente Greco nelle scienze havrebbe mai contraddetto all’altro. E pur veggiamo tante Dispute fatte tra loro medesimi. Perloche dico, che chiunque, qual che si sia lo interesse, non pregia, e riverisce la verità, non si dee veramente, il bene dello'ntelletto abbandonando, stimare huomo, ma più tosto'una mala bestia. Torniamocene al nostro proposito, e consideriamo le parole d'Aristotile, che sono. Le figure non sono causa del muoversi semplicemente in giù, o in sù, ma del muoversi più o tardi, o più velocemente. e per quali cagioni ciò avvenga, non è difficile il vederlo. Il Galilei intorno a queste parole dice, che Aristotile nomina le figure come cause del tardo, e del veloce, escludendole dall’esser cause del moto assoluto, e semplice. Ma io non veggio, che Aristotile habbia detto: che le figure sian cause del moto assoluto, e semplice; ma dice, che sono. A’πλωζ, cioè semplicemente cause. e la ragione è chiara, perche Aristotile mai distingue i moti assoluti e non assoluti: ma nel retto, nel circolare, e nel misto. E parla in questo testo universalmente dicendo, che le figure, non sono cause da per se di niun moto. Ne meno intende, che le figure siano cause del moto semplice, e non composto. Ma intende universalmente di qual si voglia moto locale. E venendo all’esplicazione di quella parola, semplicemente credo, che ci potremo quietare nella dichiarazione d’Ammonio nel Capitolo del genere. esponendola in quattro modi. cioè universalmente; particolarmente, propriamente, e vanamente. in questo luogo la prende Aristotile propriamente, volendo dire, che'l moto proceda dall’essenzia della cosa, e non dalla figura, come altri havevano detto, seguendola in quella guisa, che fa l'ombra il corpo: essendo essa accidente, cioè ente imperfetto. E per questa cagione non può produr moto; però che tale opera appartiene alla natura. Anzi essendo il moto più perfetto della figura, ella non può esser causa efficiente d'un effetto più nobile di se; però questa serve alla natura a produrre tale effetto, come all’Architetto servono gli strumenti all’opera. E si nobile è il moto, che rappresenta quasi la natura, che lo fa. Onde non senza ragione gli antichi Filososi chiamarono i moti termini delle nature: percio che si come i termini separano le cose tra loro, così i moti distinguono le nature. La figura adunque non fa altro, che concorrere più, o meno alla intenzione del proprio motore per la maggiore, o minor resistenza, come habbiamo detto. Però conclude Aristotile che la diversità de' moti secondo il più, o meno tempo non può procedere dalla natura essendo la stessa: ma dalla diversità delle figure, in quanto sono cagioni che 'l solido più, o meno vinca. Siano adunque le figure da per se cause non del moto, ma del modo, cioè del più veloce, e più tardo, che si fa per la più, e meno resistenza. Il Galilei segue, che se per Aristotile le figure sono cause del moto più tardo, o più veloce; adunque non potranno essere cause della quiete. Si risponde essere tutto il contrario; che se per essere dilatate alcune figure impediscono il mobiIe dal suo moto, e fanno i moto più tardo; quando saranno molto dilatate lo impediranno totalmente, e saranno causa di quiete, come anche si vede per esperienza, e però Aristotile congiugne nel quarto del Cielo il tardo con la quiete, e li referisce alla figura come causa. Ricerca poi, se alcune figure fanno la quiete; adunque alcune raccolte saranno cause di moto, che è contr'Aristotile. Si risponde che non ci è conseguenza, perche le figure non per se sono cause di moto, ma di modo, cioè più veloce, e più tardo; & anche da per se sono cause della quiete in quanto il più forte per natura, per estensione lo fanno più debole, & il superante superato. Va ancora investigando l'Autore se quella parola, semplicemente; si debba congiugnere con la parola, causae, o vero col verbo, ferantur. A questo diciamo, che si ha da congiugnere con la parola, ferantur, dove la pone Aristotile, ma ancorche si congiugnesse con la parola, causae, non farebbe niente in favor suo. perche Aristotile come habbiamo detto, dalla diversità delle figure conclude il più, o meno veloce moto. Onde se le figure si dessero quali appartengono a gli Elementi, aiuterebbono elle bene il moto loro, inquanto la cosa mossa dee havere quantità figurata. Ma perche in tal caso sono indifferenti, la indifferente natura seguendo, non vengono a variarlo secondo il tempo. perche si come da indifferenti cagioni procedono indifferenti effetti; così dalle differenti, differenti effetti. Dice più avanti nel suo libro il Galilei, che da Aristotile nel quarto della Fisica sono attribuite le cause primarie del più, e men veloce alla maggiore, o minor gravità de' mobili paragonati tra di loro, & alla maggiore, o minor resistenza de' mezzi dipendente dalla maggiore, o minor crassizie. E che la figura vien poi dallo stesso considerata più tosto come causa strumentaria della forza della gravità. E che da queste cose conclude, che la figura per se stessa non farebbe ne gravità, ne leggerezza. La qual conseguenza diciamo esser falsa; perche Aristotile nel quarto della Fisica parla di materie diverse, e nel quarto del Cielo, della maggiore, o minor velocità del moto nella medesima materia per la ragione delle figure. Viene anco l'Autore a battaglia con Aristotile per un Ago, e dubita contr’esso, perche posato leggiermente sù l'Acqua resti a galla non meno, che le sottili falde di ferro, o di piombo. Distrighiamoci di questa ancora dicendo in prima, che il Galilei cerca tra queste cosette se alcuna ne potesse trovare, per la quale gli riuscisse, corre Aristotile in qualche erro retto. come per esempio, d'Ortografia, e non in cose gravi. poi che il fare l’esperienza, se un Ago stà a galla, o no, è tanto facile ad ogn'uno, che non sarebbe stato men facile ad Aristotile, il quale volle vedere infinite, e difficili esperienze. E gli intendenti della lingua Greca fanno ormai, che'l vocabolo usato da Aristotile in questa materia. Bελουη. che in lingua latina significa, acus, significa l'Ago da reti, il dirizzatoio de’capelli, & altri aghi grandi. Perche adunque il Galilei non prese di questi? ma per fare la sua esperienza ne prese uno, che propriamente si dee dire aghetto, o aghino, e non ago; & viene in tal maniera strignere Aristotile, si come non fosse altro. l’Ago, che aghino, e pure Acus, significa per metafora ancora aciculam, cioè, ζαφιδιου oltre che il paragone non si fa mai negli estremi, ma nelle cose più prossime: e però nelle parole d’Aristotile ove dice, e altre cose minori, e meno gravi; cioè, de' larghi ferramenti, e piombo; che se sono ritondi, o lunghi, come l'ago, vanno al fondo. Si deono adunque prendere aghi, un poco minori de larghi ferramenti, e piombo, e non i minimi, i quali soprannuotano nel modo, che afferma Aristotile di alcune cose, per la picciolezza loro nuotano per l’Aria, e l’Acqua, come la rena d’oro, e altre cose terrestri, e polverizzatte. E non è dubbio, che le cose minime si sostengono più nell’ acqua che nell'Aria, se non avviene qualche altro accidente. Contradice ad Aristotile, perche afferma, che l’oro battuto, e la rena d'oro, & altre cose terree, e polverizzate nuotano per l’Aria, negandone la esperienza, e dicendo nuotare commosse dal vento. Al che pur si risponde, che Aristotile in questo luogo parla figuratamente, cioè συνεκδοχιωσ nominando la parte per lo tutto; perche il vento contien due parti, l’esalazione, e l’Aria contigua, che è mossa per violenza. E questo è modo comune di parlare; si come si suol dire, che l’Aria porta alcuna cosa: perche quasi sempre nell’Aria è alcuna commozione. Ma diciamola come sta ψυγμα non si chiama l’oro battuto, ma la limatura, ne Aristotile di che nuoti sù l’Aria, ma sù l'Acqua, come osservò Simplicio, e cosi non occorre fondarsi nel vento. Impugna di nvovo l’Autore la risposta d’Aristotile contr'a Democrito, il quale hebbe opinione; che alcuni atomi ignei, che continovamente ascendono per l’Acqua; sospingono in sù, e sostengano quei corpi gravi, che sono molto larghi; e che li stretti calino a basso: per la poca quantità d’Atomi, che contrasta, e ripugna loro; perche rispondendo Aristotile a Democrito, disse. che ciò dovrebbe più facilmente avvenire nell’Aria; si come il medesimo Democrito ne muove contro di se instanza. ma dopo haverla mossa, la scioglie leggiermente con dire, che i corpuscoli, che ascendono in Aria, fanno impeto disunitamente. Dico, che Aristotile non ha risposto al falso scioglimento di Democrito, perche era fondato sù principii falsi, cioè sù Calidi da’quali voleva si facessero tutte le cole, e contra quelli altre volte haveva disputato Aristotile, e mostratone la vanità loro, tal che sarebbe anco stato vano il trattarne più volte di questi senza proposito, & in vero è quella dottrina una tal pazzia, che mi vergogno io, non che Aristotile a trattarne; e pure poi che pare se ne tenga conto dicamisi di grazia per qual cagione habbino quei calidi più forza di sostener per Acqua, che per Aria? se perche vengono più uniti, ma perche più nell’ Acqua s’uniscono, che per Aria? e dovunque s’uniscono, necessario è che lascino un luogo, e che s’accostino all’altro; nel luogo dunque lasciato non potranno haver forza di sostenere, e pur la forza si vede uguale a tutte le parti; se già non vogliamo dare tanto cervello a gli Atomi, che non altrimenti, che soldati in battaglia vadino soccorrendo secondo il bisogno; e non niego però, che potessero essere a tempo; ma digrazia usciamo delle pazzie tanto espresse. Dice l’Autore, che s’inganna Aristotile non avvertendo, che i medesimi corpi sono men gravi nell'Acqua, che nell’Aria, e però si sosterranno più facilmente in quella, che in questa. S'inganna ben egli doppiamente prima, perche non ha inteso Democrito, il quale non attribuiva il sostenere all’Acqua, ma a quei calidi solamente, e però il sostenere più nell’Acqua, che nell’Aria non fa a proposito di Democrito; dipoi perche non vuole la Resistenza posta da Aristotile senza la quale non si può render ragione, perche una cosa pesi più nell’Aria; che nell’Acqua, perche altrimenti un corpo dovunque sia posto ha la medesima gravità. Adesso l’Aitore si sforza a confutare Democrito non stimando in nessuna maniera la riprensione d’Aristotile contra Democrito; onde dice che se gli Atomi caldi ascendenti nell'Acqua sostenessero un corpo, che senza’l loro ostacolo andrebbe al fondo, ne seguiterebbe, che noi potessimo trovare una materia pochissimo superiore in gravità all’Acqua, la quale ridotta in una palla, o altra figura raccolta, andasse al fondo, come quella, che incontrasse pochi Atomi ignei, e che distesa poi in una ampia, e sottil falda, venisse sospinta in alto dalle impulsioni di gran moltitudine de medesimi corpuscoli, e poi tratrenuta al peso della superficie dell'Acqua: il che non si vede accadere, mostrandoci l’esperieza, che un corpo di figura v. g. Sferica, il quale a pena, e con grandissima tardità, va al fondo, vi resterà, e vi discenderà ancora, ridotto in qualunque altra larghissima figura, bisogna dunque dire, o che nell’acqua non sieno tali Atomi ignei ascendenti, o se vi sono, che non sieno potenti a sollevare, e spignere in sù alcuna falda di materia, che senza loro andasse al fondo: delle quali due posizioni io stimo, che la seconda sia vera, intendendo dell’Acqua costituita nella sua natural freddezza; ma se noi piglieremoun vaso di vetro, o di rame, o di qualsivoglia altra materia dura, pieno d’acqua fredda, dentro la quale si ponga un solido di figura piana, o concava, ma che in gravità ecceda l'Acqua cosi poco, che lentamente si conduca al fondo, dico che mettendo alquanti carboni accesi sotto il detto vaso, come prima i nuovi corpuscoli ignei, penetrata la sustanza del vaso, ascenderanno per quella dell’acqua, senza dubbio urtando nel solido sopradetto, lo spigneranno fino alla superficie dell’acqua, e quivi lo tratterranno, sin che dureranno le incursioni de’ detti corpuscoli, le quali, cessando, dopo la suttrazion del fuoco, tornerà il solido al fondo, abbandonato da' suoi puntelli. Intorno alle parole del Galilei è da notare, che egli primieramente erra volendo, che la figura ampia e larga, che tocca il fondo habbia da esser sollevata da qielli Atomi caldi, che nell’acqua secondo l'opinione di Democrito si ritrovano in pochissima quantità; perche fra la superficie della figura larga, e la parte della superficie della terra, che si toccano fra loro, non può esser quantità bastante a muovere tali figure in sù. Di poi erra perche potrebbe cofutare Dimocrito, con il dire, che qualsivoglia gravità in figura dilatata, che galleggia in sù l’acqua sarebbe anco sostenuta sotto la superficie dell’Acqua, e di più potrebbe anco esser sollevata in alto per la medesima gran quantità, che tanto sarebbe nel mezzo dell’acqua, come nella superficie, poi che l'istessi in numero, che lo potrebbeno sostenere in alto, lo potrebbono anco sollevare in alto. Erra ponendo gli Atomi. Erra ponendo la penetrazione de' corpi, Erra chiamando la caldezza corpo, Erra dicendo che il caldo sostenga, del quale è proprio riscaldare, e penetrare è'l sostenere de' corpi. Erra perche ancora che quelli calidi fussero fuoco, ad ogni modo non potrebbono sostenere sopra di loro le cose terrestri, essendo questi per natura leggieri, e quelli per natura gravi. Erra mettendo il fuoco dentro all’acqua senza esser mantenuto da qualche convenevole materia, Erra perche vuole che sia nell’acqua fuoco senza vederlo, e senza provarlo. Erra perche il fuoco movendosi ricerca il suo luogo, e non resta nell’acqua, Erra perche l’acqua calda non sostiene i corpi più gravi d’essa se non sia per qualche commozione. Erra ponendo moto a gl’indivisibili. Erra perche tali Atomi harebbono sostenuto meglio nell'Aria, che nell’Acqua, perche nell’Aria non sarebbono cosi sparpagliati, come nell’acqua per la contrarietà interposta, Erra mettendo il fuoco nell' acqua senza essere spento, Erra perche il fuoco nell'acqua non sosterrebbe, ma più tosto s’armerebbe contro l’acqua come destruttiva del suo essere, Erra chiamando la caldezza Atomo che si distende con la quantità del subietto, Erra perche chiama indivisibilii corpi ignei. Erra ponendo l’acqua mezzo del moto naturale del fuoco. Erra ponendo i corpuscoli sostenere più in cima, che nel mezzo, Erra perche da al fuoco più forza, che all'acqua, Erra perche l’inconveniente crede essere causa contro Democrito, Erra dando alle cose indivisibili tatto. Erra ponendo essere Fisico indivisibile, Erra perche quelli corpuscoli abbrucerrebbono quelli corpi, e non li sosterrebbono, Erra perche i corpirari non sostengono sopra di se tali corpi gravi, ma si dividono da loro facilmente, Erra finalmente per non ricercare altre minuzie dicendo, che il fuoco partorisca fuoco Atomo per servizio di quelli corpi gravi. Concludiamo dunque, che chi non vuole caminare alla cieca, bisogna che si consigli con Aristotile ottimo interprete della natura, che nel fine del quarto libro del Cielo non se la passa solo con addurre un inconveniente, ma con renderne la cagione bene esplicata da lui, cioè, che il tutto depende dalla più, e men facile divisione del mezzo. cioè, che le cose larghe essendo più spaziose sono causa, che la gravità del solido si appoggia in più punti, e per conseguenza accrescendo anche le parti del mezzo pigliano tanta forza contro il galleggiante solido, che così lo fanno flare a galla. Il contrario è nella figura acuta, nella quale posando la gravità in manco punti, vengono accresciute le forze di sopra, e diminvite quelle di sotto, e conseguentemente vincendosi il mezzo dal solido è penetrato in tutte le sue parti, e si vede per esperienza, che quanto più le figure sono acute, tanto più si sommergono, e questo vuole intendere Aristotile quando dice che le figure piane compredono molto, donde si cava manifestamente, che la figura piana non solo è causa de la tardità del moto ma d’una intera quiete, questo non può intervenire all'Aria per essere molto debole, anzi l'esempio che adduce l’Autore, che un legno tanto vincerà l’Acqua ascendendo come l'Aria discendendo, è falso: perche con questo che nel ascendere non solo è mosso dall’Aria, ma anche cosi scacciato dall’Acqua, a ogni modo ascende più tardi per l’Acqua, che non discende per l'Aria senza comparazione veruna. e quì negherà mai che non si tagli più difficilmente il corpo più sodo che il più debole, per la maggiore resistenza: è falso adunque che non s’habbia a poter ritrovare, o imaginare virtù, della quale la renitenza dell’Acqua, all’esser divisa, e distratta, non sia minore, perche la virtù d’Aria è minore, e per ritornare al nostro proposito benche le strisce fatte d’una falda di piombo, o d’altra materia sopranuotino, ciò non è contro quello, che scrive Aristotile, perche esse galleggiano per la loro picciolezza; E da questo si comprende chiaramente esser falso quello, che asserisce il Galilei dicendo, Che quando ben fusse vero, che la renitenza alla divisione fusse la propria cagione del galleggiare, molto e molto meglio galleggierebbono le figure più strette, e più corte, che le più spaziose, e larghe. Dico esser false simili parole, perche in questa parola stretto, o intende d'un corpo continuo, che habbia la medesima gravità che haveva la figura piana, o vero intende d’una figura stretta, che soprannuota per la piccolezza; Se del primo modo, non solamente non soprannuota meglio tal figura, ma ne meno soprannuota in guisa alcuna; ma lui intende del secondo, come si vede nella tavola A.B.D.C. e però non fa al proposito nostro, perche noi parliamo d'una figura piana, e d’una raccolta, o stretta come d’un’ago, e che habbino la medesima gravità in un medesimo subbietto, cioè in un medesimo corpo continovo. Indi si rivolge pure a esso, che confutando Democrito, argomentava così. Se una gran mole d'Aria havesse maggior quantità di terra, che una piccola d'Acqua. l’Aria, senza dubbio, sarebbe più grave, e discenderebbe conseguentemente in giù più presto dell'Acqua. Si che Aristotile vuole, che la maggior parte di terra, si muova più presto della minore. Il che è falso. Mostreremo noi che non è falso, ma tra tanto dicasi perche più presto in giù si muova il ferro che il legno, ancor che di grandezza disuguali? Questa opinione posta dal Galilei fu avanti del Mazzoni mosso dalle parole del testo d'Arist. che si porranno quì appresso, nelle quali afferma, che più velocemete si muova il tutto, che la parte, per contenere il tutto quantità maggiore. la qual cosa stimando il Mazzoni errore, lasciò nel suo libro scritto; che Aristotile vi cascò, per non haver conosciute le proporzioni Matemathice. Per la quale inconsiderata, & arrogante calunnia, siamo sforzati di nvovo a prendere la dichiarazione d’Aristotile. per lo che fare esamineremo prima le parole del testo; e di poi dimostreremo il senso di esse. Il testo del Mazzoni addotto nel terzo del Cielo è questo. E se si dividerà un corpo, che habbia gravità, come la linea C. E. alla linea C. D. se’l tutto si muove per tutta la linea C. E. è necessario che la parte si muova nello stesso tempo della C. D. la qual cosa il Mazzoni dice essere per esperieza falsa, tenendo, che Aristotile affermi ancora il medesimo nel quarto della Fisica con quelle parole. Lo stesso corpo, e lo stesso peso; per la parola, stesso; che stima, che significhi lo, stesso, secondo la medesima spezie, cioè, secondo la medesima materia. Risponderemo adunque al Mazzoni ancora e dimostreremo in prima gli errori ch’egli ha commessi, e quindi trapasseremo a far manifesto il restante. primo error del Mazzoni è stato haver creduto, che Aristotile non habbia conosciute le proporzioni Matematiche. Ma chi dubita, che questo sia falfissimo? poi che è noto, che gli Studiosi della Filosofia attendevano in que' tempi molto più alle scienze Matematiche, che non fanno oggi i nostri. ne studiava già mai alcuno Logica, che non havesse prima dato opera a quelle. Ma più de gli altri facevano questo gli Scolari di Platone. il cui precetto era, che niuno senza la scienza della Geometria entrasse nella sua Scuola. Come sarà adunque credibile, che Aristotile Scolare suo, il maggiore che egli havesse, vi fosse entrato senza la cognizione di essa? E chi crederà mai, che huomo di si eminente dottrina non l’havesse appresa? la quale imparavano allora i fanciulli, come fanno hora i nostri le lettere dell’Alfabeto. A confermazione di ciò si vede, che quasi in tutti i suoi libri, sono sparse molte cose di Matematica, e principalmente in quelli, delle Meccaniche, ne’quali egli le usò quanto giudicò necessario a suoi insegnamenti. Oltracciò la proporzione appartenente al nostro testo non era si difficile, che senza una molto esatta cognizione di Matematiche non l'havesse potuta intendere, e usare. La quale era, che data parità di proporzione in cose contrarie tanto fosse, per esempio, quella del combattere dodici con quattro, quanto quella di sei, con due. per loche dati nella medesima materia di sasso gradi dodici di gravità, e nella parte del medesimo sei, di necessità ne avvenisse, che'l mezzo havesse a contrastare nella medesima proporzione. E ne seguisse, che’l tutto si dovesse muovere nello stesso tempo, che la parte; quando però nello esperimentarsi la cosa in materia, ne succedesse tale effetto. Ma di questo ne parleremo poi. E concludendo dico, che Aristotile dato, che havesse negata tal proporzione in altri luoghi, non la niega in questo, perche parla in altro proposito. E’l Mazzoni stesso lo havrebbe concesso diverso; se havesse inteso il luogo. Dice adunque Aristotile in quel testo 26. del terzo del Cielo, primieramente che i moti de’corpi sono naturali, perche non si fanno, ne per violenza, ne fuor di natura. Secondariamente dice, esser necessario, che alcuni corpi habbiano inclinazione a gravità, e leggerezza, peroche niuna cosa, si può muovere, che non sia grave, o lieve; è che se sarà grave, si muoverà al mezzo; e se lieve da esso. parlando in questo luogo solamente del corpo sollunare, e non celeste movendosi quello solo circolarmente. E ritornando alla cosa, perche havrebbe forse alcun dubitato contr'Aristotile che un corpo non grave, potesse anche discendere; volendo egli all'incontro, che i gravi solo facciano questo, mosso da ciò, a distruzione del dubbio, argomentò nella maniera seguente, conducendo l’avversario in uno assordo necessario, cioè, che’l non grave, e'l grave, discenderebbono nel medesimo tempo. a pruova di che piglia come concesso, che'l grave debba muoversi più presto del non grave. Et argometa in questa guisa per lettere. Sia A. non grave. Sia B. grave. muovasi il non grave per la linea C. D. e'l grave per la linea C. E. cioè, per la porzione più veloce per ragion del concesso. E dividasi il corpo grave. Se'l tutto si muove per la linea C.E. sarà necessario, che la parte si muova meno. Onde per conseguenza havrà la medesima linea del non grave. cioè C. D. e avverrà, che nello stesso tempo si muoverà il grave, e’l non grave, che è impossibile. Ora per intendere questa cosa è da notare, che Aristotile in questo testo parla d’una gravità minima, della quale non se ne possa dare alcun'altra minore. Il che si prova in questo modo. Pigliamo A. non grave, che si muova per la linea C.D. e piglisi per grave, per esempio un sasso. e muovasi per la linea C. E. e di esso una parte, della quale si possa trovare altra cosa men grave. E muovasi per la linea C.D. del non grave. Ora, perche date le linee uguali, quando una di esse eccede un' altra, necessariamente ancora la sua uguale eccederà la medesima. E perche s'è detto ancora, che'l non grave, e la parte del sasso si muovono nel medesimo tempo, ne seguirà, che'l non grave habbia a muoversi più presto di quel grave, che era men grave della parte del sasso. E per conseguenza si verrà a concludere che'l non grave s'habbia a muovere più presto del grave. che sarebbe una conclusione contro’l concesso, che era che’l grave si muovesse più presto del non grave. Il che sarà non solo conclusione diversa a quella, che vuol fare Aristotile. Ma concluderà contro'l concesso. cosa contraria al modo dell’argomentare. Onde sarà sforzato il Mazzoni, & ogn'altro a confessare, che Aristotile intenda in questo luogo una minima gravità della quale non se ne possa trovare altra minore, e che parli più tosto in astratto che in concreto, e per conseguenza niuna altra cosa non possa di essa muoversi più tardi per corrispondere la minima gravità, al minimo tempo. Onde per non dare Aristotile lo infinito, il quale niega nel primo del Cielo, ove fa corrispondente la gravità, e leggierezza, piglia il contrario di esso, che è il fine; cioè, la minima gravità. Che se pigliasse parte proporzionata, non concluderebbe niente: perche l’avversario negherebbe sempre, che’l non grave potesse muoversi in un medesimo tempo con la parte proporzionata del sasso, massimamente che Aristotile vuole che la parte habbia un grado meno del tutto quanto alla gravità, la qual cosa non è vera nel parlar concreto, dove la parte sempre ha assai manco gradi del tutto. Seguita l’altro suo errore, che credeva, per quelle parole d'Aristotile nel quarto della Fisica, che fosse’l medesimo materia, e spezie. e pure Simplicio, che ne sapeva più di lui, fa la gravità una spezie, e la leggerezza un altra, e niente di meno non direbbe, che tutte le cose gravi fossero della medesima materia, e pur sono della medesima spezie. adunque altro è spezie, & altro materia. perche o pongasi la gravità nel predicamento della qualità, o della relazione, o del dove, o della quantità; Inquanto la gravità segue la moltitudine della materia, sempre sarà una nella spezie; se bene fosse participata da diverse materie gravi, secondo i più, o meno gradi. Commette di nvovo due altri errori il Mazzoni, non di poco momento, il primo negando l’esperienza, che in una medesima materia si muova il tutto più presto della parte. nella quale s’ingannò; perche ne fece forse l'esperienza dalla sua finestra, la quale perche fu bassa, da essa tutte le materie gravi andarono forse ugualmente a basso; ma noi l'habbiamo fatta di cima al Campanile del Duomo di Pisa esperimentando vero il detto d’Aristotile, che’l tutto della medesima materia in figura proporzionata alla parte discendeva più velocemente di essa, luogo veramente a proposito fu, poi che il vento mediante l'impulsione potrebbe variare l’effetto, nel qual luogo non sarebbe mai tal pericolo, e cosi viene avverato il detto d’Aristotile nel primo del Cielo, che’l corpo maggiore, si muove più velocemente del minore della medesima materia. e nel medelimo modo che cresce la gravità, cresce ancora la velocità. E questo testo faceva molto più per loro, che quegli, che hanno citati di sopra. Ma l’error del Mazzoni è stato, che ha paragonato solamente il mezzo col mobile, secondo la grandezza della materia, e non secondo le forze sue. E però la sua proporzione non è a proposito. Si dee adunque distinguere l'eccesso in due modi, o secondo la quantità, o secondo la qualità. Siano v. g. due sassi un maggiore, e un minore. Sia secondo la quantità il maggiore doppio del minore; ma di qualità sia tre volte più. Ora quanto alla quantità procede bene la proporzione del Mazzoni; ma quanto alla qualità non è vera. Perche havendo il maggiore più forze supererà per conseguenza il minore in proporzione rispetto al mezzo disuguale. Ma non si dee pigliare la quantità, senza la qualità; perche se bene l’Aria contrasta secondo l’occupamento della figura, si muoverà niente di meno, per le forze maggiori, o minori contenvte in essa, uno più velocemente dell’altro. Onde si vede, che pigliando ferro, e sasso della medesima figura, si muoverà più presto il ferro, che’l sasso: perche nel ferro la virtù della gravità è maggior di quella del sasso, e per conseguenza egli per l’eccesso delle forze, supererà più le parti resistenti dell’Aria, che non farà il sasso le sue: le quali parti erano tra di loro uguali. Piglisi di poi un sasso, il quale pesi dieci libbre, e ferro, che ne pesi cinque discenderà indubitatamente più presto il ferro del sasso: perche se bene il sasso haveva maggior gravità, per necessità haveva ancora molto maggiore la figura. e così in proporzione al mezzo, le forze del ferro erano maggiori di quelle del sasso. Onde, se bene nel sasso era maggior gravità, ritrovava niente di meno per maggior estensione della figura maggior contrasto nel mezzo. Concludiamo adunque che paragonando insieme la quantità con la qualità rispetto al mezzo, si ritroverà, che la proporzione, come habbiamo detto, sarà disuguale. Ma ritorniamo all’Autore, il quale contraddice ad Aristotile, che argomentava così contro a Democrito. Che se una gran parte d'Aria contenesse più parti di terra, che una picciola quantità d’Acqua, l'Aria discenderebbe per le molte parti di terra più velocemente in giù, che non farebbe l’Acqua per le poche. A questo s’oppone il Galilei, dicendo. non esser necessario, che una gran mole d’Aria per la molta terra contenuta in essa discenda più velocemente, che la picciola mole d'Acqua. Anzi per l’opposto, qualunque mole d'Acqua dovrà muoversi più veloce di qualunque altra d’Aria; per essere la participazione della parte terrea, in spezie maggiore nell'Acqua, che nell'Aria. E la risposta a quest’opposizione del Galilei sia horamai la conclusione di questo nostro Libro. perloche fare, si ha da distinguere la velocità in più modi, cioè, o secondo il maggior moto in paragon del minore, o secondo la propinquità del fine, o la diversità del mezzo, o della figura, o l’eccesso delle gravità di diverse materie, o quello della gravità della medesima, o vero secondo quello della men grave in paragone della più grave ma ridotta in minima quantità. Ora di qual velocità di moto all'ingiù intendesse Aristotile nell’argomentare contro a Democrito diciamo, che egli parlò dell’ultimo modo, cioè dell'eccesso. Per pruova di questo è da notare tre cose. la prima che Aristotile parla di qualche moltitudine, ma non di ogni; perche non fosse intesa ogni moltitudine in paragone di qualsivoglia minor'Acqua. La seconda è che Aristotile non pone minor parte d’Acqua di quella d'Aria, ma assolutamente dice poca; accioche non fosse presa poca in paragone di qualsivoglia maggior parte d’Aria; perche dicendosi, poca, si potrebbe intendere ancorauna gran copia, come interviene per lo più ne' paragoni. La terza cosa finalmente è che Aristotile non congiugne la voce greca corrispondente alla dizzione, poca, con l'articolo, per la cognizione di che è da sapere, che l'articolo significa o la Idea universale delle cose differenti da essa; come insegna Ammonio nel libro della Interpretazione; o vero il proprio, e diterminato a differenza dello’mproprio. o vero significa, ma di rado, cosa detta in universale, ma ristretta al particolare. come afferma Magentino nel libro della Priora. dove Aristotile dice, il piacere non esser buono. Ed in questo modo conviene con la voce, che è senza articolo propriamente. se bene con l’articolo si dice impropriamente, e però Aristotile in questo luogo non piglia ogni poca acqua; ma qual che poca. per non concludere come il Galilei, che conclude adunque ogni maggior parte d'Aria si muoverà più velocemente, che la minor’acqua. la qual conclusione se Aristotile facesse contraddirebbe egli stesso a suoi Dogmi; tra’ quali uno è, che il più grave debba più velocemente muoversi, intendendo più grave o secondo diversa materia, o secondo la medesima. II che si dee prendere in proporzione; poiche qualche volta avviene il contrario, cioè, quando non si piglia la proporzione uguale, ma disuguale; perche in tale estremità si può dire, che non solo le cose gravi si muovono più tardi, ma che cessi poi tutto il lor moto. Cioè, che la terra voli per aria, e che la cosa più grave dell'acqua nuoti sopr'essa. Si come l'oro battuto quel minimo, e la rena volano per l'Aria, e l'Ebano, e l’Aghetto soprastanno all'Acqua. & anche si vede per esperienza come un legno si muove più presto in giù che un sasso piccolo, con questo che è più gravità nel sasso che nel legno, e pure è molto maggiore la quantità dell'Aria in quel legno che non è la terra, ne puo fare secondo il Galilei tanta quantità del fuoco in quell’Aria che la parte terrena con la quale è unita non s’habbia a muovere più presto d’un sasso, o d'altra cosa per natura più grave del legno, molto adunque più presto si muoverebbe dall’acqua che è meno grave di tali materie per havere il suo fuoco secondo l’opinione di Democrito. Concludasi adunque che non solo la terra in minore quantità porta l'Aria, o vero il fuoco in giù, ma anco non può essere cosi trattenuta che non possa muoversi più presto da una minima parte di terra, o gocciola d'Acqua, ma quello in che doverebbe fare il Galileo difficultà è più di sotto, dove Aristotile argumenta, che anche una gran quantità d’Acqua si muoverebbe più presto in sù, che poca d'Aria, ma se poca terra vince molto fuoco, come adunque manco fuoco porterà in sù più terra? Tal dubbio m’induce a credere che Aristotile contra Democrito argomenta havendo più riguardo a' Nomi, che alla natura della cosa, poi che quelli Antichi Filosofi andavano dicendo, che si muovessero gli Elementi hora per il triangolare, hora per la grandezza, & hora per il pieno, & voto, e non ponevano altrimenti la natura principio del moto, e cosi diceva Democrito, che la terra si muoveva in giù per il pieno, & il fuoco in sù per il voto, e dipoi voleva che l'Aria participasse più di voto che di pieno, e l’Acqua più di pieno che di voto, contro di lui Aristotile argomenta, che se per il pieno l'Acqua si muove in giù, adunque una gran quantità d'Aria havendo più pieno che poca Acqua si muoverà più presto in giù, come anche una gran quantità d'Acqua per havere più divoto che poca d'Aria si muoverà più presto in sù, E se bene la gran quantità d'Aria havesse più di voto, che di pieno, e per il contrario l'Acqua più di pieno che di voto, non gioverebbe questo punto a Democrito, perche se per il più voto non venisse in giù l'Aria, non sarebbe adunque vero che il pieno fusse causa del moto all’ingiù, e più di voto dove non s'accelera il moto all'insù, adunque ne pieno è nell'Aria, ne voto nell’Acqua, ne questi possono dirsi principio di moto. si che la Disputa stà ne nomi, e non in Re, come ha creduto il Galilei nostro, oltre che si darebbe repugnanza nella natura degli Elementi, per il pieno, & vacuo, se il pieno per il più voto non facesse il muoversi in giù, ne il voto per il più piano non facesse il muoversi in sù, di più un nome non leva la forza d'un altro, E questo basti a dichiarazione della vera dottrina d'Aristotile. La quale ho difeso, e m'offerisco a difendere. IL FINE. Gli errori fatti nella stampa circa l'interpunzioni, & ortografia, che nella nostra lingua non pare ancora forma di consenso comune, non si noteranno altri, che quelli, che mutassero il senso; ma quelli, che si doveranno dal Lettore riconoscere, saranno i seguenti. Pag. Verso Errore Correzzione. 9 29 si ci 2 43 amici amori 3 35 descrizzioni descrizzione 4 15 la contraria e contraria 6 13 unissero uscissero 6 21 humidi humido 9 28 in Latino che in Latino 9 32 come è l’anima e posposto onde Aristotile 14 8 loro lui 16 12 s’è se 17 17 cacciata cacci 18 24 cominciare comunicare 19 11 habbiamo habbino 19 18 lo la 20 1 Nel minore il mezzo cassa queste parole 21 19 ghiaccio aereo ghiaccio è aereo 27 24 esaltazione esalazioni 27 28 gli la 33 10 si puo non si puo 36 15 e bagnata va e bagnata aggiuntovi un poco di piombo va &c. 36 19 pur è pure 45 7 di che dice 48 29 e qui a chi