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<title>Niccolò Strozzi's Lodi di Francesco di Lorena (1640): A Basic TEI Edition</title>
<author>Galileo’s Library Digitization Project</author>
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<orgName>the TEI Archiving, Publishing, and Access Service (TAPAS)</orgName>
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<addrLine>360 Huntington Avenue</addrLine>
<addrLine>Northeastern University</addrLine>
<addrLine>Boston, MA 02115</addrLine>
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<licence>Creative Commons BY-NC-SA</licence>
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<note>Based on the copy digitized by Google Books and held by the Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze</note>
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<title>Delle lodi di Francesco di Lorena, Principe di Gionville. Orazione recitata in Firenza nella Compagnia dell'Arcangelo Gabrielle volgarmente detta del Raffa, nelle solenni esequie fatte la sera de' 21 Gennaio 1639.</title>
<author>Strozzi, Niccolò</author>
<pubPlace>Florence</pubPlace>
<publisher>Pignoni, Zanobi</publisher>
<date>1640</date>
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<p>This TEI edition is part of a project to create accurate, machine-readable versions of books known to have been in the library of Galileo Galilei (1563-1642).</p>
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<p>This work was chosen to maintain a balance in the corpus of works by Galileo, his opponents, and authors not usually studied in the history of science.</p>
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<p>Lists of errata have not been incorporated into the text. Typos have not been corrected.</p>
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<p>The letters u and v, often interchangeable in early Italian books, are reproduced as found or as interpreted by the OCR algorithm. Punctuation has been maintained. The goal is an unedited late Renaissance text for study.</p>
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<p></p>
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<p>Hyphenation has been maintained unless it pertains to a line break (see "segmentation").</p>
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<docTitle>Delle lodi di Francesco di Lorena, Principe di Gianville. Orazione dell'Abbate Niccolò Strozzi Canonico Fiorentino, Regio Elemosiniero del Re Christianissimo. Recitata da lui in Firenza nella Compagnia dell'Archangelo Raffaelle volgarmente detta del Raffa, nelle solenni Esequie fatte la sera del 21. di Gennaio 1639. In Firenze, nella Stamperia di Zanobi Pignoni. MDCXXXX. Con Licenza de' Superiori.</docTitle>
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<date>1640</date>
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<pb n= "1"/>
<lb/>DELLE LODI
<lb/>DI FRANCESCO DI LORENA
<lb/>PRINCIPE DI GIANVILLE
<lb/>ORAZIONE
<lb/>DELL’ABBATE NICCOLO STROZZI
<lb/>Canonico Fiorentino, Regio Elemosiniero
<lb/>del Re Christianissimo.
<lb/>Recitata da lui in Firenze nella Compagnia dell’Archangelo Raffaelle
<lb/>volgarmente detta del Raffa, nelle solenni Esequie
<lb/>fatte la sera de 21. di Gennaio 1639.
<lb/>In Firenze, nella Stamperia di Zanobi Pignoni. MDCXXXX.
<lb/>Con Licenza de’ Superiori.
<pb n= "3"/>
<lb/>LA vera pietà di chi à morti soprauuiue fra le tenebre di morte, allora à merauiglia i suoi splendori diffonde, che da famoso Oratore, da nouello Pericle gl’ornamenti, e le glorie de’ chiarissimi huomini defunti al viuo si rappresentono, per additare quasi con fiaccola accesa in questa oscurità mortale all’età presenti, alle future quel diuino sentiero, che à gloriosamente viuere, ed à felicemente morir ne conduce. Ma qual pietà Vditori in questo squallore, in questo lugubre apparato esser potrà si luminosa, e si grande che per insegnamento de’ posteri la bellezza dell’animo, le virtù eroiche, le sublimi prerogatiue di FRANCESCO di LORENA Principe di Gianuille, non dirò possa a pieno mostrare, ma ne pure vna breue parte accennarne; Oh potess’io
<lb/>quelli altissimi suoi meriti, sù la tauola di Parrasio con industre pennello colorir viuamente, che bene haurebbero tutte l’età, tutti i secoli per loro compita norma che ammirare, che apprendere, che immitare. Ma souuenendomi che il Padre dell’Eloquenza Demostene diceua, fra le cose impossibili sembrarli il lodare la vita, e la morte de’ Grandi, come potrò snodar
<pb n= "4"/>
<lb/>la lingua per lodare vn Eroe, che altro di mortale non ebbe, che quella spoglia terrena, oggi in angusto marmo, con le lacrime nostre, co nostri cuori racchiusa, essendo il restante diuino, sempiterno, immortale. Ne poco m’atterrisce questa eletta, e numerosa adunanza, contemplando nell’aspetto di tutti impresso l’affanno, e’l dolore, parmi di tutti ascoltare i sospiri, le querele, i lamenti; odo i singulti di Fiorenza, d’Italia, di Francia, d’Europa, e del Mondo, onde à me che parlar deggio, tutto mi si rappresenta funesto, doloroso, terribile, inusitato. Ma che ? se da Romani Censori i sacrifizi lustrali celebrar douendosi, ogni mestizia lugubre dall’vniuersale deponeuasi; Depongasi dunque ormai da nostri petti ogni cordoglio Signori, mentre io di compatire all’infecondità del mio ingegno, alla rudità della mia lingua pregandoui, di tanto Eroe alle qualità sourane per consacrar m’apparecchio purissime oblazioni di gratitudine, e di lodi.
<lb/> Scielse il superno Artefice à formar l’anima preziosa di FRANCESCO il più fin’oro della celeste miniera, e la più bella, e perfetta Idea per meglio della mortalità adornarla, e vestirla, accioche egli in terra la condizione vmana trascendendo fusse vna ammirabile Idea di Principe valoroso, e Cristiano. Volle darli per fidatissime scorte, e per acuti stimoli al bene, e virtuosamente operare le gloriose azioni, i pregi indicibili del suo gran Padre, e de suoi magnanimi Predecessori; volle farlo nascere sotto il felicissimo Cielo della Francia, feconda madre d’Eroi in Parigi, cuore, e pupilla di si bel Regno, volle dico farlo
<pb n= "5"/>
<lb/>nascere inclito germe della Real Prosapia de Lottaringi, che per immemorabile serie di secoli, chiara, famosa, incorrotta, hà con ammirabili esempi appesi al Tempio dell’Eternità, e della Fama, Porpore, Diademe, Scettri, Vessilli, e Corone; Sono i suoi raggi d’Occidente, e d’eclisse incapaci, più belli delle Stelle, e del Sole, per tutto l’ambito della terra seminati, e diffusi; per retaggio di Femmina da vna Figliuola di Carlo Magno discende; pregiasi d’hauer prodotti Arrigo, e Goffredo, quelli trionfator de Mori, primo germinatore, e stipite de Reali di Portogallo, questi debellator dell’Asia, conquistatore di Gierusalem, liberatore del Santo Sepolcro. Ma à che prò ne vanti de gl’antichi diffondersi, se la Serenissima Madama la Gran Duchessa Cristina d’immortal ricordanza, dell’immortal Ferdinando primo Consorte da questa Regia Stirpe è venuta ? la Gran Duchessa Cristina che fu dal Re de lumi di celesti virtudi illuminata arrichita, che fu la sua vita vn’esatto Esemplare di Principessa grandissima, e Cristiana, da Principi ammirata, da Popoli adorata, che Genitrice auuenturosa propagò soura l’Arno per nostra publica, e perpetua felicità si bella Progenie, si belle piante di Balsamo, che i pregiati, e peregrini odori delle loro Eroiche azzioni, sino ne gl’angoli estremi del Mondo si odorono, che dalla prima di quelle dal Gran Cosimo II. e dalla Real Maddalena d’Austria ne sono germogliati il nostro Serenissimo Gran Duca sempre felice, sempre inuitto, e sempre Augusto, ed i suoi Serenissimo Fratelli dalle penne celebrati, da cuori amati, da potentissimi Regi sommamente graditi. Non
<pb n= "6"/>
<lb/>mi permette l’angustia del tempo il dilungarmi in varie discendenze in varie lodi, che in picciol vetro vn mare non si raccoglie, che pur troppo lunga è la materia, e breue l’hora à perfezionare in parte i numeri del mio proposto discorso. Lasciando dunque à registri della Perpetuità gl’infiniti Eroi del sangue di Lorena dirò, che Claudio secondo genito del Duca Renato, e di Filippa di Cleues gloriosa propagine nella Francia transportonne; Caddero in lui per distribuzione paterna li Stati di Guisa, di Gianuille, d’Vmala, & altre grandi attinenze; non ebbe il Re Francesco primo, che più desiderare dal consiglio, dalla fede, dal valore di questo dignissimo Principe, à cui furono ingenite, la liberalità, la religione, la pietà, la prudenza; egli soura queste pietre angolari gettò i fondamenti, ed alzò contro l’ingiurie della fortuna, e de gl’anni di bella, e numerosa Prole machina saldissima, inespugnabile. Di Francesco suo primogenito, d’Enrico figliuolo di Francesco di Carlo figliuolo d’Enrico Genitore del nostro Francesco, tralascio di celebrare quelle memorande imprese ch’hanno stancato gl’ingegni, ingombrato i volumi, confusa la merauiglia, abbattuta l’inuidia, sostenuta la religione, depressa l’eresia, liberata, assicurata, difesa dall’armi, dall’insidie straniere la Francia, fatto più chiari i secoli, più nobile il Cristianesmo, e senza pari il lor nome benedetto, acclamato, esaltato.
<lb/>Passandole dunque farò che tal’ ora, come reflesso di Sole in Cristallo ve n’apparischino i lampi nel rimostrarui, che il Principe di Gianuille seppe senza paragone desiderarle, seguitarle, imitarle. Quasi
<pb n= "7"/>
<lb/>puro albore della mattina, che la serenità del nascente giorno dimostra, egli cominciò ne gl’anni tenerissimi dell’Infanzia à discoprire il chiarore di vna eccelsa, & egregia Indole, e d’vna santissima inclinazione; Ne fecero i Genitori nella sua nascita, come primizia del lor sangue, come vittima immaculata, e viua sincera oblazione à Dio, & alla Regina de Cieli, per lo che dalla diuina mano fu versato soura di lui vn diluuio di benedizioni, e di grazie; segno euidente ne apparue, che egli incitaua se stesso ancora per dir così balbuziente senza allettamento di preghi, ò timore di minaccie alla frequenza dell’Orazioni; Alzaua souente dal turribolo dell’acceso ed innocente suo cuore incensi di preghiere, e di voti, e principalmente alla Santissima VERGINE, la quale intese di hauere in tutta sua vita per auuocata, e tutrice. Crescendo ne gl’anni non apparuero in lui le fauolose fiamme, che sù la fronte del Troiano fanciullo, fu chi scrisse essersi portentosamente vedute, ma nel suo aspetto, nella sua lingua, nel suo animo quelle d’vn viuo
<lb/>desiderio di rappresentarsi à gl’occhi della terra, e del Cielo soura il fastigio delle più belle virtudi conspicuo, e ragguardeuole. E perche le delizie de’ Genitori sono de gl’ottimi figli i virtuosi costumi, e da campo quantunque spazioso, e fecondo se cultiuato non viene, non si raccolgono che triboli, e spine, con particular cura alla di lui educazioneattendeuasi, l’obligo al Padre, e nella pace, e nella guerra d’assistere, e di seruire al Re, quello di si importante custodia li contendeua, per lo che à Madama la Duchessa di Gioiosa sua Consorte lascionne, come d’altri affari la cura, hauendo
<pb n= "8"/>
<lb/>ella sempre con sommo studio procurato, d’incamminare i Parti delle sue viscere per la strada dell’honore, e timor de DIO, delle virtù più chiare, e dell’obbedienza à parenti, agguagliando Rachel nell’amore, Sarra nel zelo, Anna nella pietà, e nella religione. Ella in breue tempo trà cancelli di tanta stretta ossequenza il picciolo fanciullo ridufse, che egli occhio non giraua, passo non muoueua, parola non esprimeua senza pender prima dal moto, e da cennide materni comandamenti; Onde si fattamente egli impresse questo bel carattere di filiale obbedienza, & ossequio, che sino all’vltimo spirito conseruollo indelebile.
<lb/>Apprendano da questa bella squola i figliuoli miscredenti, e superbi, e tal’ora de’ Padri inimici, e ribelli, che gl’animi eroici hanno per oggetto di suggettarsi, e d’vmiliarsi à parenti, che la via di Giacob è quella de’giusti, della luce, della salute, e del Cielo, quella di Absalon de gl’empi delle tenebre, della perdizione, dell’Inferno. Con passi di Gigante precorreua il Real giouinetto col senno gl’anni, maturando in quella etade acerba i pensieri, che tutti spirauano sentimenti mirabili, e soura vmani.
<lb/>Quasi sfera nel moto, e globo nel precipizio con miracolosa facilità, quanto gli veniua insegnato apprendeua. Sdegnò per fasto l’ambizioso Nerone d’vna medesima veste più di due fiate adornarsi, egli per incredibile argumento della sua memoria, più di due volte vna cosa non lesse, che subito non l’apparasse; non mancarono alla sua assistenza, e custodia nobili, e qualificati soggetti; il Re medesimo per Chirone assegnolli il
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<lb/>Sig. della Colombiè Caualiero insigne, e d’esperimentato valore, che oggi della celebre piazza di S Quintino il gouerno sostiene. La famosa Accademia, oue i figliuoli de’ primi Signori del Regno, e delle regioni remote ad apprender le bell’arti, le lingue straniere, ed i cauagliereschi esercizi s’acconciono, era l’Ataneo, ed il campo della sua Palestra; e considerando, che i plausi, e le grillande negiochi Olimpici illustrarono la fama di Chromio, di Hierone, e d’Alcimedonte, anbelando alla gloria, & ad vsurpare de Compagni il pregio fortunato Atleta souente di tutti riportò festoso la palma.
<lb/>Voi benissimo Vditori l’hauete co’ vostri occhi medesimi veduto, con qual leggiadria al fiore dell’età congiunta à Tornei s’adatasse, come pieno di venustà di destrezza, di spiriti giocondi, alle danze le piante mouesse, ed ignoto non v’è, come la nostra materna lingua puntualmente parlasse, come la Spagnuola, e la Tedesca, si hauesse fatte proprie, onde al semplice formar delle parole sotto quel clima del linguaggio, che parlaua pareua, e nato, e nutrito. Ma se bramaua di preualere à gl’altri nella fortezza, & agilità del corpo, nell’attiuità, e felicità dell’ingegno, ambiua più di superarli nell’integrità della vita, e nell’innocenza de’ costumi, per non demeritare la tutela del Cielo; e se la lingua e l’immagine, e lo specchio dell’animo, parola non scaturì mai da quella sauia bocca, che non facesse aperta pompa del candore, della bellezza del suo spirito, della generosità del suo cuore, della riuerenza verso i Genitori, verso il Re, verso IDDIO.
<lb/>Queste nobilissime maniere, queste eccelse doti,
<pb n= "10"/>
<lb/>lo resero si grato al Re, ed in si alta stima appresso di lui, che molte hore del giorno seco in giuochi familiari, in belli, e virtuosi trattenimenti dimorauasi, non lasciando mai di chiamarlo alle Caccie, che sono il vero diporto de’ Grandi, e l’incitamento alla guerra.
<lb/>Era tanta l’integrità della sua vita, che appena appariuano in lui picciolissime ombre della fragilità mortale, e chi quaggiù può vestirsi interamente di luce, e dissipare la caligine de gl’errori? che se le Stelle non son pure nel conspetto d’IDDIO, quanto meno gl’huomini la vita de’quali è solo tenebre, e tentazione.
<lb/>Quelle ferine voglie, quei fanghi di lussuria, che sono la rouina delle sostanze, il precipizio della fama, la morte dell’anima, fuggì come fiati Australi, come contagio d’Inferno; e se pure alcuna volta adiuenne che di Dame, ò d’Amori parlasse, ò che tra giuochi festiui d’amoreggiare apparisse, fu bizzaria, fu brio, fu costume innato di Caualiero, e di Principe Franzese. Sapeua ottimamente estinguere, e rintuzzare le saette ardenti del commune inimico, con l’acque della carità, senza le quali son nude tutte le virtù, compassionando, come vn’altro Giob alle calamità, e miserie de’pouerelli, di copiose elemosine aiutandoli, oue pur non voleva, che la destra sapesse quello operaua la sinistra, ma chiudendo gl’occhi, che ne gl’occhi parimente sapessero quello faceua la destra, altri ch’il Dio delle virtù, e delle misericordie per debitor non volendo.
<lb/>Tirollo come linea al suo centro quest’opera diuina allo splendido al liberale, à prò de virtuosi, e de’
<pb n= "11"/>
<lb/>buoni per farlo vn Tempio di Diuinità, à confusione di quelli, che delle ricchezze in male seruendosi diuengono Sinagoghe di Satanasso, e Tabernacoli d’infernali Etiopi; Parlino i suoi familiari, come bene spesso, ed opportuni, e improuisi abbondanti frutti della sua generosità gustarono; Parlino tanti altri al fine de quali, ò le necessità, ò le voglie indouinando con larga vsura d’argento, e d’oro, guadagnauasi le volontà, e comprauasi i cuori. E perche il far beneficio
<lb/>à gl’huomini è vn fare vn gran deposito in mano di Dio, studiossi, che fusse ancora lassù per lui custodito si bel tesoro, per meglio vnirsi all’infinità Bontà, che rende più simili, e più grati à se quegli che più à beneficar son disposti. Di qui è che non ricusò mai di tutti aiutar le speranze, rappresentare, e premiare i meriti, sostenere, aggrandir le fortune, il perche fatto Oracolo di beneficenza, pareua che l’vniuersale applauso, i publici voti presagissero, che le sue grandezze, le sue felicità douessero camminare soura le nugole, e soura le piume della fama, e de venti.
<lb/>Precorreua tal’ora con impensati benefizi l’altrui pretensioni, e pensieri, prima benefattor, che pregato, imitando il Sole, che non attende preghiere per nascere, ma subito sul mattino risplende. Obligo d’immortal gratitudine, non fatto di leggiera ambizione, è di ventosa iattanza mi sforza à dirui Signori, che egli da me lontano, da me non supplicato in alto affare, oue l’vtile all’honor non cedeua, à mio fauore con personaggio Reale i viui offizi impiegasse, e se non dirò astro maligno, ma ineuitabil congiuntura non s’opponeua altra rugiada dell’Ermo non vi bisognaua
<pb n= "12"/>
<lb/>per fecondare gl’aridi campi della mia mal coltiuata fortuna. Ma chi è qui fra noi che non vedesse in quella serena faccia all’armonia delle suaui parole concordi i dolcissimi inuiti, che allettauono chi si fusse à sperare da lume si bello influenze cortesi di benefizi, e di grazie, e molti confesseranno che ne sia soura di loro caduto l’esperienza, e la sorte. Nello scoglio della superbia incontrano il lor naufragio le virtù; egli che le stimaua più dell’Oro d’Ofir, e dell’Argento di Tarsi, e non voleua per sua colpa, e vergogna perdere si nobili arredi, si elesse vna grata vmiltà per guida, che è tanto stimata, e gradita, quantol’alterezza odibile, e disprezzata; (I Romani per di leggiar Tarquinio lo chiamarono superbo) gli seruì questa vmiltà di strale ad abbatter l’inuidia il Pitone della Corte; à se attrasse, come dolce calamita tutti gl’animi del Loure, ed innamorò tutto il popolo; non si poteua bramare il più mite, il più cortese, tratto di Principe; Dauid, e Mosè forse non gl’haurebbero levato il vantaggio; Giudici, e testimoni di questa verità altri non voglio di voi medesimi Ascoltatori.
<lb/>A queste doti sourane congiunse, come per compito lauoro, vn’ardentissima brama di cimentarsi à buon’ora nell’armi, e di fabbricarsi sul proprio valore vna bella fortuna; Tenero d’anni le prime scintille nell’inclito petto sueglionne, quando vidde armato il suo Padre, (che si lo volle il Re ) entrare come ouante in Parigi in mezzo alla moltitudine à clamori de’ Soldati, e del Volgo, hauendo come vn fulmine diroccato l’ardire de’ Principi mal contenti.
<pb n= "13"/>
<lb/>Godeua in vn medesimo punto, e non si sazziaua di leggere ne gl’Annali, e nell’Istorie i Trionfi, di sentire dalle publiche voci le ricordanze de’ suoi famosi Antenati. Haurebbe voluto essersi trouato partecipe de trofei alla disfatta de’ Raitri à Rhenty, alle segnalate imprese di Guines, di Tuenuil, di Cales; Haurebbe volentieri goduto di guadagnarsi il titolo di Macchabeo de’ Cattolici, di Giosuè della Francia, e col valore, col sangue, col senno, con la prigionia, con la morte de più chiari nimici hauer fatto proua di se nelle famose giornate di Dreux, di S. Dionigi, di Moncontur, di Vilmori, d’Oneo, di Giarnach. Considerò arriuando à Marsilia, che dall’inuitta spada, dalla somma accortezza paterna, erono stati ricuperati ad onta dell’insidie, delle frodi domestiche, e straniere, quella Città, che è la chiaue, quel Porto, che è la porta della Francia, ed Enrigo il grande stabilito il trono, e custodito lo scettro. Ma non fu possibile, che come vn’altro Alessandro, non confondesse l’allegrezza con le lacrime, parendoli che non gli rimanesse luogo d’ampliare i suoi pregi, quando l’inuincibil Genitore fugò, fracassò, abbruciò, sommerse, strascinò prigioniera l’Armata Nauale Anglicana, che potentissima in soccorso dell’assediata Roccella veniua; troppo n’andrebbe la vana gentilità superba de suoi rostrati Trionfi, se luminare maggiore non hauesse oscurato il vanto di Pompeo, di Temistocle, e d’Agrippa. Finalmente gli permette l’età di seguitar la Corte, à gl’Eserciti, ma con suo discontento non può che l’apparato vederne.
<lb/>S’ammastano à S. Gio. della Moriena le Schiere,
<pb n= "14"/>
<lb/>e di là s’incamminano per Italia à soccorrer Casale, egli solo con la voluntà le accompagna, Sua Maestà, che l’ama non lo comporta lontano.
<lb/>A Muynuich al primo apparir della Persona, e dell’Armata Reale cedono i paduli, s’abbagliono, s’intimoriscono, s’arrendono i difensori, si toglie à Masnadieri, à micidiali l’asilo, e si scaccia il presidio di chi ve l’haueua introdotto; Tali spettacoli ad altro non seruono à quel petto infiammato d’honore, che d’esca per adattar maggiormente la materia alle fiamme. Passando in questa spedizione per Metz, iui medita con sospiri di generosa inuidia, che l’inuittissimo suo Bisauo in difesa di quella Piazza, haueua fatto prouare i miracoli delle trombe di Gedeon à chi si credeua d’hauer condotto quelle di Jerico, e che la Mosella, più gloriosa del Rubicone, diuenne all’ armi Imperiali immobile termine d’Atlante. Graui accidenti contraddissero al coraggioso FRANCESCO di sfogar l’ardente desiderio di seguitar per allora la sua fortuna nell’armi, per lo che violentemente racchiudendo quel fuoco riserbollo ad vna impetuosa esalazione d’ardimento, e brauura; Quindi è che poscia con risoluto consiglio, con magnanima risoluzione di quà in Piamonte inuiossi.
<lb/>Non vi dirò Signori, quanto Madama Real di Sauoia la venuta di vn tanto Personaggio gradisse; e per che le cose ammirabili, e grandi, sono più care, e diletteuoli, quando che più improuuise, l’honorò con straordinari, e meritati segni d’affetto, di contentezza, e di stima, lo regalò d’vna ricca, e forbita armatura d’argento in dichiarazione, che confidaua nella
<pb n= "15"/>
<lb/>fortuna, nella fortezza della sua destra, e nel candore della sua fede.
<lb/>Impossibile è raccontarui quanto si mostrasse indefesso nelle fatiche, prudente ne’ consigli, vigilante nell’occasioni, pronto ad affrontare i pericoli, ad incontrare, ò le palme, ò cipressi; Non hanno di mestiero gl’Aiaci dell’esortazioni de gl’Agamennoni per trouare ò la vittoria, ò la morte; e se come sogliano apportare l’angustie della guerra si trouaua in quelle de’ viueri, con l’esempio, & il detto del grand’Enrico, diceua che non gustaua il piu saporoso cibo del semplice pane di munizione; à buoni guerrieri si conuengono le scarse cene de’ Tebani, non i suntuosi conuiti de’ Persi.
<lb/>Non inuidiaua al famoso Cimone in far commune la sua mensa à numero grande d’Offiziali, e Soldati, con prodiga liberalità aiutauali, e souueniuali, più quando infermi, ò feriti; Imitando il grande Agesilao, vsaua pietà verso gli stessi inimici, dalle malattie, dalla fame, dalle ferite abbattuti, e facendo per dir così, offizio d’Angelo, i moribondi à morir cristianamente esortò. Dicalo vn nostro Patriotto, che nel campo Cartolico militaua, se mortalmente ferito semiuiuo fra morti, fu da lui di terra leuato, e quindi à Fiuizzano, nel proprio alloggiamento condottolo diligentemente facendolo curare, e sanare, di danari, e d’abito guernito in Patria lo rimandasse; Potrà affermare il medesimo, che vn soldato Alemanno à lui, ed à gl’vltimi sospiri giacendo vicino se con breui, & affectuose parole dalla Regia, e Cristiana bocca di questo Principe fusse à tollerar volentieri la morte, à
<pb n= "16"/>
<lb/>pentirsi delle sue colpe à sperare nella misericordia Diuina esortato; ceda a tanta finezza di Pietà il celebre Sanmaritano da cui fu solo nel publico sentiero raccolto l’ignudo, il derelitto, il piagato peregrino di Ierico.
<lb/>Non erano qui terminati i confini della sua generosa pietà à più alti pensieri ascendeua quell’animo, ch’al suo pietoso zelo, e valore termine non trouando anhelaua di trasportar l’armi nella Giudea all’acquisto di Terra santa; e se quel gran Re di Sparta diceua contemplando dopò le vittorie, le campagne di strage, e di corpi morti ripiene, ò quanto sarebbe stato meglio, che questi non fussero stati preda di morte per trionfar de Barbari alle mie forze congiunti, egli nel riguardare i campi biancheggianti d’ossa insepolte, ò di fresca strage vermigli deplorando in se stesso perdita si grande, credo che non li sarebbe potuto venir dal Cielo priuilegio più caro, che il tuono della voce, e l’aura della bocca d’Ezechiel per richiamar gl’estinti alla vita, e come veri Isdraelitici nell’vnione de lor Principi vnirli in tante schierate Falangi alla rouina alla destruzione del Filisteo, del Faraon della Tracia. Costumaua di dire, ed io più fiate vdillo, che non haurebbe potuto desiderare, ne incontrare più dolce, e preziosa morte, che all’impresa del Santo Sepolcro; felici pensieri, santi auuisi, diuiui auuedimenti che gli veniuano dalle celesti Gerarchie, dal glorioso Buglione nel cuore instillati; rappresentauali auanti, che la Palestina è copiosa di palme per inghrillandarne gli Eroi, che sù la riua del Giordano s’eleggono le pietre per atterrare i Giganti, che più nobil sepolcro non
<pb n= "17"/>
<lb/>possono riceuere i generosi Spartani di CHRISTO delle frondi del sacro Vliueto, che più trionfante Labaro non può spiegarli, che sul monte oue il Redentor del Mondo spiegò quello della sua morte, e sù la sacra Tomba, oue l’altro inalzò della sua giocondissima Resurrezione, che le Croci vermiglie fregi dell’insegna di LORENA, pregi, e caratteri eterni di si memorabile acquisto gl’haurebbero com’à lui ingemmato il Diadema, e fiorito il Manto nel Cielo.
<lb/>Ma se v’è chi forse con fatidica penna scriue, che ad vn gran Re di Francia, questa laurea trionfal si prepari; voglio credere, che l’inuittissimo, e giustissimo Luigi, nato alle glorie, alle fortune; à trofei deua vn giorno nell’agusta sua persona il fortunato presagio adempire; guidando i suoi formidabili eserciti à questa diuina, e da tutto il Cristianesimo sospirata, e bramata Impresa, come degna del suo Sangue, del suo Valore, della sua Pietà, del suo Nome; Voglio credere, che hauendolo l’altissimo Monarca liberato da tanti pericoli, riserbato à sempre vincere, a sempre felicemente regnare, lo riserbi à tempestare la Regia Veste, come nuouo Salamone, di nuoui splendori, di nuoui Gigli, lo chiami à consecrare le barbare spoglie, à piegare le regali ginochia, ad inchinare l’incoronata fronte, à porger lacrime, baci, preghi, voti, e sospiri al sagratissimo Monumento, che su capace di capire, chi non capiscono le sfere, e che già s’apprestino alla pompa di tanto trionfo, Inni, e Panegirici dalla Terra, e dal Cielo.
<lb/>Ma doue da spirito vehemente guidato son trascorso in vn pelago immenso per naufragarmi; di quell’Augustissimo
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<lb/>Re parlando, che deuo adorar col silenzio i pregi del quale tutte le lingue de gl’huomini di numerare non sarebbero valeuoli. Per il che raccogliendo le vele, e ricourandomi al lido, mi concederete Ascoltatori, che vada ancora soura di esso raccogliendo alcune preziose conchiglie d’altre illustrissime azioni, che la vita, e meriti del Principe di GIANVILLE adornarono.
<lb/>Ripassando l’vltima volta in Piamonte persuade con vere dimostranze al Castellano di Nizza di conseruarsi costante nella fede del picciol Duca, e della Real Madre Tutrice, (non muoue passo, che per quanto può non l’indirizzi al seruizio del Re. )
<lb/>I Monti della Prouenza nel suo passaggio fanno da gl’ecchi repetere le voci di quei Popoli, che correuono à vederlo, ed alzauono alle stelle il suo nome.
<lb/>Quella Macedonia sempre ricordeuole del santo gouerno di Paolo Emilio, che le viue lontano, nel sembiante del figliuolo, ne riuerisce la memoria, l’immagine.
<lb/>Lunga materia di ragionare mi darebbero i duri incontri, le varie zuffe, oue ne maggior pericoli versando con la spada s’aperse dell’onore, e della salute il sentiero; sprezzaua di percuotere i più vili, e contro i più valorosi inoltrandosi cercaua ò più chiara la vittoria, ò più consolata la morte.
<lb/>Voleua prouare se lo tirauono il valore, ò la fortuna à far cadere vno de più eleuati cedri del Libano, vno de piu conspicui, e qualificati Condottieri dell’armata nemica; fortunatamente prouollo il suo Proauo à Renthy, il suo Genitore nella Campagna di Grè. Se
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<lb/>comparisce il Nimico al soccorso di Chiuuasso, egli alla fronte della Caualleria, co’ più animosi auanzandosi, sforzono la contraria alla fuga, & al rendimento la Piazza.
<lb/>Preuidde con occhio Linceo la notturna, e furtiua soppresa di Turino, & haurebbe il General Valletta al segreto veleno opposto il rimedio, se Madama non si fusse persuasa, come accade all’infermo, che la malignità del male non sente, essere alla salute il medicamento nocivo.
<lb/>Spezzaronsi quelle nugole de gl’occulti trattati, e da loro cadde precipitoso vn fulmine, che prima portò le ruine, che se ne vdissero i tuoni, che se ne vedessero i lampi, onde ella la sua troppo confidenza, e l’altrui perfidia accusando, da si furiosa tempesta sottraendosi nella Cittadella saluossi.
<lb/>Impaziente GIANVILLE d’assicurarla, e di consolarla, non attende di finire la marciata del Campo, che in aiuto di lei da Carmagnuola veniua, con pochi s’auanza, & ad onta, à vista, dell’inimico il primo giunge à quella intrepida Debora, che con lacrime
<lb/>d’allegrezza corre, precipita, à riceuerlo.
<lb/>Quindi auido di maggior vanto, trattandosi che eletta, e fiorita banda sortisse ad abbruciar case, à dissipar barricate, egli il primo si esibisce à si pericoloso cimento. Sdegna di pigramente restarsene ozioso feroce Leone, che vede pronti i compagni all’ vscita, à debellar le fiere, à strascinar le prede nell’Africane cauerne; che non fà, che non tenta il nostro Eroe, per che non li sia perturbato il suo risoluto pensiero, rigetta del Sig. di Viuier antico, e fidato familiare le
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<lb/>preghiere, e fù necessità al fine, che Madama medesima ostasse à sua voti, e reprimesse di quel grand’animo l’ardimento, ne ciò senza qual che segreto, e celeste mistero segui, perche i migliori, i più braui, con ferocià Franzese, più oltre che non conueniua trapassando v’acquistaron la fama, e vi perderon la vita.
<lb/>Senza il di lui parere dopò lunghe consultazioni non si stabilì per molti giorni la tregua.
<lb/>In quella opportunità il Gouernator di Milano grandemente s’appagò di vederlo, e ne reciprochi complimenti hebbe à dire, che mirando tanta venustà, e decoro, ben credeua che quegli fusse il Principe di GIANVILLE. (Il raggio dell’anima de gl’Eroi à loro nella fronte scintilla, e da gl’altri huomioi gli distingue;) rimbomba il grido del suo valore, come ne paesi più remoti in tutta la Francia; la Corte lo desidera, e l’ammira, il Popolo gli predice fortuna, e lo benedice, il Re che sempre l’haueua amato, e fattone altissimo concetto con publiche lodi l’honora, non erge il capo l’inuidia, oue di lei trionfa la merauiglia, le benedizioni popolari sono messaggiere delle celesti, e le lodi nella bocca de Monarchi il premio delle virtù. Il Sig. Cardinal Duca, che è il Piropo della Corona, la pupilla dello scetro, l’anima de pensieri, e di si gran Re con reiterate repliche afferma à S. Maestà, che il Principe di GIANVILLE riuscirebbe il più valoroso Guerriero della Francia. Vrgenza particolare sospinge il generoso giouine di ritornare à vedere gl’amorosi parenti, (oh bontà Diuina) perche da loro negl’estremi sospiri, gl’estremi conforti riceuerse, e la sua morte non fusse più deplorata lontana.
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<lb/>Stauasi appunto il suo Genitore trà domestiche mura querelandosi dell’indugio di sua venuta, quando ecco egli improuuiso comparue, e quelle querele in lieti stupori, in tenerissime accoglienze, in allegrezza, e conforto di tutta la Casa cangiaronsi, comune fu il contento, e l’applauso, e questo santo luogo ne rese grazie particulari al Signore, che l’hauesse preseruato dalle morti, e pericoli, e ricondotto à rinouare in noi gl’esempi della sua vita deuota, e cristiana. Si rallegra Esdra della bella, e frondosa edera, che DIO soura il capo li manda, presto quella letizia in disconsorto si muta, che picciol verme l’assale, e consuma. Questa edera preziosa, che piu bella dell’vsato lasciò improuisamente vedersi coltiuata ne Campi di Marte, ingombrando di merauiglia le menti, e di giubbilo i cuori; O fallaci, e fuggitiue contentezze del Mondo; ecco crudo verme di morte la disfronda, e diuora. Clementissimo Re de Regi, voi che ponete il termine all’altrui vita, quando più opportuno, e comodo lo conoscete, qual tempo più desiderabile al morir di FRANCESCO poteui concedere di quello, doue con la sua virtù già soura la più sublime parte della gloria sormontando, più oltre poggiar non poteua, se per vostra Diuina prouuidenza non era trasportato nel Cielo. Voi presto ce l’hauete tolto, perche l’anima sua v’era cara, perche la malizia non gli mutassi l’intelletto, per liberarlo di mezzo l’iniquità, per condurlo dopò gl’orrori d’vna tenebrosa prigione alle beate, e luminose stanze de vostri eterni Palagi. I fiori, che più vaghi sul mattino coloriscono il manto de
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<lb/>gl’orti, e de prati, prima de gl’altri languiscono; la rosa fregio dell’odorose ghirlande spontaneamente cade, se colta per tempo non viene. I vaghissimi fiori dell’anime belle, e virtuose in fretta dalla Diuina mano son colti, perche la bellezza loro più oltre in questa valle di miserie dimorando, potrebbe scapitare della sua venustà, e diminuire del suo pregio.
<lb/>Proibisca la superstiziosa gentilità per la legge Mania à figliuoli di raccorre gl’vltimi spiriti de gl’Agonizanti Parenti, che il Sig. Duca di Ghisa, per che il suo grande animo dal gran dolore non fusse abbattuto, opposto à si fiera percossa lo scudo della virtù, con nuoua, e contraria legge, con nuouo esempio d’inuincibil fortezza, collocato il suo cuore nelle mani di DIO, e mostrandosi pronto di restituirli il prezioso tesoro, che come in prestanza teneua, volle constantemente assistere à gl’estremi, e felici anheliti di quell’anima fortunata, la quale hauendo sempre ricorso alla protezione della REGINA de gl’Angioli, e di San FRANCESCO il Serafico, nell’esprimere questi due Santissimi Nomi, ed il dolcissimo di GIESV, volossene come è da credere al Paradiso; e se da gl’Egizij fu la vmana vita ad vna accesa lucerna assimigliata, ella ardentissima fiamma sdegnando di star più racchiusa, sollecitamente diuorò quei ceppi, che l’imprigionauano per salire alla sua sfera, alla region de Beati. O mille volte auuenturoso FRANCESCO voi sete passato da gl’huomioi à gl’Angioli, dalla miseria alla felicità, dalla guerra alla pace, dalla morte alla vita, dalla terra al Cielo; sete giunto à farui domestico di DIO, e coerede d’vna medesima eredità
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<lb/>con CHRISTO, vi sete d’Aquila guerriera cangiato in candidissimo Cigno, di Leon feroce in purissimo Agnello appresso l’acque del sempiterno Giordano; Hauete riceuuto la retribuizione de’ vostri meriti, tramutato la vostra bellezza nella chiarezza diuina, trapiantato i vostri allori nel centro de gl’empirei giardini, la naue delle vostre preziose merci nel Porto di salute condotto. Pregoui Anima bella non dirò à sdegnarui, (perche sdegno costa sù non siraccoglie ) ma di scusarmi, se riceuendo Voi lietissimi Encomi da tutta la gloriosa Corte, e dal Re della gloria, ancora, io temerariamente habbia ardito con lingua oscura, e mortale de’ vostri splendidi, ed immortali meriti discorrere.
<lb/>Eccomi alla fine del mio ragionamento Vditori, eccomi à guisa de’ funerali dell’Egitto, abbraccio la nobilissima Vrna, che il leggiadro velo di quel felice spirito, non già lo splendore ricuopre; ecco di gia vi hò soura sparso, e tessuto in breui ghirlande della pietà le rose, dell’vmiltà le viole, de candidi costumi i ligustri, dell’immortal valore gl’amaranti; Ecco la strada all’opere buone, à meritare la benignità dell’Altissimo, che non cade nel seno de gl’huomini, se loro medesimi non si fanno capaci di riceuerla; Ecco, che il Signore de Signori esalta gl’vmili, chiama i puri di cuore à vederlo, i pietosi, i liberali, i benefici à godere de gl’eterni tesori, i guerrieri virtuosi, e giusti ad essere nella celeste milizia arrolati; Ecco se nell’anime beate altra volontà non è che quella di DIO, e DIO altra voglia non hà, che la loro, che il Principe di GIANVILLE della sua immortalità sicuro, e
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<lb/>della nostra salute sollecito, col nostro Protettore l’Arcangiolo RAFFAELLO, con tutte le legioni de Beati, e de Santi, con la misericordiosissima VERGINE, e col medesimo DIO, altro non vuole, altro non attende, e non brama, che ci rendiamo meriteuoli del Paradiso.
<lb/>Rendiamoci dunque degni di conseguire tanto bene ò Signori, e soura l’orme speciose di questo immortale Eroe mouendo i passi, consideriamo che le virtù fanno il viuer celebre, ed il morir fortunato, che più à quelle s’auuicina, chi più s’allontana dal vizio, che piu s’accosta alla gloria, chi più si discosta da gli affetti terreni, ch’ogni giorno, ogn’ora, ogni momento possiamo sentir la Tromba della tremenda chiamata alla Morte, che la vita nostra è vn breue passaggio, vn girar d’occhio, vn’ombra, vn fumo, vn sopiro.
<lb/>Hò detto.
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<lb/>CANZONE
<lb/>Del Signor Filippo Galilei.
<lb/>MOrio GIANVILLA, oh come
<lb/>Estinse ogni splendore
<lb/>Inuida morte in quel real suo nome,
<lb/>Delle Gallie l’honore
<lb/>In van tenta spiegar Calliope, ò Clio,
<lb/>In van lo tento hor io,
<lb/>Acque da gl’occbi indarno
<lb/>Versan più che dall’Urna, e Senna, ed’ Arno.
<lb/>Misero hor ben m’auueggio,
<lb/>Che solo adegua il fato
<lb/>Rusticano tugurio, angusto seggio,
<lb/>Ch’il bell’honor fugato,
<lb/>E fallace la gloria il tempo addita
<lb/>Ch’è un fior la nostra vita
<lb/>Di cui con mano acerba
<lb/>S’orna il gelido crin morte superba
<lb/>Ov’è l’inuitto Aiace?
<lb/>Ou’hà Creso il tesoro?
<lb/>Ma tutto spense alfin fiamma vorace,
<lb/>E la memoria loro
<lb/>Oscura notte con il regio vanto
<lb/>Auuolse in fosco manto,
<lb/>Ou’è la Grecia armata?
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<lb/>Ou’è’l premio di lei Chioma dorata?
<lb/>Appena hoggi risuona
<lb/>Il LOTTARINGO Henrico
<lb/>Cui diè forze la fè, più che Bellona
<lb/>Fugò lo stuol nemico
<lb/>Di Mori innumerabili, e guerrieri,
<lb/>Solo atterrò gl’alteri
<lb/>Diede à gl’humil perdono
<lb/>Fondato alfin ne Lusitani il trono.
<lb/>Tal giunto al suo gran Padre
<lb/>Vestì l’acciar più terso
<lb/>GIANVILLA, e pur frenò rebelli squadre,
<lb/>Di polue, e sangue asperso
<lb/>Ferro vibrò contra lo stuolo insano
<lb/>Con la tenera mano,
<lb/>E mal grado de gl’empi
<lb/>Eresse al Re de Regi Altari, e Tempi.
<lb/>Ne gia contento à pieno
<lb/>Del Sepolcro di CHRISTO,
<lb/>Gloria non vil del perfido Agareno
<lb/>Desiò far l’acquisto:
<lb/>Colà, dicea, son gl’ Aui tuoi LORENA,
<lb/>Sudaro in quell’arena
<lb/>E sol fu lor costume
<lb/>Cingere al regio crin palme d’Idume.
<lb/>Perciò ne campi Insubri
<lb/>Tentò doue la morte
<lb/>Spiegaua insegne pallide, e lugubri
<lb/>Di Giano aprir le porte
<lb/>Pace apportando alle cognate squadre,
<lb/>Almen la Real Madre
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<lb/>Poteo col suo consiglio
<lb/>L’antico trono assicurare al Figlio.
<lb/>Strozzi tù si bell’opre
<lb/>Ritogli al tempo, al fato,
<lb/>Per te glorie si rare, oblio non copre;
<lb/>E già l’odio atterrato
<lb/>Del grand’eloquio tuo soggiace al pondo
<lb/>Così, chi fu del Mondo
<lb/>Le delizie, e gl’amori
<lb/>Viurà ne fogli tuoi, ne nostri cuori.
<lb/>Canzon deh ferma, e taci,
<lb/> Perche al sonar d’una dorata tromba
<lb/>Oricalcho smil già mai rimbomba.
<lb/>
<lb/>IL FINE.
<lb/>Si stampi osseruati li soliti ordini il dì 30. di Genn. 1639.
<lb/>Vincenzio Rabacca Vicario di Firenze.
<lb/> Si stampi io Fiorenza li 3. Febbraio 1640.
<lb/>F. Gio. Muzzarelli Inquisitore.
<lb/>Alessandro Vettori Auditore di S. A. S.
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