Alla Serenissima Gran Duchessa di Toscana
Vittoria
della Rovere
Principessa d'Urbino
Non è la Poesia, Sereniss. Gran
Duchessa, nè sempre fauolosa, nè
sempre iperbolica. Ella sà egualmente,
e finger fauole, e raccontare
Istorie; Sà ingrandir la uerità
senza discostarsi dal uero. Il desiderio,
che hà la Toscana, di ueder nel Parto di
V.A.S. Colmate le sue felicità; i Voti, che ella fà,
per impetrarne la grazia, benche poeticamente siano in
queste carte adombrati, negl'animi, e nelle dimostranze
son uerissimi; e tanto superiori alla narrazione,
quanto lo stile di chi gli narra è inferiore al soggetto.
Supplico la benignità di V.A.S. Che resti seruita, di
gradir quel tanto, che le rappresenta la comun deuozione,
e non isdegnar quel poco, che le presenta la mia
particolare osseruanza. Con cui à V.A.S. Profondamente
m'inchino, e prego il sommo d'ogni bene.
Di Firenze 17. Nouembre 1639.
Di. V.A.S. Vmilissimo Seruo, e Vassallo. F. Carlo Casini, S.
A' Lettori
Fv fatta questa piccola Composizione,
à guisa di Panegirico, perche
la recitasse vn solo, cominciando
da quelle parole: Era nella stagione,
&c. E piaciuto à chi può comandare,
che ella si rappresenti da più personaggi, in
abito da Scena; Onde è bisognato diuiderla
in parti, & aggiungerui tutto quello, che v'è
da vantaggio. Fù fatta per semplicce deuozione,
non per ostentazione: e come tale è
pregato à riconoscerla chi la legge
RECITANTI
La Religione de' Serui. Prologo.
POETA.
FIORENZA.
SIENA.
PISA.
PISTOIA.
VRBINO.
TOSCANA. CORO DI TOSCANA.
PROLOGO
LA RELIGION DE' SERVI,
Che scende in vna nuuola dal Cielo, accompagnata
dal Contento, e dal Desiderio: e canta sola.
1
A Questo Manto scolorito, e smorto,
A questo bianco Giglio,
Che nella destra io porto,
Al portamento, al uolto, al crine, al ciglio;
Senza più diuisar dell'esser mio,
Conosciuta da uoi esser degg'io.
2
Io quella son, che ne' paesi Toschi,
Quinci lungi non molto,
Frà selue opache, e boschi,
Oue, rigido il dorso al Ciel riuolto,
Se i Monti ombrosi à se d'intorno aduna
Il gran SENARIO, ebbi natale, e cuna.
3
Di sette Alme romite, e Cittadine
Nacqui pouera figlia
Sù quelle asprezze alpine,
Madre d'una SERVIL, bassa famiglia:
Poscia, mercè de' miei Toscani Regi,
Solleuai mia uiltade à sommi pregi.
4
Per Voi, di questo Ciel, per Voi, del Mondo.
SERENISSIMI Soli,
Spiega lieto, e giocondo,
Il mio stuolo famoso eccelsi uoli:
E s'innalza, in uirtù de' vostri rai,
Ou'alzato per se non fora mai.
5
Che splendan notte, e dì lucenti, e chiare,
Lampe d'argento, e d'oro,
Che d'opre egregie, e rare
Faccia mostra superba alto lauoro,
Che di Celeste IMMAGO al mio gran Tempio
Corra deuoto il Mondo, è uostro esempio.
6
Quindi al crescer de' uostri almi splendori,
Delle gioie supreme,
Alle glorie maggiori
Cresce in me d'arriuar, uiua la speme;
E col gioir della MEDICEA Reggia,
Il mio Tugurio umil canta, e festeggia.
7
Ora, che nascer denno a' uostri scettri
Successori bramati,
Auree cetre, aurei plettri
Mille Orfei dell'Etruria hanno temprati;
Ebra io di dolcezza, il bel contento,
Con riuerente ardir, ui rappresento.
8
Forse auuerra', che rimiriate un giorno
Questo Apparato umile
D'altere pompe adorno,
Cangiato in dolci carmi il rozzo stile:
E fia lieto assai più chi sù l'Aurora
Del nobil Parto, il uago Sole adora.
Cantano tutti tre, mentre se ne tornano al Cielo.
Bella in Cielo, e bella in terra
Canterem Vittoria un dì;
Vna fù, che in aspra guerra,
Pel suo Dio morir soffrì;
L'altra quì,
Ch'un bel Cosmo in grembo serra,
Canterem, ch'el partorì:
E così
Vdiranne andar cantando
Due Vittorie un Ferdinando.
Poeta.
Non fauole, ò menzogne
Di lusinghier Parnaso
Ingannatrice Musa oggi mi spira.
Non su profana lira
Dolce prendo à cantar lasciui amori;
Non di Marte i furori,
A più pregiato uanto
Fido Apollo mi mena,
E sueglia umile sì, mà uero il canto.
Voi, che l'onda Tirrena
Vdiste un tempo risonar felice
Di Laura, e Beatrice,
Non isdegnate adesso
Il rauco suon d'un torbido Permesso.
E uoi, di questi lidi
Abitatrici auuenturose, e belle,
Delle gioie nouelle
Meco uenite à penetrare il fonte:
E quanto udij, & uidi
Mentre ui narrerò, deh state pronte.
Fiorenza.
Quand'altri nol racconte,
Per le Tosche campagne
Gia' sparso è lieto il memorabil grido,
Ch'al bel gioir n'alletta.
Queste care Compagne
Del Gran Duce Toscan primiere Ancelle,
Di letizia ingrombrate, e d'alta speme,
A' contenti, a' piaceri eccole insieme.
Siena.
Donna, che'l nome signorile, e grande
Traggi da nobil Fiore,
E sei frà noi quasi intelletto, e mente,
Mira, che da più bande
Teco venghiam, del core
A far palese il gran desire ardente.
Io, che nell'alta Isegna
Spiego LVPA, nutrice
Di Romuli Toscani,
Per fare al mio Signor di Regni acquisto,
D'ineffabil diletto
Vengo à parte con Voi;
E uien, co' Voti suoi,
Dell'Italia, e d'Europa il popol misto.
Pisa.
Mai sì uago fù uisto,
Irrigator delle Pisane ualli,
Di liquidi cristalli
Scioglier lubrico piede il nobil'Arno
A traboccar nel Mare,
Com'allora il uid'io,
Che di nuoue dolcezze il suon s'udio.
Quindi, per ascoltare
Da più uicina, e più distinta fama
La cara nuoua intera,
Tratta l'antica Alfea,
Arse d'accesa brama,
Di discourir quel, che nel core auea:
E mosse, à raccontare,
Quant'ora gode, e quanto poscia spera.
Pistoia.
Fiato di tromba altera,
Cui chiaro rimbombar fece la Dea,
Che con cent' occhi, ed altrettante bocche,
Tutto uede, e riuela,
Vago sì risonò dou'io mi staua
Cola' presso l'Ombrone,
Traendo l'ore liete
D'una grata quiete,
Che dolce più non mi ferì nell'Alma
Altra uoce, altro suono.
D'un'immenso piacer colma nel seno
Tosto mi ritrouai,
Nè lieta fui giammai, quale ora sono.
Vrbino.
Generoso perdono
Vostra bontade all'ardir mio conceda,
O di queste alme riue,
Quai Voi ui siate pure, ò Donne, ò Diue.
Con amoreuol guardo
Serenissimo il Sol di questo Cielo
Oggi fra uoi mi ueda,
E se fia, chi si creda,
Ch'io goda al par d'ognun, certo non erra.
Disgiunga ò Mare, ò Terra
Me da uoi, uoi da me, non mi disgiunge,
Anzi tienmi legato
D'amor, di ruerenza eterno laccio.
Tesoro il più pregiato,
Ch'auess'io, ch'abbia Flora, e ch'abbia il Mondo,
Al uostro alto Signor ricoura in braccio.
Colei, che nacque mia,
Mia speranza, mio ben, mia cara uita,
Fece da me partita
Tenera pargoletta:
Ed ora Giouinetta,
Bella Sposa, e gran Madre
E la miro, e l'aspetto: ò Cieli, ò Dio,
Dite la gioia uoi, del petto mio.
E Voi non mi negate
Vostro consorzio, ò riuerite Amiche,
Mentre liete, e festose
Bella letizia soggiornando fate:
Che se ben peregrino,
Vostro d'affetto sono, e sono Vrbino.
Fiorenza.
Te, d'ogni nostro bene
Fondamento sicuro, origin prima,
A gran ragione stima
Di noi ciascuna, e lietamente accoglie.
Come à grado ti uiene
Saren quì preste, à secondar tue uoglie.
Vrbino.
Or chi la lingua scioglie,
A dispiegar primiero
Di sì nobil gioir l'alta cagione?
Poeta.
Era nella stagione,
Che di Leda lasciati ambo i Gemelli
Nell'usato del Ciel feruido albergo
Di Castore, e Polluce,
Per l'eterea Magione
Lento da noi s'arretra
Il biondo Dio della sourana cetra,
E'l Carro della luce
Rotando al Mondo intorno
Sferza d'Eto, e Piroo la groppa, e 'l tergo
Col celeste Leone à far soggiorno.
Era del dì quell'ora,
Che, del suo Vecchio amante
Tolta dal sen l'Aurora,
Stampa le uie del Sol con l'auree piante:
Quando, cinta i bei crini
D'un lucido Diadema,
Di perle tempestato, e di rubini;
Vestita d'un sottano, e bianco arnese,
A cui purpureo manto,
Di candidi Ermellin tutto guernito,
Sopra si distendea,
Con alto Scettro, e rosso Giglio in mano,
In mezzo al bel paese,
Dou'hà la sedia il Regnator Toscano,
Maestosi, e ridenti
Formò Donna real sì fatti accenti:
Doppo lungo aspettar, che sempre accora,
Doppo lungo dimora,
D'un gioir sospirato, ecco omai giunto
Il destinato punto,
Ch'io respiro, e festeggio;
Ecco, che pure io ueggio
Di perpetua baldanza
Stabilita fermissima radice.
Giorno per me felice,
Degno di bianca pietra, e d'aureo stile.
Sù, sù, da Battro à Tile
Spieghi la Fama irreparabil uolo.
Il freddo, e l'arso Polo
Termine angusto sia de'miei contenti.
Antri, grotte, e foreste
Rimbombate con l'Ecco alti concenti.
Fonti, riui, e torrenti
Delle Tosche pendici,
Fate d'Ermo, e Pattolo, il uostro letto;
E per sommo diletto,
Dall'Vrna traboccate,
Fuor del nati’’o costume
Quale Aquario nell'alto, aurato un fiume.
Alberi, e uoi, stillate
Dalle frondi, e da' rami,
Dell'Imetto, e dell'Attica la Manna:
Rugiadosa ogni canna,
Versi di mele lbleo [sic] grato licore.
Vestan mandre, & armenti
Dell'aureo Vello i preziosi stami:
Dalle fresche onde fuore
Spuntin di rozi giunchi, e d'alghe in uece,
Dell'Idalio le rose, e le uiole.
Guidin balli, e carole
Frà lieti suoni, e concertati canti,
Pastori, e Ninfe, in questa parte, e'n quella:
Alla dolce nouella,
Menadi, e Coribanti
Spargan di festa, e di letizia un nembo,
Or che VITTORIA bella
Hà di Regi, e d'Eroi fecondo il grembo.
Vrbino.
Del paese Latino
Da un'antica, e rinomata parte,
Che l'Appenin diparte
Dal Mar dell'Adria; e di Sempronio il foro
Hà congiunto, e uicino,
Dall'Altezze d'Vrbino,
Doue il Gioue dell'Vmbria risedea,
Scese questa, non già Donna, mà Dea;
Carca di gemme, e d'auro,
A congiunger con l'Arno il bel Metauro.
Al gran Rè de'Tirreni
Sen uenne ad eternar l'inclito seggio
Di prole Serenissima immortale;
A cui non nasca eguale
Oue gira la terra, ò nuotan l'acque.
Mai sì pregiato nacque
Dall'Albero di Cuma,
Donde scese à Cocito il Troian Duce;
Nè dall'Esperie piante
Sorger uide alla luce
Il Mauritan Gigante
Così uago Germoglio,
Come sperare io uoglio,
Famosi di uirtù, d'opre leggiadre,
Figli di sì gran Duce, e sì gran Madre.
Siena.
Se dall'immensa macchina d'Epeo,
Cui fece di Sinon l'arte spergiura
D'Ilio entrar nelle mura,
Vscì più d'un'Vlisse, e d'uno Acchille,
Onde estinta cadeo,
Frà ceneri, e fauille,
L'alta Città di Dardano sù l'erba;
Da quel pudico seno
Celebri nasceran prodi Campioni,
Per cui d'Etruria fia l'Imperio eterno.
Degl'amici à difesa,
De' Nemici all'offesa,
In battaglia saran fulmini, e tuoni.
Saran le spade loro
Non gia' temprate nel Trinacrio ardore,
Ma nel foco d'un core,
Che tutto del suo Dio s'auuampa, e sface;
Nè dal Fabro di Lenno
Ministrate a gl'Iddei contro i Titani;
Mà di celesti mani
Sicurissimo dono,
Per debellare il trono,
Ch'ebbe poi Massinissa, e pria Siface.
Fiorenza.
Lampi di quella face,
Che in trè lumi distinti unica splende,
Oscureranno i gridi
De' più fieri Pelidi;
Faran chetare il nome
Del famoso Guerrier, che l'armi Perse,
Frà l'anguste Termopile, sconfisse;
E quasi solo, e disarmato in guerra,
Tutte distese à terra
Le squadre innumerabili di Serse.
Contro i Barbari infidi
Rinnoueran le glorie,
D'Epaminonda in Sparta,
Di Filippo in Tessaglia,
Degl'Alessandri à Tebe,
Degl'Aniballi à Trasimeno, à Trebbia.
Che di poemi fur degni, e d'istorie.
E doue sotto il Granchio arde Siene,
Doue agghiaccia la Tana
Sotto i freddi Trioni,
Della Setta Ottomana,
D'Etiopi, e Geloni,
Faran uermiglio il Nilo, e'l Boristene.
Pistoia.
Altri, di Mitra, e d'Ostro
Sarà, ch'auuolta l'onorate tempie,
Rettor nel Vatican, ponga le spalle,
Del Sacro Atlante à sostener la soma;
E con la man possente,
Che la porta Infernal serra, e disserra,
Dalla Toscana terra
Faccia al Romano Ciel balzar le Palle.
Altri uago d'ornar la dotta chioma,
O di fronda Febea,
O di Palladia, ò di Cillenia oliua,
Dalle Dee d'Aracinto, e d'Elicona
Riporterà corona,
Cui potranno inuidiare Atene, e Roma.
Pisa.
Nè prender da lontan di proue illustri
Stimoli più pungenti
Fia d'huopo a'discendenti
Di questa bella Coppia,
Per farsi ogn'ora al grande oprare industri.
Degl'Aui, e de' Bisaui
Emulatori alteri,
A sostener le salme
De' più grauosi Imperi,
A maneggiar di Pietro ambe le chiaui;
A fondare, & ornare altari, e Tempi,
Oue s'ergano à Dio deuote l'Alme,
Dei domestici fasti
Apprender gli uedren da' Saggi esempi.
Fiorenza.
Dal uecchio Cosmo sentiran rapirsi
Alla pietà uerso il paterno suolo;
Che perciò non figliuolo,
Mà Padre della Patria egli fù detto.
Quasi ad Atene un Codro,
All'emula di Roma i duo' Fileni,
Et i trè Decij à Roma, ei fù à Fiorenza:
Grata magnificenza,
Delle bell'arti caramente amica,
A nobile drappello
Di smarrite uirtù diede ricetto.
Sotto splendido tetto
Fece ricouerar lei, che sen giua
D'ogni conforto priua,
Vaga Filosofia, pouera, e nuda:
Come quei, che in Ebuda
Tolse all'ingorde fauci del Mostro
L'abbandonata figlia di Cefeo,
Che sù nell'aureo Chiostro,
Dou'hà la Madre sua stellata sede,
Per amico destino,
Fra' più bei lumi scintillar si uede.
Poeta.
Nel popol di Quirino
Fù alta nouitade,
Veder frà mille, e mille
Di sapere, e d'etade,
Candidati, e Coscritti antichi Padri,
Garzone ancora, entrar nel gran Senato
Papirio il pretestato;
E fù creduto di uirtù più rare
Guiderdon singolare.
Mà di Cosimo il grande
L'onor uiè più si stimi;
Che del patrio comando a' gradi primi
(Oue cento aspirar uedeansi à proua)
Mentre d'età tre lustri appena eccede,
Vien chiamato à posar libero il piede.
Pistoia.
Sarà questi la scorta,
Di stabilir gli Scettri, e porre il morso
A' ritrosi desiri;
Quando altri lo rimiri,
D'un ribellante Mar frà le tempeste,
Qual Rè d'Eolia, ò di Laerte il figlio,
Frenare, à suo talento,
Ogni turbo, ogni uento,
E moderare il corso
D'orgogliosi Aquiloni;
E d'armati Tritoni
Abbassare, e troncar l'orribil teste.
Pisa.
Mà della fè di Cristo,
E del regno di lui Sacrato, e Santo,
Difensore altrettanto
Si mostrò egli allor, quando fù uisto
Spiegar bandiera di uermiglia Croce
Contro il furor del Sagittario Trace,
E contro ognun, ch'è di Giesù ribello.
Nella fronte inalzato,
O soura l'arbor di guerrier Vascello
Quel segno auuenturato,
Rende, per lo terrore
Ecclissata la Luna in Oriente,
E uinto dall'orrore
Fà tramontare il Sol, dou'è nascente.
Fiorenza.
Spanda pure, à sua uoglia,
Per l'anguste Simplegadi uolando,
Gl'inalberati lini,
Con le sarte di seta, e rostro aurato,
Del bosco Dodoneo loquace legno
Verso il Colchico regno:
Segga Tifi al timone
De' caui abeti, de' curuati pini,
E guidi armato stuol di Semidei,
Che'l uegliante Dragone
Con alto sonno incatenato leghi:
E di Frisso il Montone
Con la pregiata pelle, aurei trofei
Nel Campidoglio d'Anfitrite spieghi:
Che uiè più gloriosa
Arma schiere d'Alcidi, e di Tesei
Contro l'empia Babelle,
Del Toscano Giasone Argo famosa.
D'Insegne depredate
Da poppa onusta à prora,
Seco rimena ognora,
Colà dal uarco d'Helle
Legate, imprigionate
Mille d' Arabi, e Siri anime ancelle,
Voi, che in petto portate
Il Vessillo temuto, & adorato,
Dal gran Cosmo spiegato
A uostri onori, e de' nemici all'onte,
Dite, s'io narro il uero:
E qualor ui uolgete
All'opre inclite, e conte,
Onde nome immortal di uoi s'ascolta,
Conoscete da Lui quel, che uoi sete.
Siena.
Da questo ceppo eletto
Duo' rami di ualore alti, e frondosi,
Sorgono, à dilatar gl'ampi confini,
Che'l Ciel fia, che destini
De' Toschi Augusti al ben fondato Impero.
E Francesco il primiero,
Francesco, di saper sublime oggetto.
Ingegno peregrino,
Che quanti usciron mai dall'alte Scole
Di Stagira, e d'Arpino,
Tutti racchiuse in sen dotti concetti:
E quanti saggi detti,
Del chiaro Ilisso alle correnti linfe,
Sotto il Platan gentile
Vdì Fedro il Garzon dal uecchio Atteo,
Tanti dell'età sua nel uerde Aprile,
Francesco n'imparò da Lui, che'nuita
Tenne à Fiorenza il fauellare Acheo.
Pistoia.
Segue, di Lui German, quel Ferdinando
Che ricco d'opre, e di pensier più degni,
Hà fatto gire in bando
Ogn' altra rimembranza
Di chi mai governò Prouincie, e Regni.
S'ei la porpora ueste, ò cinge il brando,
Se di Toga si copre, ò di Lorica,
Se di Paludamento, ò se di Sago,
Formidabile sempre, e uenerando
Fà il sembiante ammirando.
Poeta.
Per Opra, à cui non uide unqua simile
L'antica Mensi, ò la famosa Caria,
Della Numidia, a' più superbi gioghi,
A Lesbo, à Ponto, ad Etiopia, à Creta
Ogni parte secreta
Delle uiscere fende,
Che il pauimento all'edificio estende.
E di pietre Indiane,
E di perle Eritree,
E d'oro, che non hà più ricco il Tago,
Fà d'ornamento uago
Ingemmate le mura;
Che sembran la fattura
Degl'Arazzi, da' Frigi ricamati,
Intessuti da' Belgi,
Da' Sericani ornati,
Che di Cilicia, ò Tiro abbian la tina.
Gia' superata, e uinta
Nel Magistero è l'Arte, e la Natura,
Che la Natura cede,
E l'Arte in ammirare, à se non crede.
Vrbino.
Vanti, millantator uano, e superbo,
L'antico, e'l Secol nostro
Quei cui disser miracoli del Mondo;
Che nulla sono à paragon di questa.
Non hà penna, od inchiostro,
Che accenni lo stupor della grand'Opra,
Inuan pensier s'adopra,
Non che l'agguagli altrui parlare, ò mio.
Opra, eretta per Dio;
Non per un Dio di deità profana,
Fatto da gente insana,
Ma per quel Dio, ch'eterno regna, e uiue,
E uiue di se stesso, ed in se regna.
Pisa.
Tai di religion chiare sembianze,
Di magnanimo cor fatti, e consigli,
Dal primo Ferdinando
Auranno del secondo i regij figli.
Siena.
Mà quai di senno, e di bontà sincera
Prese à tirar disegni,
Onde potesser poi
Quei, che uenian da Lui, formare al uiuo
Ritratti perfettissimi d'Eroi?
Quai non ebbe in pensiero,
Quai non ordì più segnalate imprese
Il più Giouane Cosimo, ch'al Cielo
Ebbe mai sempre le sue uoglie intese?
O com'io uidi in esso
Congiunto in un quel che in tant'altri mai
Sparso non ritrouai?
D'ardente caritade
Esempio uiuo, e simolacro espresso,
Che non fè, che non disse,
A prò del popol suo? Quai non descrisse
Ne' magnanimi gesti,
D'incompresa pietà stampe nouelle?
Vider sotto di lui Fidia, & Apelle
Delle tele, e de' marmi
Tornato il pregio, e rinnouato il uanto.
Vdisi all'Arno à canto,
Quasi lungo Ippocrene,
O presso il Mincio, il Simoenta, e'l Santo,
Soura cetere d'oro, e plettri eburni
Spiegar Cigni Dircei sonori carmi;
E su le Tosche scene
Venne Roscio à calzar socchi, e coturni.
Pistoia.
Erano di uaghezza
Vn Campo Eleo le Fiorentine strade;
Oue pronta distrezza
Facea, con arti nuoue,
Di leggiadro ualor gradite proue.
Tale, in mezzo à duo' Colli,
Palatino, Auentino,
Fè nel Circo maggior uedere Augusto
Spettacoli, e teatri,
Con l'asta, e'l disco, al popolo vetusto.
Quale, al salto leggiero,
Sembraua una Cammilla, un'Atalanta;
Qual con fugace pianta,
Nuouo Borea parea
Dell'amata Oritia rattor ueloce.
Quale, agl'incontri poderoso, e fiero,
Spartaco assomgliaua;
Chi con destra feroce,
Percotendo mandaua,
Più, che da Parto Arcier lanciato strale,
Come s'auesse l'ale,
Gonfio di fiato, al Ciel globo uolante.
E chi, figlio dell'aura,
Di barbaro Corsier premendo il dorso,
Cillaro, ed Arion uincea nel corso.
Fiorenza.
Queste, à far liete l'affannate menti,
Che talor a nel duol uiueuan meste,
Furono amiche feste,
Che d'allegrezza riempieano i cori.
Mà lo sparger tesori,
A solleuar l'abbandonate genti,
Disfarsi d'oro in preziosa pioggia,
Per fecondare il seno
D'amica Pouertà, furon portenti,
Che indisusata foggia
Manterran del buon Cosmo il caro nome,
Ch'al mancar dell'età non uerrà meno.
Siena.
Con alta sofferenza,
Cui non puote alterar poco, nè molto
Doloroso languir di mesi, e d'anni,
Contro i mortali affanni,
Qual Socrate, serbò l'istesso Volto,
Fatto di tollerar forma costante.
Pistoia.
E di quali, e di quante
Doti più signorili auria lasciato,
Genitor fortunato,
A' gran Posteri suoi nobil retaggio,
Se di Morte l'oltraggio
Sù l'Alba non facea cadere il Sole?
Vrbino.
Pure, si come suole,
Quando Febo nel Mar sen fà ritorno,
Che s'accendono in Ciel mille facelle,
A far nascer frà l'ombre un chiaro giorno,
Se giacque nel gran Padre,
Di cotante uirtu’’ la fiamma estinta,
Ne' reali fratelli,
Ne' figli tenerelli
Visse lucente lo splendor, che poi
Dall'Occaso à gl'Eoi
Luminoso si spande, e uince à gara
Qual'è luce di gloria illustre, e chiara.
Poeta.
Quindi auuerrà, che dal paterno stelo
Traggan, più che d'altronde,
Vigor di bei costumi,
Quei, che nascer deuran da' nuoui Sposi,
Rampolli generosi,
Nel tempio della Fama eletti Numi.
Vrbino.
Se uolgeranno i lumi
A quello uagheggiar sublime colle,
Oue Vrbino s'estolle,
Arbore iui uedran uittorioso,
Ch'al Ciel s'inalza, e spande,
Et hà d'oro le foglie, e d'or le ghiande.
Alla cui ombra amena,
(Meglio, che su’l Castalio, ò in Aganippe,
Al dolce susurrare
Dell'eloquenti fronde,
Al chiaro mormorare
Di sorgenti faconde,)
Apollo con le Muse i giorni mena.
Quiui l'alme uerzure
Intessono ghirlande,
A circondare la fronte
D'Orfei, e di Persei,
Quando in Parnaso, e quando in Termodonte.
Pendon da' rami suoi uittrici Insegne,
Cui riportaro in Marzial conflitto,
Guidobaldo l'inuitto,
E qual fù di Lui figlio, e qual fù Padre.
Sallo Italia non sol; non solla terra,
Sallo l'Europa, e 'l Mare,
Che turbarsi, e tremare
Si uide, al folgorar di quelle spade.
L'ondeggianti contrade
Risuonan per l'Egeo l'aspra contesa
Della rotta funesta,
Che dell'Asia, e d'Egitto,
Ebbe à Naupatto, il formidabil Mostro.
Del Quinto Pio fù questa
La gloriosa Impresa;
Oue, frà tanti, e tanti
Guerrieri à Cristo amici,
Che con celesti auspici
Della Scitia sdrucir l'armate Naui,
Al par di tutti coraggiosa, e forte,
La Rouere d'Vrbin spiegò suoi uanti.
Di fregi sacrosanti
Ella uiè più che altroue, apparue ornata,
Sul Tarpeo trapiantata;
Qualor nelle sue cime
Doppio Regno il Mondo
Posero duo' de' successor di Piero,
SISTO il Quarto fù l'un, GIVLIO il secondo.
Poeta.
Bella dunque, e famosa,
La ricca Genetrice,
A' Figli, & a' Nipoti
Triplicato tesoro
Lascerà, di Beltà, di Gloria, e d'Oro.
Fiorenza.
Questa dolce speranza,
Che ora nasce in me, questa m'auuiua,
Questa mi trae d'ogni mestizia fuora,
Questa è quanto di bene al cor m'auanza.
Dolcissima speranza.
Questa, se giunge à riua,
Sarà del mio bramar l'ultimo segno
Questo aspettato pegno
Renderammi sicura: In questo solo
Troua il popolo mio pace, e quiete.
Pistoia.
Tosto che s'udira' del nuouo Parto,
Correran l'onde liete
Non pur d'Arno, d'Ombron, d'Arbia, e di Tebro,
Ma della Dora, e d'Istro, e dell'Ibero,
Della Mosa, e del Reno,
Del Rodano, e dell'Erio,
Che fra i lor Regi, e' miei
Spereran celebrare altri Imenei.
Siena.
Già della gente mia leggo scolpita
L'immensa gioia in fronte,
Veggo l'anime pronte,
Che solleuate al Ciel, chieggon soccorso.
Ogni Tempio, ogn'Altar s'accende, e fuma
D'Arabo incenso, e di sudor Sabeo;
Per tutto si costuma
Infiammate mandar preghiere à Dio:
Chi Sacrificio pio,
Possente à liberar l'alme d’ Auerno,
Offre al soglio superno:
Chi col regio Cantor dell'Arpa Ebrea,
Scioglie di sacri Versi
Diuini Vfici, e supplicanti note:
Pisa.
Altri sparge deuote,
Interrotte, interdette
Da' pianti, e da' sospir di spirto umile,
Amiche voci, e nell'Empireo accette;
Perche al nascer bramato
Porga la man benigna
Chi ne crea, e gouerna
E dalle parti in Ciel più luminose
Delle mondane cose
Con prouidenza eterna
Volge frà noi Mortali Sorte, e Fato.
Poeta.
Altri chiede, e desia
(Perche miri quaggiù pompa diuina
Nella Tosca Regina)
Che uiuo si mantegna
Quell'amato splendore,
Ch'ammirabile in Lei s'inchina, e regna.
Onde, se forse auuenga,
Che di sanguigno umore
Apparisca del Viso
Maculato il candore;
Sù gigli delle gote
Siano uermiglie note
Che fingano un rossor di Paradiso
Siano stelle quei segni,
Che spariscan ben tosto
Dal Ciel del Volto, in cui risplende il Sole.
Fiorenza.
Son queste le parole;
Queste son le preghiere,
Che sù l'ali leggiere
D'anelante desio corrono al Cielo;
Traportate dal zelo
D'un'infinito bene,
Che speran di prouar l'alme Tirrene.
Or'io, che à queste son Nutrice, e Madre,
Dall'opre loro umilemente ardita,
Qual, per essere udita,
Riuolgerommi alle Stellate squadre?
Te non inuoco al mio pregare in sorte,
O fauolosa Diua,
Del fulminante Ideo Suora, e Consorte.
Nata lungo la riua,
Che l'Icario circonda,
E di Samo alla sponda,
Frà le Partenie arene;
A cui d'Argo, e Micene
I popoli deuoti,
Fan tributari, e sacrificij, e uoti.
Te, di nodi profani
Fabbricatrice immonda,
Di Maritaggi uani,
Ed'impudico amor, Pronuba Giuno;
Del Vulgo da ciascuno
Con temerarij detti
Chiamata Dea Lucina,
Eletta, à fortunar Parti, e Concetti.
Te non uoglio, e non chiamo,
Bugiardo Nume, a' miei desir secondo.
Ne tè, dal cieco Mondo
Stimato Dio, di medicar Maestro,
Figlio al Pianeta, che distingue l'ore,
Del Tessalo Chiron dotto seguace,
E della Sanità Padre, e Signore.
Tolgasi dal mio cuore,
Ch'ad alte uoglie, ad alto fine è uolto,
Così basso pensiero.
Io, del nostro Emispero
Inuoco Lei, ch'ogni remota parte,
Col benigno fauor, che ne comparte
A se deuota, & in se fà beata
VERGINE ANNVNZIATA.
Qui comparisce la Toscana, accompagnata
da vn Coro di suoi popoli, e cantano
tutto il rimanente.
Vno del Coro.
Queste del regio petto,
Che letizia spargea,
Voci d'ardente affetto
Trasse la Donna dell'Etrusco Impero,
Poi che’ [sic] seppe, esser uero,
Che del Popolo suo l'alta Reina
Grauido il sen di real prole auea:
E con la fronte china,
Il ginocchio piegato,
Congiunta insieme l'una, e l'altra mano
In atto Maesteuole, e Sourano,
Colà voltosi, oue nel grembo à Flora
Il RITRATTO beato
D'ANNVNZIATA VERGINE s'adora.
Indi le luci oneste
Verso il gran Tempio immobilmente affisse
TOSCANA SVPPLICANTE, e così disse.
Toscana.
O dell'Idee più belle,
Che formin colassù l'eterne Menti;
O d'egregia fattura,
Qual altra non fù mai di grazie, e pregi,
Celeste esempio, Angelica figura:
O scesa dalle Stelle
A' miei Duci, a' miei Regi,
Fontana d'ogni ben, d'ogni conforto;
Senti, qual'io ti porto,
Di mille cori à nome,
Feruidi preghi, e supplicanti detti:
Senti, deh, senti come
Ne' suoi cocenti affetti,
A tè s'inchina, e piega
Il Popol mio, che ti scongiura, e prega.
Coro.
S'al fonte di pietade
Può trouarsi una stilla,
S'al foco di bontade
Può trarsi una scintilla,
Tu, Mare di pietà,
Tu, Etna di bontà,
Mira de' preghi miei
L'alta necessità.
La mia Diua, che in Volto
Hà il fregio di beltade,
Ella, ch'hà in seno accolto
Il pregio d'onestade,
A te, fior di beltà,
A tè, Sol d'onestà,
Spiega de' preghi suoi
L'alta necessità.
Toscana.
Quella, che in tè ripone, e nel tuo figlio,
Alta speme infinita,
Quella ti chiede aita.
Piega benigno il ciglio;
Pensa, che à ciò t'inuita
Vn'innocente core
Di tenerella Sposa,
Ch'altro non prouò mai, che santo amore.
Deh consola il timore.
Solo.
Bella Madre amorosa,
Volgi al mio gran Monarca,
Al mio Gran Duce, e Rè; volgi al Consorte.
Vedi, com'egli porte
E d'Iddio, e di tè, sua mente carca.
Questi, ch'a tè conserua, ed al tuo figlio
Vn'Alma, che dal ben mai fà partita,
Questi ti chiede aita.
Piega benigno il ciglio;
Pensa, che à ciò t'inuita
Chi spera di godere
Da sì bramato Parto, e pace, e uita.
Porgi, deh porgi aita.
Toscana.
Se le lacrime mie, se' miei sospiri
Son quei, ch'hanno à impetrar tanta mercede,
Con incorrotta fede
Al pianto io mi consacro, & a' martiri.
Io disfarommi in lutto,
Io struggerommi in foco,
Pur che di sì gran Parto io goda il frutto.
Sì dice il Mondo tutto;
E s'ode risonare in ogni loco,
E dall'Austro, e dall'Arto;
Venga, Venga il bel Parto.
Coro.
Delle Sfere rotanti,
(Quando sarà, ch'ei nasca)
I vaghi aspetti, i lucidi sembianti
Siano uniti, & amici,
Che d'influssi felici
Facciano tutto il Pargoletto adorno.
Vieni, uieni, ò bel giorno.
Spiri al reale Infante
Fiato d'aura celeste,
E di Spirto souran soffio beante;
Che le strida piangenti
Volga in scherzi ridenti:
Non sia dolore il partorir, ma gioia:
Fugga, fugga ogni noia.
Da' fiammeggianti Colli
Scendan sacrati Amori,
A lusingare i dolci sonni, e molli:
Porga latte al Bambino
Vn nettare diuino,
Che da uena beata il Cielo elice:
Nasci, Nasci, felice.
Solo.
Nasci, del Regno à sostenere il pondo,
Cui la MEDICEA man gouerna, e regge;
Nasci, Germe fecondo
Di quel Tronco real, che mi da legge.
Nasci, ne sia secondo
Di gloria, e di ualore, à gl' Aui tuoi,
Che furon gloria, e fur ualor del Mondo.
Cresci di Marte a' bellici sudori,
Per trionfar d'ogni guerriera sorte:
Cresci a’ sublimi onori
Di Minerua, egualmente, e saggio, e forte:
Cresci a' Mirti, à gl'Allori,
A' Bronzi, à Marmi, à Tele, à Penne, à Carte:
E Sol d'Eternità tue palme indori.
Toscana.
Signor dagl'aurei Cori
Odi le uoci mie;
Porgi l'orecchie pie: A tè fauello.
Fauoreuol t'appello
All'alta impresa; onde n'andrà fastosa
La più uaga d'Esperia, e nobil parte.
Di tanta grazia à parte
Di nuouo ti richiamo, alma, beata,
VERGINE ANNVNZIATA.
Solo.
Così disse, dell'Arno intorno all'acque,
TOSCANA SVPPLICANTE: E quì si tacque.
Coro.
Tosto scesi dall'alto
Alati uezzosetti,
Crebbero i bei diletti,
Fermaron le speranze,
Mouendo il piè leggiero à balli, à danze.
E cantaron festosi
Ecco, l'età dell'oro à uoi ritorna;
COSI BELLA VITTORIA IL MONDO ADORNA.
Ballo.
IL FINE.
NA