Lodi del Re di Francia

Poetry in praise of King Louis

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            <title>Niccolò Strozzi's Lodi (1643): A Basic TEI Edition</title>
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               <title>Delle lodi di Luigi XIII re di Francia e di Navarra, il Pio, l'Invitto, il Felice, il Giusto. Panegirico recitato in Firenze. All'Em. e Rev. Card. Mazzarrino.</title>
               <author>Strozzi, Niccolò</author>
               <pubPlace>Florence</pubPlace>
               <publisher>Massi, Amador; Landi, Lorenzo</publisher>
               <date>1643</date>
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            <p>This TEI edition is part of a project to create accurate, machine-readable versions of books known to have been in the library of Galileo Galilei (1563-1642).</p>
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            <p>This work was chosen to maintain a balance in the corpus of works by Galileo, his opponents, and authors not usually studied in the history of science.</p>
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               <p>The letters u and v, often interchangeable in early Italian books, are reproduced as found or as interpreted by the OCR algorithm. Punctuation has been maintained. The goal is an unedited late Renaissance text for study.</p>
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               <p>Word breaks across lines have not been maintained. The word appears in the line in which the first letters were printed. Words broken across pages appear on the page on which the first letters appear. Catch words are not included.</p>
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 <docTitle>Delle lodi di Luigi Decimoterzo Re di Francia, e di Navarra il Pio l'Invitto il Felice il Giusto. Panegirico. Dell'Abbate Niccolò Strozzi Canonico Fiorentino, Consigliere, &amp; Elemosiniero della Maestà Cristianissima. All'Emin.mo et Rev.mo Sig. Card. Mazzarrini. In Fiorenza, nella Stamperia Nuova di Amador Massi, e Lorenzo Landi. Con Licenza de' SS. Superiori.</docTitle>
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  <date>1643</date>
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<lb/>DELLE LODI
<lb/>DI 
<lb/>LVIGI DECIMOTERZO 
<lb/>RE DI FRANCIA, E DI NAVARRA 
<lb/>IL PIO 
<lb/>L’INVITTO 
<lb/>IL FELICE 
<lb/>IL GIVSTO.
<lb/>PANEGIRICO.
<lb/>DELL’ABBATE NICCOLÒ STROZZI
<lb/>Canonico Fiorentino, Consigliero, &amp; Elemosiniero
<lb/>della Maestà Cristianissima. 
<lb/>ALL’ EMINENTISSIMO. ET REVERENDISSIMO. 
<lb/>SIG. CARD. MAZARINI 
<lb/>In Fiorenza, nella Stamperia Nuoua di Amador Massi, e Lorenzo Landi.
<lb/>Con Licenza de’ SS. Superiori.
<pb n="3"/>
<lb/>EMINENTISSIMO, E REVERENDISSIMO SIGNORE
<lb/>SV la riua dell’interminato Mare de’ pregi innumerabili del Gran Luigi d’immortale, e gloriosa memoria, hò raccolto (Eminentissimo Sig.) fra l’infinite, questa picciola
<lb/>Conchiglia delle sue Lodi, che nelle sterili arene delle inculte mie Carre già moribonda languisce, se dalla ruginda del suo patrocinio, e fauore non riceve e spirito, e vita. AV. Eminenza dunque la consacro, perche viua sott’il Cielo della sua autorità, e protezione, a V. Eminenza, che fù parte del Cuore di tanto Monarca, e tanto a parte de’ suoi profondi arcani, de’ suoi generosi consigli, ed oggi la vede il Mondo non meno un de’ Cardini
<pb n="4"/>
<lb/>della Chiesa, che della Francia, egualmente nella sua porpora folgorando gl’ardori di quella, gli splendori di questa. M’assicuro, che protetto da V. Eminenza saranno seco le lor Maestà per gradire quant’ hà potuto porgere d’humiltà deuota pouerissimo Altare, e qui reuerentemente le bacìo la Veste, mi pregio, e professo di viuere ogni giorno più.
<lb/>Di V. Eminenza Reverendissimo
<lb/>Humilissimo Oblig. Serenisimo e Fed.mo
<lb/>A Firenze il dì 31. di Gennaio
<lb/>1643. ab Inc.
<lb/>Niccolò Strozzi.
<pb n= "5"/>
<lb/>LE lagrime figliuole primogenite del Cuore, primizie de gli affanni, indiuisibili compagne dalla cuna all’auello dell’umana infelicità, aspirano di fabbricare, non di marmo, d’argento, e d’oro, ma di loro medesime fabbricatrici, e materia Obelisco pomposo di cordoglio, e d’onore al mortale, immortale del Gran Luigi. Imperfetta s’ergerebbe la superba struttura, se non vi concorressero a gara con l’Eternità, e con la Fama a scolpirui il glorioso nome, ad inalzarui il diuino simulacro, a collocarui memorie onorarie, e sepulcrali della pietà, della giustizia, della fortuna, del valore di tanto Monarca le lingue, le penne più celebri, e più chiare dell’vniuerso. Ma infallibile reflesso di ponderato discorso
<pb n= "6"/>
<lb/>m’addita, che se tutti gli occhi della Terra lagrimassero, non sarebbero valeuoli appena di gettarne i fondamenti, se però non piangessero quelli del Cielo, ch’altro non sanno, ne ponno versare che rugiade di consolazione, e di gioia. Non lascerti però d’allargare il freno a’ miei pianti, richiesto tributo nella morte de giusti, per la perdita del pubblico bene, se non sapesse, che a dispetto della morte, viuono, e viuono beati, che il felicissimo Rè, morendo, hà lasciato Madre, e Reggente d’vn’altro Luigi, vn’altra Bianca, se non di nome, di nazione, di senno, di zelo, di valore, quale l’auuenturosa Genitrice di Luigi il Santo, perche dell’Augustissima stirpe d’Austria, perche Regina di Francia. Distilli pure in copia il Simulacro d’Orfeo penose gocciole d’affanno al fisso, e riuerente sguardo del Gran Macedone, predicano pure gl’Egizi Indouini per sì fatto portento; che tutti gl’ingegni del mondo si sarebbero in darno stancati scriuendo, e celebrando l’immensità de’ suoi pregi, che
<pb n= "7"/>
<lb/>di pari con questi vanno quelli di Luigi il Giusto; vane perciò saranno tutte le fatiche di chi prouerà di colmarne i volumi, di chi pensarà con fiume d’aurea eloquenza, porgere tributi al mare delle sue immortali azioni, che sarebbe appena l’abbozatura de primi lauori. Non v’è chi possa dipingere nella propria bellezza il Cielo s’il Cielo non dipinge se stesso con l’oltramarino de’ suoi Zaffiri, con l’oro de’ suoi Luminari. A gl’Angeli si può credere sia riserbato il narrare dell’anima fortunata gl’encomi, e di pronunziarne l’opere ammirabili al Firmamento. Fra queste impossibilità asciugando per quanto m’è possibile il pianto, asciugherei parimente l’inchiostro, e con l’attonita mente fermerei la mano, abbandonerei la penna, riuerirei col silenzio le Diuine prerogatiue, che di scriuere mi son proposto, se non m’affidassi, che se l’inuittissimo Eroe viuendo, non sdegnò di gradire con fronte augusta l’oblazione del mio profondissimo, ed ereditario ossequio, e della mia costantissima
<pb n= "8"/>
<lb/>fede, sia oggi dalle sourane Gerarchie per dilettarsi, e gradire, che nuouo Abel col cuore gli consacri olocausto immaculato di lodi.
<lb/>Misteriosi prodigi, prodigiosi misteri accompagnarono il suo Real nascimento. Sopra l’altare chiamato de’ pij impolluto di sangue, già s’offeriuano le vittime ad Apolline genitore, se nasceuano i Grandi; Allora che egli nacque lieto l’accolse prima della Cuna nel grembo la Pace, che dopo fiere stragi, e ruine respiraua consolata al trono d’Arrigo il Grande, l’abbracciò la Religione, preuedendo di respirare al trono di Luigi il Giusto. Balenarono i primi lampi del suo Religioso valore, quando appena nato, alzò tre volte le tenere pupille al Cielo, quando rise com’Ettore mirando il suo Padre, e se porse la mano infantile Carlo Sesto suo Predeceassore al morione dal Genitor’offertoli, egli la distese sopra lo sguainato brando, che il Magnanimo Arrigo gli appresentò, consacrando l’armi, e’l figliuolo al grande Dio de gli eserciti.
<pb n= "9"/>
<lb/>Parue, per così dire, che il Cristianissimo Bambino giurasse in quel punto di voler conseruarsi vero primogenito, e braccio della Chiesa, che implorasse il Diuino aiuto a fauoreggiarlo contro gl’inimici della Fede, e del Regno; e ben poi s’è veduto, che s’vnirono ad accompagnare la regia spada tutte le grazie, e benedizioni di quella, che l’alto Profeta Geremia consegnò in visione dal Cielo al valoroso Maccabeo. Apparue al mondo quest’incomparabil Principe all’entrar d’vn secolo come prima marauiglia di quello, e de futuri, sotto il segno della Bilancia, Oroscopo sempre di fauoreuole augurio nella nascita degl’Eroi, sempre influente giustizia, e pietà. I primi accenti, che scaturissero ben’articolati dalla sua bocca, s’vdirono risonare Giesù. O stupore d’infante Diuoto? come dopo sciolto da teneri vagiti apprese per tempo parlatore religioso
<lb/>a sciogliere le parole nell’armonia di quel Santissimo Nome, a cui riuerente si genuflettono il Cielo, la Terra, e l’Abisso come
<pb n= "10"/>
<lb/>s’ingegnò di render tributari la lingua, e’l cuore all’altissima, ed increata Sapienza, per la quale regnano i Regi, ed i Legislatori decretano il giusto. Quest’alti, e profondi principij di sentimenti pij, e diuoti, e li spiriti viuaci del Real Pargoletto conspirarono di stabilirlo sopr’ il maggior trono della felicità, e della gloria inuittissimo Eroe, Rè veramente Cristianissimo, vincitor di se stesso, trionfator degi’emuli, debellator de’nimici, difensor degl’amici, solleuator degl’oppressi, conculcator de’ ribelli, gastigator de’ maluagi, premiator de’buoni.
<lb/>La notte precedente al giorno del suo Real Battesimo furono veduti volare per i campi dell’aria accesi vapori di portentose meteore, quasi che il ciel volesse spiegar’ a caratteri di luce con penne di fuoco i vaticini altissimi del pietoso, &amp; ardente zelo di tanto Eroe, che quelle fiamme a chi douessero esser luce d’allegrezza, e di pace, a chi calore di salute, e di vita, a chi ardore di desolazione, e di morte, ch’egli haurebbe
<pb n= "11"/>
<lb/>trionfato col fuoco del fuoco, contraponendo il suo d’amor diuino a quello de’sensuali appetiti, ed in fine che quei lampi erano i chiarori d’vn Sole, che spuntaua nell’Oriente. Vestito del valore del Padre camminaua quasi con passi di Gigante di pari col Padre a gradi d’ogni virtù. Ascanio seguitaua Enea, ma col piè puerile, non pareggiaua a gran via il cammino paterno. Il palazzo Regio non era per lui sentina di delizie, ma officina d’armi, oue nelle dure fatiche faceualo il Genitor affannare. Souente a se comandaua di venir’ i piccoli figliuoli de’primi offiziali delle guardie Suizzere, in due schiere compartendogli, che d’vna egli si poneua nella fronte come Condottiero, e dell’altra creaua per capo il più spiritoso, il più a lui caro di quelli in finte, e bizzarre Zuffe esercitandosi. Soleua dir loro, allegramente miei soldati, sarete vna volta tutti miei Colonelli; così Ciro appresso l’Auo Astiage educandosi co’ fanciulli de’ Medi ne’ giuochi militari stancauasi.
<pb n= "12"/>
<lb/>Quelli spiriti Marziali alimenti del suo valore sarebbero stati flutti di Mare incostante che passano, e più non sono, se non auessero auuto per salda pietra angolare, e fondamentale quelli d’vna religiosa pietà verso Dio. In vece de’ fanciulleschi trastulli spendeua souente l’ore nel Real Oratorio in adornar immagini, in arricchir’Altari, imitatore del Gran Macedone, che piccolo fanciullo infioraua le Vittime, e spargeua a piene mani ne’sacrifizi gl’incensi, o pure emulatore di Samuel, che tenero d’anni nel ministero del Tabernacolo con somma vigilanza adattauasi. Lungo tratto vn giorno in orazione dimorando fu auuertito che si sarebbe stancato, egli piamente rispose, che Luigi il Santo, del quale pregiauasi di portare il nome, e la Corona, e di calpestare l’orme Diuine, orando non si stancaua, ma s’auualoraua. Se qualche difficultà, come fanciullo interpose d’amministrare vn Giouedì Santo la funzione della lauanda in vece del Rè suo Padre da indisposizione impedito, punto, e compunto
<pb n= "13"/>
<lb/>dalle pie, e sensate parole del Signor di Subrè suo Gouernatore con tanta vmiltà, e decoro, con sì copiosa effusione di lagrime in quel sacro Ministerio adoprossi, che ben le trasse di tenerezza, e di compunzione da gli occhi di tutti i circostanti, e poscia per tutta sua vita con sentimenti di diuozione, e contrizione sì grande in quest’opera sacra s’esercito, che non voglio affermare, ma credere si studiasse d’esser vero imitatore, e successore del buon Rè Ruberto, al quale in quel giorno, in quell’azione copriuano le Reali carni, in cambio di morbido lino, pungenti setole di mal tessuto Cilizio. Alla riuerenza, e pietà verso il Cielo accoppiò l’osseruanza verso i Parenti, guida infallibile alle più eleuate cime della felicità. Giacob ossequioso alla Madre, acquistò dal Padre la Primogenitura, e la pienezza delle benedizioni. Gioseffo sempre osseruante de’ precetti Paterni trouò per suo vanto mutarsi la seruitù in impero, in trono i ceppi, la carcere in regio tetto, la schiauina in
<pb n= "14"/>
<lb/> porpora, i caratteri seruili in Thiàra, in 
<lb/> lodi l’accuse, la disgrazia in fauore, l’inuidia de fratelli in sommessione, e del vecchio 
<lb/>Padre il timore, e l’affanno in sicurezza, e 
<lb/>conforto. Insegnò l’Angelico genio al 
<lb/> pijssimo Luigi, che l’obbedire a’ genitori 
<lb/> si caua dalla bocca del benedetto Cristo, 
<lb/>che disse esser venuto in terra, non per far 
<lb/>la volontà sua, ma quella del Padre. Inebriato di questi santi dettami soggettauasi 
<lb/>il Real giouanetto all’ossequio, al rispetto, 
<lb/>all’obbedienza douuta a parenti, che lo mirauano, ed ammirauano come di loro 
<lb/>braccio, e fortezza, onore, e vita, ornamento, e tesoro. Conosceuano nel tenero 
<lb/> germoglio già ripullulare, epilogate tutte 
<lb/>le virtù eroiche, e cristiane de’ primi antepassati Monarchi della Francia, scorgeuano concorrere a gara tutte le perfezioni in 
<lb/>lui per formar l’Idea d’vn Re Pio, d’vn 
<lb/>Re inuitto, d’vn Re felice, d’vn Re Giusto. 
<lb/> Ma quel colpo diabolico, e fatale, quel 
<lb/>ferro esecrando, e detestabile temprato, ardirò di dire, dallo stesso orrendo spirito 
<pb n= "15"/>
<lb/>del tradimento col pianto dell’anime più disperate, col veleno delle Ceraste più orri bili dell’abisso, alla fucina più ardente di Lucifero, quel ferro vibrato dal braccio proditore d’vna furia vmanata infernale, sempre di funesta, e d’infausta memoria alla Francia, che a lei tolse il Grande Arrigo il suo Re, tolse parimente a Luigi il suo gran Padre, il quale di noue anni lasciollo nel comune dolore del Regno, come delizia, e giocondità della Genitrice, conforto, e speranza de’ Popoli, pregio sommo, esourano degli Eroi. Il senno senile, lo spirito eleuato, e grande, la religione, il decoro, la Maestà del Pupillo Re, pareua che non cedessero a’ più saggi consigli, a’ più generosi pensieri del più valoroso, e sensato Principe del Cristianesimo. Col medesimo applauso, con le medesime lodi, co’medesimi voti, che il giusto Re Iosia fù d’otto anni assunto allo Scettro d’Israel l’aurebbe la Francia collocato con la sola sourana autorità, e dipendenza di se stesso nel Soglio reale, se le Leggi l’auessero permesso, se la
<pb n= "16"/>
<lb/>Madre Regina Reggente vna delle più auguste, e virtuose Donne, a cui mai aggrauasse la fronte il Diadema Monarchico, non fusse stata conosciuta più che valeuole a sostenere la mole di tant’Impero. Quelle voci di lamento, e di doglia sparse ne’ Regj funerali, ne lugubri apparati di morte, e quelle di bestemmie, e di maledizioni auuentate nel cammino del supplizio contro l’infame Parricida, appena s’erano cangiate in lieti clamori d’vn, Viua il Rè, riuerito con la Reggente nel Cielo della Maestà, che s’vdirono ferir l’aria grida, e rimbombi d’allegrezza, e di vittoria, hauendo il Marescial di Sciatres dalla Regina inuiato al soccorso di Giuliers, sì felicemente spiegati i vessilli liberatori nell’oppugnata Città, che quasi precorse con l’esecuzione, l’ordine mostrando al mondo, che se la Francia aueua perduto vn de’ suoi Capi non le mancaua lo spirito, e’l cuore, e l’assistenza, e la protezione del Rè delle genti, che quell’auuenturoso progresso era vaticinio, e preludio d’vn felicissimo corso delle
<pb n= "17"/>
<lb/>future vittorie dell’armi Franzesi sotto il nuouo Monarca, la di cui potenza principalmente a prò de gli Amici, e Confederari farebbe riuscita come il fulmine, che frange ogni durezza, ed abbassa ogni sublimità. Non viueua il Giouanetto Rè per altro contento, che per quello della Madre, le loro volontà erano indiuise, i loro affetti contendeuano di maggioranza. Vero erede del nome, del zelo, e delle virtù di San Luigi, si dichiaraua di auer ingenita, e particolare auuersione contro gli
<lb/>Eretici, con singolar affetto accoglieua quelli, che si conuertiuano alla Fede Cattolica. Incredibile è raccontare quanto profittasse nel timor di Dio, e come seruisse di norma, e confusione a tutti, che lo contemplauano come Tipo, ed esemplare d’vna vita Religiosa, e Cristiana. Le sue orazioni, e preghiere erano sì frequenti, che aueuano del miracoloso. Oraua a braccia aperte quasi volesse distender l’ali per volare al Cielo a goder quel Dio, che diuotamente contemplaua, protestaua, e dimostraua in questa
<pb n= "18"/>
<lb/>guisa la vera immagine della Croce, e poteua dire come Dauid, che alzaua le mani a’ precetti Diuini, perche gli bramaua, attendeua che nell’vna mano dall’alto gli pio uessero le rose della grazia, nell’altra i giacinti della misericordia, voleua imparare dal suo Creatore a vincere con le braccia distese il Demonio. Abbandonando le piume, e gli agi, leuauasi tal’ora nell’ore intempestiue de più alto silenzio profondamente orando. Opportuno tempo all’orazione è la notte, quelle preghiere, che traggono i loro splendori dalle tenebre arbitre di loro è Dio, e testimonio l’Angelo; di mezza notte sorgeua Dauid a lodare, e confessare la Diuina Maestà. Feruide sono le preci notturne: corrono gelide il giorno l’acque del fonte del Sole: spumano la notte bollenti. Cristo Signor nostro pernottaua le più volte in orazione. Giocondo ammiratore, ed ascoltatore del Regio Penitente, il P. Corone Giesuita suo Confessoro vsaua di dire, l’azioni del Rè trascenderanno senz’altro l’vmana condizione
<pb n= "19"/>
<lb/>Queste fauille di pietà si cangiarono dopo ch’egli prese lo Scetro in diluuio d’incendj. Non è capace di regnare, chi non arde di zelo di conseruare la Diuina legge; alla porta di questa scuola sottopose con maggior brama i fasci del Regno, e dell’animo, che non fece Pompeo il Magno le scuri, e le verghe del Romano Impero a quella di Possidonio. Ne gli anni più fermi con fermezza d’animo abborriua ogni effemminato diletto. E la pudicizia, virtù così nobile, e generosa, che per nessun’altra può l’huomo più superbamente gloriarsi. Quello spirito Reale agitato da questa potenza quasi ruota di Ezecchiel nella ruota, girando intorno alla sfera del sommo Sole, l’attrassero a loro dall’immondizie della terra i raggi dell’Amor Diuino, creandolo abitacolo di pietà, di giustizia, e di religione. Se tal’ora trafissero il Principe Pudico le punture de’ pensieri carnali, fu tentazione salutare, perche riconoscesse la sua bassezza, e non aspirasse d’arriuare a’ pregi della Diuinità. San Paolo diceua, che gli era
<pb n= "20"/>
<lb/>dato lo stimolo sensuale, perche non si insuperbisse, per la grandezza delle riuelazioni. Il grand’Alessandro affermaua, che quando non lo spronauano i libidinosi appetiti si stimaua di esser vn Dio quando lo tormentauano, conosceua d’esser huomo. Le tentazioni carnali sono l’antidoto ne’ buoni contro il veleno della superbia. Armossi però di tempra adamantina contra le saette infocate della lasciuia, e contro l’occasioni, che lo condussero sù l’orlo del precipizio. Macchinò l’antico inuidioso Serpente di rouinare quell’anima diuota, e pura, tese i lacci delle tentazioni con varj rauuolgimenti al Regio calcagno insidiando ; seruissi dell’ambizione di alcuni cortigiani per ridurre l’opera diabolica all’empio fine. Vna delle più belle, e più sfacciate Messaline della Francia fù condotta da quelli al suo cospetto, sperando di guadagnare nella di lui grazia, quando quell’animo inuincibile si rendesse vinto all’armi di bellezza lusingheuole, e pellegrina. Ma, o somma prouidenza dell’Eterno, dalla destra della ragione
<pb n= "21"/>
<lb/>non gli scapparono sregolate le briglie per abissare nella voragine del senso quella Thensa d’auorio, e d’argento de’ suoi innocenti, e candidi costumi, che sosteneua il Diuino simulacro della Pudicizia, accompagnata da Santa Meditazione, da sacro rossore, da fermezza d’animo nella fede, da mente attonita, e fissa nel timore, e nell’amore del Rè de’Regi, e del Signor de Signori. Contro la turba, e l’assalto delli sguardi lasciui, de’ sospiri interrotti, e delle parole lusinghiere inuocò l’aiuto del Cielo; lo sostenne, e lo souuenne Dio, che suol prestar soccorso a gli huomini nelle loro maggiori, e pericolose necessità. Vnite tutte le virtù combattè, e vinse, si rallegrò di sì pregiata vittoria, perche vincere i piaceri del senso è piacere impareggiabile, ne si troua più segnalato Trofeo di quello, quando si trionfa del peccato. Non volle sottoscriuere col suo delitto quel perfido assioma cauato dalle cattedre di Satanasso, che tutto sia lecito a Grandi. Se l’età Giouanile induce al peccato, la Maestà Reale
<pb n= "22"/>
<lb/>non è esente dalla pena. Le sue labbra assuefatte all’acque dolcissime del fonte del Saluatore abborrirono di bere l’onde torbide, il mortifero veleno della Cisterna dissipata del Lago fangoso de’ carnali diletti. Il suo cuore, che era vn Santuario dell’arca di Dio, non consentiua di offerire le vittime a Dagon, ne di adorare il Vitello in Oreb, per non tirarsi addosso le tempeste della Diuina vendetta. E’credibile, che auesse come Giob co’suoi occhi patteggiato, che non gli porgessero occasione di pensare a bellezza mortale. Se non ebbe pronto l’acceso tizzone, com’il Santo Dottore d’ Aquino per fugare la diabolica femmina, col fuoco del rossore del volto, dell’ira degli occhi, degli strali infuocati di parole maestose, e risentite, la scacciò intimorita, e confusa, e tant’abominazione impresse nell’animo delle libidinose lordure, che poscia detestò sempre come vanità pericolose le scolture, e le pitture lasciue. Autenticò questo pio sentimento allora che auendo onorato con la Real presenza
<pb n= "23"/>
<lb/>vn festino in casa di Signor riguardeuole, dichiarossi nel partire, che sarebbe altra volta ritornato alle sue feste, se toglieua dalla Sala del Ballo scandoloso quadro di va impudica Venere. Dalle Storie sacre miniere de Tesori Celesti traeua, imitando nel leggerle l’Augustissimo Carlo Magno, le più speciose gemme per arricchirne l’anima, e nobilitarne l’intelletto. Non d’altronde, che da quell’erario aueua egli estratto questi santi dettàmi da lui opportuni, e spessi replicati, che il Palazzo de’ Potenti doucua essere vn Monastero, ogni lor Città vna Chiesa. Diceua come Teodosio, che l’vmano impero fuor del Diuino ossequio non era che vanità, dichiarauasi che se si douesse guadagnar tutto il mondo, e commetter vn peccato mortale, douersi perder il mondo, e non peccare, replicaua alcune fiate battendo le mani, che le grandezze della Terra erano vn fuggitiuo, e breue strepito di mano, diceua che volentieri aurebbe sacrificato la sua vita, purche in tutte le sue Prouincie fusse morta l’eresia, che pagherebbe
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<lb/>sempre la conuersione di ogni Vgonotto a prezzo caro del suo sangue, che se vn solo ne fusse rimasto nel suo Reame, darebbe per guadagnarlo vn dito della sua destra. Il diporto di solleuarsi dalle cure lo cercaua com’il Santo Luigi nel real passatempo della caccia, ma fra boschi ancora procuraua di cauar delizie per l’anima, se trouaua diletti per il corpo. Ebbe a dire vn giorno al Sig: di Luynes, che consideraua nelle solitudini la felicità, che vi aueuono trouato i Santi Anacoriti con goderui il Paradiso disuniti dal Mondo, ed vniti con Dio. O come credo, che poco auanti solleuato se sopra sè, altamente meditando così nel suo cuore auesse parlato. Rauuiso in voi, ombrose Cauerne, l’ombre delle mondane grandezze, imparo da voi, scoscese dirupi, che i Regni, se Dio non gli sostiene, rouinano, voi mi mostrate mentiti sentieri de boschi, le vie bugiarde del Mondo, conosco che la vita mortale è fiore alla brina, erba alla falce, fronda al gelo, gelo alla fiamma, fiamma nell’aria, ombra nell’onda,
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<lb/>nell’ombra, orma in poluere, poluere al vento. Ma non è da tacersi qual nembo di grazie celesti piouesse a suo fauore allora, che dalla caccia ritornando tutta negra, tonante, e grandinante l’aria, scaricò dalle più infiammate nugole fulmine mortale che di lui vccise il Cauallo, ed egli illeso rimase. L’Olimpo che sopra le nubi s’innalza, non è dalle saette percosso. Il giusto Eroe dalle penne de’suoi santi pensieri sopra le nugole dell’oscurità mortale innalzato, si rese inuulnerabile al colpo del fulgore precipitoso, seruigli di scudo l’esser l’anima sua cara a Dio, il quale per i giusti tiene le mani grauide di strali d’amore, e di vita, per gl’ingiusti di sdegno, e di morte. Volle il Regnator Eterno per occulto mistero riserbarlo a cose mirabili, e grandi, in altra maniera non gli sarebbe giouato, l’auer più lauri trionfali nella fronte, che capelli. Superstizioso concetto è del Volgo, il trouarsi contro i fulmini scampo. In vano Tiberio si sarebbe incoronato d’alloro, Augusto in Padiglione di pelle di Vitello
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<lb/>marino ricouerato, Seuero in Lettiga della medesima materia riposto, se la sourana Onnipotenza auesse contro di loro aggiustare le mortali saette. Direbbero gli Etnici fauolosi, &amp; adulatori, che il fulmine di Gioue fusse venuto ad inchinarsi al fulmine di Marte: dirò ben’io che lo strale della suorana vendetta, che pare abbia voluto alcune volte colpire sopra i buoni è portento, è protesta del vicino gastigo preparato ineuitabile a’rei. Minaccia Dio di leuare la Corona della Giustizia a chi si parte dalla Giustizia. Cadde a Salomone il Diadema della dignità, e dell’onore, perche lasciuo, perche idolatro. Non oscurò il Gran Luigi col fosco de gli errori, i raggi del decoro, e l’attributo di giusto, anzi intese di vsurpar’a Salomone quello forse non douutamente datoli di Conseruatore della Legge dell’Eccelso, e di meritare che se gli confacesse sopr’il paragone de gli antichi Regi quell’augusta, e candida Cydari, fregio Reale alle Chiome, quella Veste di Porpora ornamento al seno de’ Monarchi, symboli
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<lb/>riueriti di clemenza con seuerità di giustizia con misericordia. Sapeua che Dio regnando, e giudicando nel Cielo è coronato d’Iride, è vestito di Sardio sanguigno; Misterj Celesti di giustizia indulgente, e misericordiosa, di vendicante, e seuera. Voleua che lo Scettro non gli seruisse per semplice pompa di Rè, ma per compendio delle Leggi vmane, e diuine; anelaua in quell’insegna di poter gloriarsi di sostenerla inuitto incolpabile, ed imitatore dell’Eterno Monarca; la costituì simile alla Diuina Saetta Abbari, alla Verga di Pallade, e di Mercurio, allo Scettro di Esiodo, d’Osiri, e di Giano. Pubblicò Leggi seuere contro l’auarizia, e venalità de’ Giudici; spezzò le mascelle a’ Leoni, e leuò loro di bocca le prede; procurò che nella Curia risedesse col sapere costanza, e fedeltà; non tollerò l’ingiurie, e l’oppressioni contro i poueri; studiossi di contenere ne’ termini diceuoli i potenti; intese, che delle sue Leggi non s’auesse a dire come di quelle de gli Ateniesi, ch’erano opere d’Aragni, che
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<lb/>inuiluppauano i piccoli Volanti, squarciate da grandi, all’occasione fece apparire, che furono sbarrate di ferro, che imprigionauano le più superbe fiere della Terra, e reti adamantine, che ratteneuono i maggiori Peregrini dell’aria. Il salutare statuto già ne gli andati tempi da Luigi il Santo contr’il duello ordinato, e per trascorso abuso all’inosseruanza ridotto, rinouò con più rigorosa proclama. Duellauano i Franzesi per l’onore, egli con inuiolabile, e sacro decreto, dichiarò infami i duellanti. Il tenor dell’editto portò spauento a’sudditi, non per viltà d’animo, ma per finissimo zelo di onore. Non v’è briglia, che più ritenga vn cuor Franzese dell’orrore dell’infamia. Numa per autenticar maggiormente le Leggi che promulgaua, fingeua d’auer con Egeria spesso commercio, come con Apollo Platone, con Minerua Solone. Ma questo Santo editto fù al giustissimo Luigi dalla sourana Sapienza veramente dettato. Astrea siede nel Zodiaco fra la Libbra, e’l Leone, sono specchio al
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<lb/>suo volto purissime Stelle. Questa Legge è riuerita, e temuta, è per tutti egualmente bilanciata, ne’ comandamenti Diuini si specchia, è Legge esecutrice di morte, Legge del Cielo che fulmina le Capanne, e le Torri.
<lb/>Con qual luminoso auuedimento eleggesse i principali Ministri di Stato per sua gloria, e per felicità de’ suoi popoli; basterà accennare che fra molti scelse il Card. di Richeleù, che seppe non meno vestito di Porpora, che di Prudenza, e Valore vestir di marauiglia i nimici della Corona, vincere con la virtù, la virtù, far sempre fiorire le glorie del Regno e le sue, l’asta d’Ettore, ed il senno di Palidamante adoprando. Con generosa pietà souuenne all’altrui pouertà, ed infortunio. Di copiosa somma di danaro, che ogni mese faceuasi numerare, (diceua egli) per i suoi gusti la maggior parte distribuiua a luoghi pij, a gl’infermi, a’carcerari, a persone oneste, e ben nate da sinistra sorte abbattute. Parli per esempio di tanti, che dir ne potrei, quello che alla ritrosità,
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<lb/>e tardanza, di chi doueua di suo ordine 
<lb/>souuenire a soggetto nobile alla mendicità 
<lb/>ridotto di quantità considerabile di moneta, rimediò con santa, ed esemplare resoluzione tant’oro di propria mano al Bisognoso somministrando, che più necessità 
<lb/>non lo costrinse di limosinare infelice. Da 
<lb/>Nerua Augusto imparò di solleuare i Cittadini dalle calamitose miserie, dal religioso 
<lb/>Re Ruberto la liberalità verso i poueri. 
<lb/> I benefizi, e fauori, sostegni della Regia 
<lb/>munificenza dispensò tempestiui; come 
<lb/>la sedia d’Amicheo reggeuano il suo Trono 
<lb/>le Grazie, e l’Ore. Rimunerò, 
<lb/>premiò le più fiate col solo consiglio di se stesso, 
<lb/>gastigò, condannò con l’altrui. Gioue 
<lb/>in mezzo al concistoro de gli Dei auuentaua 
<lb/>dalla sinistra le saette a’ mortali, solo e 
<lb/>di suo puro volere ne chiamaua tallora alla 
<lb/>Deità. Con fermezza, ed intrepidezza 
<lb/>incontrò i trauagli, e pericoli, che l’affrontarono mostruosi, e spessi : auendo per sostegno il Cielo, cauò la tranquillità dalle tempeste, il porto dal naufragio, da’ pericoli
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<lb/>la salute. Le tele ordite, e tessute contro il bene della Francia non riuscirono durissime a recidersi, come quelle de gli Aragni dell’Isola Cumana, furono col coltello della sourana Giustizia per mezzo della mano potente, e del braccio eccelso Reale facilmente troncate, e recise. Non fù motiuo di reuoluzione, di discordie domestiche, d’assalto d’armi, d’insidie straniere, che non lo trouasse d’animo impauido, e imperturbabile; che non rendesse al fine più stabili, e più eleuate le sue fortune, più risplendenti i suoi meriti. Il suo cuore era vn lucido smeraldo della vera speranza in Dio, esposto alla chiarezza dell’aria della protezion diuina, e a dispetto delle tenebre delle turbolenze risplendè più chiaro del Sole, e nell’acque de’trauagli apparue più luminoso, e maggiore. Selce battuta dall’acciaio sfauilla; oro tormentato nel fuoco s’affina; diamante da lauori percosso più s’abbellisce, e risplende; ogni piccola vermena d’alloro d’intrepida, e magnanima generosità ribatte ogni fulmine
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<lb/>d’armata fortuna, vento gagliardo che estingue piccola fiamma auualora vn grande incendio; le cure difficultose agitanti vn grand’animo son’ esca, e fomento a gli ardori delle sue glorie. Più belli fioriscono i Gigli Franzesi, quanto con fremito più orgoglioso cospirano i venti per abbattergli; furono bagnati per sempre dalla rugiada dell’olio Sacro disceso dal Cielo, e sparsi da gli Angeli sul manto di Clodoneo per tramandarli in tutte le posterità più floridi a’ successori.
<lb/>Sibilauano, e minacciavano i dua fieri Basilischi, tradimento, ed inuidia contro il gloriosissimo Re, accorsero congiunti per seccare co’mortiferi sguardi nel più ferace campo dell’onore il più nobil’ fiore degli Eroi, ma tornarono indarno degl’ empi mostri i velenosi reflessi degl’occhi loro ributtati dal raggiante, ed addamantino specchio delle Regie virtù; caddero micidiali di lor medesimi, caddero traendo palpitanti, disperati singulti di sdegno, e di morte; seruirono abbattuti di Ponte trionfale al
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<lb/>piede augusto per passare al Campidoglio di fortune maggiori. Quell’ardente zelo di richiamare dall’esilio la Religione; quella costante voglia, che rifiorisse in tutto il suo Regno la Fede; quella sospirata ambizione di pietà, e di gloria d’abbattere col suo valore l’eresia, l’inuitarono ad eleggere il primo campo de’ suoi sacri, e gloriosi Trofei il Principato di Bearna.
<lb/>Nel tempo di cinque giorni ridusse a sua diuozione più terre, che quei giorni non aueuano ore, più felice di Timoteo, a cui la fortuna offeriua dentro vna rete tutte le Città bastanti d’appagare i suoi generosi con cetti. Cattolicizò quel paese dal quale per lo spazio di cinquant’anni n’era stato esiliato il Culto diuino. Imitando il famoso Eraclio che recusò d’entrare con pompa reale in Gerusalemme di doue il Saluator del mondo n’era vscito a penosa, e vergognosa morte; rifiutò d’entrare ouante nella Città del Paù, dalla quale il figliuol di Dio era stato cacciato dagl’empj ministri di Caluino, espugnò S. Giouanni d’Angelì, prese
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<lb/>Nerac, Clerac, Bergerac, ritornò a fare acquisto dell’Isola di Rè, dissipò l’armata nauale di Subissa, ridusse all’obbedienza Royan, Tonneus, Maneus, &amp; altre Fortezze del Poytù, Guienna, e Linguadoca soggettò con violenza d’armi Mompolier, s’appagò che lauassero le macchie della lor fellonia, ed il sangue de’suoi soldati diffuso in quell’impresa; i pianti, e le supplicazioni di quei domati ribelli, cangiando le saette in Caduceo, e concedendo loro il perdono. Restaua la Roccella, che sotto Carlo il Sauio s’era già scossa dal giogo degl’Inglesi, e ben conueniua che ella incuruasse il collo al Trionfo, all’Impero di Luigi il Giusto, contro di cui aueua implorata l’assistenza di quella Nazione. Non si poteua più tollerare vna fiera velenosa, ch’infettaua con l’alito tutte le piazze vicine; doueuasi debellare la Babbilonia colma d’ira Diuina, e di vizzj abomineuoli, e rei, bisognaua conuertir’in ricetto d’obbedienza, e di fedeltà la sentina de’miscredenti, e ribelli, ridurre la Sinagoga di Satanasso in albergo del Santo, de’ Santi, il ma l’inueterato non poteua sanarsi
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<lb/>che col ferro, e col fuoco. Gl’aspidi sordi non son capaci d’allettamento d’incanti, è necessario spezzar lor la fronte, perche sotto l’erbe non vccidino col morso. L’esortazioni, e le piaceuolezze riusciuano infruttuose per abbatter vn’Idra maggiore, e con più teste di quella di Lerna, la quale se non si mansuefece all’armonia del canto d’Orfeo, cadde abbattuta a’ colpi del braccio d’Alcide. Trafisse Finee gli adulteri, e placò l’ira del Cielo contro gl’Isdraeliti dal contagio trafitti. A sanar la Francia dalla peste del Caluinismo, a placare Dio per leuar le diuisioni de’ partiti vi voleua la spada del Rè, che trapassasse il cuore a gl’adulteri, più perfidi, e più ostinati della religione. Non ebbe di mestiero Sua Maestà dell’ingegnosa persuasione d’Amfiloco, come Teodosio per proseguir la guerra contro gl’heretici, tutto s’applicò a quest’impresa, nella quale s’accoppiarono lo Scettro Reale, e la verga di Cristo come linee paralelle di religione e di stato, che veniuono a chiudersi, e terminare nel centro della circonferenza di S. Chiesa, mostrando al mondo quanto vadino errati
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<lb/>coloro che scrupoleggiano non poter’vnirsi gl’interessi politici, e di Dio, ilquale parue che prestasse al Re della sua potestà perche dominasse al mare, e mitigasse i moti, e flutti di quello. Macchina più superba, e miracolosa non viddero i Secoli passati, ed i presenti di quella ch’in mezzo all’onde inalzò. Impaziente nel principio tolleraua l’Oceano di vedersi imprigionar’ nel suo Regno, incatenar’ nel suo trono, percuoteuono l’onde con fremiti orgogliosi la saldissima mole, ma frangendosi nella dura resistenza, s’arretrauano spumando la lor confusione, e rigorgogliando più fiere, chiamauano con voce di tuono gli adirati venti a prestar loro impeto, soccorso, e valore; ma doue s’oppone secreta forza di Cielo sono l’onde di vetro, i venti di fumo. Se diede luogo il Giordano al transito di Giosuè per condurlo al trionfo di Ierico, diede al fin luogo, e cedè, per cosi dir’, l’Oceano alla famosa Diga per condurre il Giosuè della Francia a quello della Roccella. Il Ponte di Cesare sul Reno, di Xerse su l’Elesponto,
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<lb/>di Dario sul Bosforo Tracio, la macchina di Macedone sul Canal di Tiro, del Farnese su la Schelda, furono opere celebri, e memorande. Ma che hanno che fare fiumi, e canali angusti, o breui tratti di mare con l’ampiezza dell’Oceano? Trasce se l’artifizio vmano la Diga, e quasi poteuasi chiamare fabbricata da potenza sopra naturale da mano diuina. Come spesso viddero le stelle vegliare l’intere notti il Grand’Eroe nelle marziali fatiche, quanti giorni nel maggior’ ardore del Sole, nel più rigoroso gelo di Borea corse incontro a’ più vicini pericoli, precorse i disegni de’nimici, vidde, antiuidde i loro pensieri, le loro operazioni, domò il loro ardimento, abbattè il lor’ orgoglio. In vece di porpora, e d’oro pregiossi l’Augusto suo petto di vestire il metallo, e l’acciaio; sostenne la Real fronte l’Elmo per diadema; l’inuitia destra rinnouando i secoli andati l’asta per scettto; cangiò il vasto Palazzo in Padiglione angusto; in cibo militare le Regie viuande; in duri arnesi le morbide piume; il Seggio
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<lb/>in sella, il trono in corsiero. Congiunse le virtù d’intrepido, e valoroso campione con quelle di pijssimo Eroe. Il suo valore nasceua dalla sua pietà, egualmente osseruaua le leggi militari, e le Cristiane, diffidaua di se e fidauasi in Dio, conoscendo essere spezie di perfidia solo nelle proprie forze fidarsi, e che sono vsufruttuari d’vn’infinita potenza quelli, che sperano nella Diuina. Il negozio della guerra affrettaua con l’ozio dell’orazione, combatteua con le preghiere, e con l’armi, alzaua come Moisè le mani al Cielo, pregando, stringeua con quelle il ferro, come Giosuè combattendo. Ferire il Cielo co’ preghi, e l’inimico con l’armi è vn’violentare il Cielo a porger sicuri i Trofei. Fulminò, tonò l’aria all’orazioni d’Eliseo, precipitò rouinosa grandine a prò del supplicante Samuel, ambidue de’ Filistei trionfando; orò Giosafat, e disfece vn’esercito intero, vdì pregando l’inuitto Clodoueo le risposte Celesti, e dal Cielo protetto, disperse gli Arianni. Conuocarono le preghiere di Luigi gl’Elementi, che tutti a suo fauore conspirarono,
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<lb/>il mare obbediua alla Diga, ch’a’ Roccellesi negaua l’ingresso d’ogni soccorso, s’ergeua la terra nelle reali circonuallazioni serrando all’intanate fiere l’vscita, e loro negando i suoi frutti. Col ferro, e col fuoco aueua il Marescial di Sciomberg disfatti gl’ Inglesi, rispinta il Signor di Toras la lor’ armata dall’Isola di Rè, il Duca di Guisa riportatone i rostrati trionfi ; era solo il Cielo aperto al gastigo di quegl’empi, perche giusto, serrato alle loro preghiere, perche ingiuste, che più? L’istess’inferno soggetto a’cenni del Cielo inuiò scatenate le Dire, che auuentarono contr’i perfidi ribelli il pallore, l’infermità, la fame, la sete, i pianti, i lamenti, i sospiri, la disperazione, la morte. Cederono, e caddero al fine i peruersi Amalaciti, e loro ingloriosi cadaueri non giacquero insepolti sù le sponde del fonte d’Endor, o’ del torrente Cisson, ma sù la riua dell Oceano strascinati dalle fiere, lacerati da gli Auuoltori, seruirono
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<lb/>di vilissimo letame per fecondar maggiormente le Campagne della Santongia, perche più belli vi germogliassero i gigli, più sublimi gl’Allori della Francia. Caddero, e quasi Etiopi debellati s’inchinarono a trionfi, s’humiliarono baciando quel Suolo, che col piè vittorioso premeua Luigi il Giusto, col piede assuefatt’a camminar sopra gl’aspidi, a calpestare i Leoni, e Dragoni. Caddero, e tardi conobbero infelici, che il lor nuouo Balaam non era il Diuino Elifeo, nè la Generosa Iuditta la lor nouella Iezabel, persuadeua questa à perder la Patria con la vita; e per vltimo à ridur tutt’in cenere, richiamando l’esempio della rinomata Numanzia; predicaua quegli ch’il Digiuno forzato doueua conuertirsi in volontario per placar l’ira Diuina; ma la Franzese Babbilonia era dall’Alto riserbata intera alle palme del Franzese Alessandro ; ella non godeua i diuini priuilegi di Betulia, e Samaria, quell’astinenze, e preghiere non simboleggiauano co’ voti, e digiuni della pentita Niniue. Vantisi pur’à sua posta
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<lb/>Duillio di auer’egli il primo veduto nel suo trionfo Nauale superba colonna inalzarsi, che il Gran Luigi la collocò della sua potenza, e fortuna sù le sponde Marine, com’il primo Domatore dell’armate, e dell’onde, emula di quella Egiziaca, che con caratteri d’oro la libertà delle Prouincie all’arriuo de’ fasci Romani prediceua. Conobbero i debellati Roccellesi i sereni auguri di libertà felice nella clemenza, ed vmiltà del Rè. O quanti sentendosi toccare il cuore da Dio non meno s’inchinarono a chieder venia al Rè che a Dio, scorgendo che la maggior vittoria è il rimaner vinto, doue la perdita è l’acquisto della Religione, doue si deue obbedire alle Leggi di giustissimo Monarca. Portaua Sua Maestà Oliui di vittoria, e di perdono, quegli gli spargeuano, e li porgeuano di sommessione, e di preghi, come i Locrensi a’Romani, i Cartaginesi a Scipione. Nella Valle Madianitica nella notte più intempestiua fù veduto lo stocco di Gedeone simboleggiato da vn Pane, che poscia in
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<lb/>ferro cambiossi ministro di stragi, e ruine. Cangiò il Rè il suo in pane, souuenendo liberale, e pietoso a quei miseri, che già spirauano l’anima disperata, e digiuna nelle fauci d’Inferno, e di Morte. Finalmente restituì a Dio le Chiese, alle Chiese gli Altari, a gli Altari i Sacrifizi a’Sacrifizi la Religione, alla Religione l’ossequio, all’ossequio la Francia, alla Francia l’antico splendore, all’antico splendore la pienezza dell’autorità, e l’autorità costituì piena di potenza, di virtù, di stima, e di souranità. In troppo angusto campo si sarebbero racchiuse le sue glorie se questa fosse stata l’vltim’Olimpica delle sue marziali ghirlande. Aurebbe introdotto vergogna, ed aggrauio nel suo Reame, sfrondati i fiori della Corona, oscurati i raggi della Maestà, se auesse mancato del suo aiuto, e della sua protezione al Duca di Mantoua, circondato da formidabili armate, e ridotto in durissime angustie. Il riposo che permesse alle sue armi, fù la celerità di farle marciare verso i monti per schierarle in Italia, ne lo
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<lb/>spauentarono l’inclemenza dell’aria, la strettezza de’ passi, le truppe armate, che gli guardauano, 
<lb/>corse impauido a verificar nella sua persona il detto d’Arrigo il Grande, ch’egli, e’ suoi successori si sarebbero sempre spalancata la porta dell’Italia con la punta della spada. Al solo popolo d’Isdrael fù per facilità del suo passaggio permesso di veder volontari spezzarsi, ed adeguarsi al piano i massi più alti, e scoscesi dell’Arnon, e delle loro rouine i fabbricare funesti tumuli alle falangi d’Egitto, ch’insidiose fra quegl’antri ascondeuansi per darlo in preda alla morte. Non vidde Sua Maestà altro miracolo, che nel suo, e nel valor de’ suoi. Non v’era di mestiero de’ Pirofori, ch’agitassero correndo le faci nell’esercito per accender i soldati alla battaglia. Ne’ cuori Franzesi è forse più opportuno reprimere l’ardire, e l’ardore, che spronarlo, ed accenderlo. Non pugnò com’Anibale con macigni inanimati, ne come il famosissimo Re Francesco Primo trouò il solo intoppo nelle vie impraticabili dell’Alpi,
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<lb/>egli le valicò ad onta dell’inaccessibile, dell’orrore, e rigore delle neui, e del gelo Sbaragliò ostinato incontro di brauissime schiere, e di trincierato sentiero, inalborò i vittoriosi stendardi a Susa, contentandosi di arrestarui la carriera del suo trionfo. Non venne per armar di strali la Discordia, ma per saettarla. Non comparuero i suoi Gigli inaffiati, o tinti del latte di Giunone come aspiranti a nuou’ imperi; brillaua nelle lor foglie di celeste miniatura l’Iride varieggiata come Paraninfa di Pace. Fù suo scopo di piantare gli vliui pacifici sù l’argine d’Italia per coronarla di tranquillità. Il suono, il tuono della sua Tromba fù considerato come precursore del fulmine della sua spada. Al grido de’ suoi trofei ogni difficultà si ricouerò nell’Asilio dell’ageuolezza. Al ruggito del Leone le fiere più formidabili si rinseluano, Non inondò le campagne di sangue, come Dauid feroce soccorritore di Ceila; liberò senza strage Casale, acquietò gli animi, accomodò
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<lb/>i disordini, rappattumò le volontà, accordò le differenze, stabilì patti, e condizioni di concordia, e quiete. La sua, improuisa venuta, che cagionò stupore, e terrore, risultò in reuerenza, e contento de’ Principi, assicurati, ch’egli d’altro nome non si gloriaua, ne conduceua altro oggetto, che di liberatore, ed amico, non di vsurpatore, e nimico. L’auer dunque preso la Roccella, sforzato il passo di Susa, superato ciò ch’era difeso dal Mare, e coperto dalle Montagne, gli rappresentaua
<lb/>ogni impossibilità possibile, ogni difficultà superabile. Elesse diuinamente il preualersi della congiuntura di abbattere, di rouinare da’fondamenti il partito de gli Vgo notti. Non differi la spedizione in Linguadoca contro di loro più vtile, e di più alta consequenza, che l’occuparsi in Italia doue non vi voleua, che la Pace.
<lb/>Assali dunque con tanta felicità i ribelli, che vinti, e confusi viddero in meno di due mesi le for piazze espugnate, o rese, Montalbano
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<lb/>lor vltimo ricetto soggiogato, annichilate le lor’ armi, costretta la lor pertinacia di vmiliarsi alla potenza, e clemenza Reale. Ma le prosperità più camminano incontro a gl’infortuni, allora che corrono più veloci. Sono conforti del Cielo i trauagli della Terra. Quel fosso dell’infirmità, oue precipita la salute è il sepolcro delle vanità mondane, è la trinciera della cognizione di se medesimo per ricorrer’ a Dio contro gli assalti del Demonio. Volle il Dator della Vita raffinare S.M. nella perfezione con mostrargli in faccia la morte. Fù sourapreso da fierissimo malore in Lione, ma nelle forze corporali abbattute, ripigliaua quelle dell’animo più gagliarde, con rimettersi tutto nelle braccia della Diuina Volontà. La medicina dell’Anima antepose omninamente a quella del corpo, come salutare al corpo, ed all’anima. Il Re Asa tutto ne’rimedi vmani confidando, terminò miseramente la vita. Coltiuò con man’inferma le palme, e gli vliui, auendo la sua formidabil armata sotto li Marescialli di Sciomberg, 
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<lb/>della Forza, e di Marillac espugnato gl’incommodi d’vn lungo, e difficil sentiero, sprezzata la terribilità della morte, che nel contagio faceua in Piemonte orribilissima strage, condotte le squadre animose, infaticabili a fronte della nimica per soccorrere la seconda volta Casale, ma con modo amicheuole, per l’intrepidezza, desterità, e valore del Cardinal MAZARINI, ne successe il desiderat’effetto indiuiso dalla recuperata salute del Re. Taccio l’auer poscia restituita la libertà a’Grigioni, conclusa la pace con l’Inghilterra, aperto il varco all’armate Franzesi in Italia con stabilirsi Possessore di Pinarolo, veduto il Duca di Mantoua da lui protetto, e difeso nello stato rimesso, e di quello dalla Cesarea Maestà rinuestito. Tralascio l’imprese fatte, le vittorie ottenute da’ suoi gloriossimi Generali, in Mare, in Fiandra, in Spagna, in Germania, in Italia, e sopratutte le benedizioni, e le grazie, che la Sourana Bontà copiosamente gli compartì, ammiro annouero dopo l’aspettazione di ventitreanni, 
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<lb/>quella della successione della stirpe. Era volontà di chi il tutto regge, che prima fusse affatto Cristianissima, ed vbbidiente la Francia, e poi nascesse l’erede della Corona per possederla incontaminata. Quando erano ridotti all’estremo i desiderj del Re, e della Regina, cresciuti nella priuazione a dismisura, all’eccesso delle lor brame, diede Dio quello delle sue grazie col nascimento del Regio Delfino. Non poteua la Diuina Giustizia rimunerare con meno, che con vna marauiglia celeste il merito della continenza de’Genitori. Da sì bella prerogatiua germogliano i miracoli. Leuarono le candide piume della continenza Isaia nell’alto a contemplare la Superna Maestà assisa soura eccelso, e lucidissimo Trono, Moisè spezzò la pietra, mutò l’aria, parlò spesso con Dio, Abramo fù eletto Padre delle Genti, e della Chiesa. Chi contrae, e conserua il Matrimonio tra’ fonti della Pudicizia, non tra le fiamme della Concupiscenza si può chiamare il suo Albergo vn domestico Tempio, la continenza Matrimoniale
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<lb/>è ottima procreatice de’ figliuoli, e felicità de’ Maritati. L’eredità degl’incontinenti è la Morte, Her, &amp; Onam successiuamente mariti di Thamar ne manifestano l’esempio. Contro gl’intemperanti hà il Demonio assoluta potestà, Sara figliuola di Raguel vide l’vn dopo l’altro di sette suoi Mariti carnesice il Diauolo, la quale poscia felice, &amp; auuenturosa Consorte del buon Tobia conseguì da Dio, come nel seme d’Abramo, le benedizioni de’ figliuoli. Le versò tutt’il Cielo sopra il nato Eroe della Francia, perche superi il merito di tutti i suoi Antepassati? e chi sà; perche si adempisca nella Regia sua persona vn giorno l’alta Profezia, che vn Re gloriosissimo di Francia deua tornare a piantare i Gigli Reali nel lor primiero terreno sù la riua della Palude Meotide, ne’campi dell’incenerita Troia, ne’ vasti Regni dell’Asia, e seminargli in pompa trionfale per le vie di Gerosolima, collocarli in dì solenne di memoranda vittoria sul Tumulo Sacratissimo del Redentore, tesserne alle sue chiome il Serto Monarchico
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<lb/>dell’Imperio dell’Oriente, intrecciato di Palme, d’Idume, illuminato delle più chiare gioie de’Lidi, dell’Aurora, e del Gange.
<lb/>A questa salda colonna eretta sù la porta del Tempio della Religione aggiunse poi il Fabbricator del tutto l’altra, vscendo alla luce il Real Duca d’Angiò, perche sieno emule di quelle due famose di bronzo, coronate di Gigli, sù l’entrata del superbissimo Tempio di Salomone inalzate, sacri Ieroglifici di fortezza, e valore. L’acquisto di tanto Tesoro, non lo riconoscendo per altro il Re, che per eccesso di profusa liberalità del Cielo, ne volle all’Imperatrice di quello, alla Purissima Madre di Dio farne solennissima oblazione, e voto come di se stesso, della Regina, del Reame, e de’ Popoli; poiche chi ricorre a quell’abisso di grazie non può abissar nel pelago delle tempeste mortali. Ma non voglio ch’errore di dimenticanza mi faccia passar con silenzio, che mai non giunse Sua Maestà personalmente a considerare, e riguardare
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<lb/>piazza veruna quantunque inespugnabile per espugnarla, che non la vedesse alfin cedere alle sue forze, sottomettersi alle sue condizioni. Dicanlo le tante di sopra accennate nella Francia, dicanlo Edino, Nansì, Collibri, e Perpignano. Portaua forse quella celeste Magia nel fulgor dell’aspetto con la quale Gionata i Filistei abbatteua, o pure gli permise il Cielo la grazia dichiarata a Moisè, a Giosuè, che soggiogherebbero qualunque nimico terreno fusse dal lor piè calpestato. Aggiungo, che gli riuscì non meno in parità dell’autorità, ed efficacia degli offizj espugnare la voglia degli armati Regi, che le piazze con la virtù dell’aspetto, e dell’armi. Per mezzo del Duca d’Angolem, de’ Signori di Bettunes, e di Castel Nuouo da lui per solo zelo dell’altrui quiete a posta inuiati, acquietò i romori di Germania, e d’Vngheria, rappacificando Cesare, e’l Transiluano. Se geloso dell’aggrandimento de’vicini, della lor potenza, della saluezza, e difesa dell’Elettor di Treueri, e d’altri Confederati, 
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<lb/>ed amici, diede col fiato d’Austro Guerriero moto, e spirito al nembo procelloso del Settentrione a Gustauo Adolfo Re di Suezia; non lasciò però co’ sereni zeffiri, con l’aure placide delle sue zelanti richieste di rasserenarlo in parte, e fermarlo a non scaricare sopra le Città, e Terre Cattoliche le procelle de’ sacrilegi, de’ profanamenti, degli stupri, de’ sacchi, degl’incendi, e delle rapine. Lo stesso Barbaro Ottomanno implacabile nimico del Cristianesimo alla sua intercessione frenò l’ira, e’l furore, che minacciaua contr’antico, grande, potente, e conspicuo Potentato Italiano. La sua pietà, la sua fortuna, la sua giustizia, il suo valore inuitò, incitò Popoli per antica emulazione, per dissimiglianza di costumi, per differenza di Clima, e di Lingua contrarj alla Francia, a variar pensiero, e chiamarlo chi per Signore, e Sostegno, chi per Direttore, ed Amico. Finalmente bisogna confessare che l’antica Monarchia Franzese più fiorisce, quanto più cammina co’secoli. Ma non poteua soggiacere di vantaggio il gran
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<lb/>Luigi alla mortalita, già fatto immortale, più per le proprie virtù, per la reputazione di tanti acquisti, per la sublimità di tante, fortune, che per la dignità Reale. Pareua in vn certo modo, che se tante volte aueua trionfato, altro non gli restasse, che di trionfare delle vanità, e della morte. Circondato da penosa infermità, trouò nelle spine degli affanni, come il Re Lodouico il Grasso suo antepassato le rose del vero conforto, e della fiducia in Dio, effetto proprio nel vicino passaggio all’altra vita de’ Giusti. Somma felicità è morire nel colmo delle felicità, ne breui sono i giorni di colui, che viuendo tant’ammirabili azioni abbia operato, quante appena altri grandissimi Eroi, che vissero fino all’vltima decrepità con tacita meditazione, sospirarono impossibili. Non mi diffonderò in raccontare con qual fermezza d’animo, con qual ilarità di volto si preparasse a non pauentare il terribile di tutti i terribili. Disse, mirando per vn’aperta finestra la Chiesa di San Dionigi, ecco la mia vltima abitazione, doue
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<lb/>m’accingo di andare allegramente. Apre lieto la porta alla tremenda chiamata del Sommo Giudice, chi dalla speranza della misericordia Diuina, dall’opere buone è fatto del premio eterno sicuro; trema, e ripugna di comparire a quel giudizio rigoroso inappellabile, e giusto chi a se medesimo è consapeuole di esser per le sue colpe reo di gastigo, e di morte. Nel cammino della sua salute aspirò di esser guida a quelli, che vitra uiauano lontani per portare alla D. M. le vittime di due cuori riconciliati con lei. E sortò due celebri Personaggi, altissimi per sangue, e valore, Settatori de’ Dogmi di Caluino a farsi Cattolici, dicendo loro, che Dio gli aueua preseruati lungo tempo in vita, perche riconoscessero il loro errore. Angustiata l’anima sua dalla dimora di sgrauarsi del peso mortale, vsciuano spesso dalla regia bocca queste diuote parole, Tædet aniniam meam vitæ meæ. O consolazione ineffabile de’buoni che bramano quanto prima sciorsi dal Mondo, ed esser con Cristo. Affermaua non si curar più di viuere se non
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<lb/>era per far penitenza, ed esercitar più efattamente la Pietà, e la Giustizia, e procurar sopra tutto la Pace, la quale se Dio non gli auesse conceduta viuendo, la sua anima si sarebbe prostrata dauanti a lui per impetrarla dalla sua misericordia. Egli aueua come Metello adempito i voti di vna gloriosa Guerra, aspiraua prima del morire, come Traiano di adempire quelli di vna gloriosa Pace. Quanti diuoti reflessi, quante pie meditazioni considerò sopra la caducità mortale! Ebbe a dire al Duca d’Angolem, che l’esser Re non esentaua dall’infermità, e dalla morte, ed al Signor di Liencurt, mostrandoli le braccia, stenuate, quelle parole da recitarsi ogn’ora: Memento homo, 
<lb/>quia cinis es, &amp; in cinerem reuerteris. Procurò di consolare l’amata; e dolente Regina, e i due magnanimi, e valorosi Eroi il Duca d’Orliens suo fratello, il Principe di Condè de Reali di Francia, esortandoli di conseruare vera concordia, e diligente custodia de’suoi amorosissimi, e piccoli figliuoli, e del regno.
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<lb/>Fece tenere al Sacro Fonte dalla Principessa di Condè, e dal Cardinal MAZARINI il Delfino, chiamandolo LVIGI, volendo col nome lasciarli il simolacro della fortuna fabbricato d’oro diuino immortale delle altissime virtù Paterne, altro che quello di materiale, che i Cesari antichi, e superstiziosi nella più addobbata, e remota camera del Palazzo lasciauano per eredità a’successori. Terminata la Sacramental Confessione per riceuere il Santissimo Viatico, ottenuta dal Padre Dinet Giesuita suo Confessoro l’assoluzione, proruppe, alzando gli occhi al Cielo, in questo festoso versetto del Salmista. Lætatus sum in his quæ dicta sunt mihi in Domo Domini ibimus. Quindi per mano del Vescouo di Meaux primo Elemosiniero riceuè il Pane del Paradiso, e com’era suo costume, ferrò diuoramente gli occhi nel prenderlo, trasse sospiri di fuoco, spirò accenti di pentimento, e non potendo a terra prostrarsi, il meglio che possibile gli fù sul letto inchinossi, imitando i Cherubini, che si velauano la faccia
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<lb/>con l’ali alla presenza dell’Arca di Dio, o pure gli Angeli, che assistendo alla Sacratissima Eucarestia abbagliati da quella luce con reuerente orrore non ardiscono liberamente di fissaru’i lumi. Approssimandosi l’ora del suo passaggio, auualorato da tutti i Sacramenti della Chiesa, nelle preghiere per la sua anima rispose diuotamente a’ Vescoui di Lizieux, e di Meaux, ed al Sig. di Vantador, e fissando immobilmente gli occhi specchio della fermezza dell’animo nel Crocifisso, accostateselo al petto con le braccia in croce, (come già alla sua morte il Cristianissimo Re Lodouico Quinto) rimirando il Costato del Saluatore sicuro varco per incamminarsi al Cielo, con segni d’infinita contrizione, di costanza, e di generosità, rese lo spirito fortunato al Creatore. Così cadde il Sole de gli Eroi, delle virtù, e della Francia nell’Oceano di morte estinto, Luigi il Pio, l’Inuitto, il Felice, il Giusto; quel Sole i di cui splendori illuminauano tutto l’ambito dell’Vniuerso, che non poteuano sostenere di mirare gli
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<lb/>emuli della sua potenza, gl’inuidi della sua fortuna, cadde seco il pregio della pietà, il sostegno della Giustizia, la gloria del valore, la marauiglia della felicità. Ma ritornate a rimprigionarui nel mio seno lamenteuoli querele, errando dissi, esser questo lucidissimo Sole caduto estinto, fù peccato della penna, e non del cuore, o pure del cuore che ancora da sospiri agitato vacilla. Egli non soura carro mortale, come l’ambizioso Augusto nella vana pompa d’vn suo trionfo per le contrade Romane cinto di Diadema, fabbricata a guisa di Sole, ma soura Nuuola d’oro della mortalità trionfante, per l’aeree vie la fronte de suoi chiarissimi meriti in ghirlandata all’aurea Porta del Paradiso da lieta schiera de’ suoi gloriosi Antenati raccolto, giunse a godere le fiamme eterne del Diuino Amore mosse dall’aure dell’ali Beate de Serafini, ed ad inchinarsi a’piedi del Sommo Sole di Stelle, e di Sole ingemmati, oue oggi riuerente, e felice quell’incomprensibile Bellezza adorando, e contemplando, che lingua vmana
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<lb/>non può ridire, intelletto non può capire, da quei lumi sereni irraggiato al pari del Sole risplende. Prima tra l’vmane vicissitudini dal peso mortale aggrauato nella sua Eclittica stancauasi, ora soura gli empirei Scanni serba la bellezza, la fermezza, e’l lume per tutta l’eternità felici, immutabili. Da quelle Beate Gerarchie alla considerazione della sua felicità, al desiderio de’ suoi pregi immortali l’Augustissima Regina, i Figliuoli, il Real Sangue, i Popoli dolcemente inuita, e chiama. Influisce con le benedizioni del Paradiso i veraci sentimenti di richiamare l’esiliata Pace, che dalla Francia attende di riassumere le perdute grandezze, già vicina non trouando altro scampo di ricouerarsi profuga, e raminga sotto l’altro Polo a gli Antipodi. Non furono tra le pompe del Regio funerale, come costumò la pazza Gentilità gl’inumani spettacoli degli efferati Gladiatori, ma la famosa battaglia di Roccroi, la fierissima oppugnazione, e resa di Tuenuille opere gloriose negli anni acerbi del maturo senno, e dell’inuitta
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<lb/>destra del Duca d’Amghien inclito germe della Real Prosapia di Borbone, imitatore valoroso del Padre, e degli Aui. Concludo, che se nella morte del gran Profeta Giacob piansero le Prouincie barbare, e le straniere, a quella del gran Luigi hà tutto il mondo lagrimato, che chi per pietà non hà pianto, hà sparso per le sue miracolose azioni lagrime di superbissima inuidia.
<lb/>IL FINE. 
<lb/>Il Sig. Canonico Bonsi si compiaccia di vedere se nel presente Panegirico si contenga cosa che repugni allo stamparlo, e riferisca appresso. Dat. il dì 12. Gen 1643.
<lb/>Vincenzi Rabatta Vic. Gen.
<lb/>La penna del Sig. Abbate Niccolò Strozzi destinata alle Lodi de Grandi hà saputo così bene accoppiare le Sacre con le Profane erudizioni, per descriuere la vita di vn Re perfectissimo, qual fù Luigi il Giusto, che non ammette censura; anzi perche può dare occasione di esercitarsi con sì glorioso esempio nella pietà cristiana, e ne buoni costumi a chi leggerà la presente opera, stimo che la medesima sia degna delle stampe.
<lb/>Lelio Bonsi Can. Fior.
<lb/>Attesa la presente relazione, si stampi il Panegirico, osseruati li soliti ordini. Dato il dì 14. Gen. 1643.
<lb/>Vincenzio Rabanta Vic. Gen.
<lb/>Si può stampare in Fiorenza li 14. Gennaio 1644.
<lb/>F. Iacomo de Castigl. Fior. Canc. del S. Off. per commessione del P. Reuerendissimo Inquisit. Gen.
<lb/>Alessandro Vestori Senatore Audit. di S.A.S.
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Delle lodi di Luigi XIII re di Francia e di Navarra, il Pio, l'Invitto, il Felice, il Giusto. Panegirico recitato in Firenze. All'Em. e Rev. Card. Mazzarrino. Strozzi, Niccolò Florence Massi, Amador; Landi, Lorenzo 1643

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Delle lodi di Luigi Decimoterzo Re di Francia, e di Navarra il Pio l'Invitto il Felice il Giusto. Panegirico. Dell'Abbate Niccolò Strozzi Canonico Fiorentino, Consigliere, & Elemosiniero della Maestà Cristianissima. All'Emin.mo et Rev.mo Sig. Card. Mazzarrini. In Fiorenza, nella Stamperia Nuova di Amador Massi, e Lorenzo Landi. Con Licenza de' SS. Superiori.
1643
DELLE LODI DI LVIGI DECIMOTERZO RE DI FRANCIA, E DI NAVARRA IL PIO L’INVITTO IL FELICE IL GIVSTO. PANEGIRICO. DELL’ABBATE NICCOLÒ STROZZI Canonico Fiorentino, Consigliero, & Elemosiniero della Maestà Cristianissima. ALL’ EMINENTISSIMO. ET REVERENDISSIMO. SIG. CARD. MAZARINI In Fiorenza, nella Stamperia Nuoua di Amador Massi, e Lorenzo Landi. Con Licenza de’ SS. Superiori. EMINENTISSIMO, E REVERENDISSIMO SIGNORE SV la riua dell’interminato Mare de’ pregi innumerabili del Gran Luigi d’immortale, e gloriosa memoria, hò raccolto (Eminentissimo Sig.) fra l’infinite, questa picciola Conchiglia delle sue Lodi, che nelle sterili arene delle inculte mie Carre già moribonda languisce, se dalla ruginda del suo patrocinio, e fauore non riceve e spirito, e vita. AV. Eminenza dunque la consacro, perche viua sott’il Cielo della sua autorità, e protezione, a V. Eminenza, che fù parte del Cuore di tanto Monarca, e tanto a parte de’ suoi profondi arcani, de’ suoi generosi consigli, ed oggi la vede il Mondo non meno un de’ Cardini della Chiesa, che della Francia, egualmente nella sua porpora folgorando gl’ardori di quella, gli splendori di questa. M’assicuro, che protetto da V. Eminenza saranno seco le lor Maestà per gradire quant’ hà potuto porgere d’humiltà deuota pouerissimo Altare, e qui reuerentemente le bacìo la Veste, mi pregio, e professo di viuere ogni giorno più. Di V. Eminenza Reverendissimo Humilissimo Oblig. Serenisimo e Fed.mo A Firenze il dì 31. di Gennaio 1643. ab Inc. Niccolò Strozzi. LE lagrime figliuole primogenite del Cuore, primizie de gli affanni, indiuisibili compagne dalla cuna all’auello dell’umana infelicità, aspirano di fabbricare, non di marmo, d’argento, e d’oro, ma di loro medesime fabbricatrici, e materia Obelisco pomposo di cordoglio, e d’onore al mortale, immortale del Gran Luigi. Imperfetta s’ergerebbe la superba struttura, se non vi concorressero a gara con l’Eternità, e con la Fama a scolpirui il glorioso nome, ad inalzarui il diuino simulacro, a collocarui memorie onorarie, e sepulcrali della pietà, della giustizia, della fortuna, del valore di tanto Monarca le lingue, le penne più celebri, e più chiare dell’vniuerso. Ma infallibile reflesso di ponderato discorso m’addita, che se tutti gli occhi della Terra lagrimassero, non sarebbero valeuoli appena di gettarne i fondamenti, se però non piangessero quelli del Cielo, ch’altro non sanno, ne ponno versare che rugiade di consolazione, e di gioia. Non lascerti però d’allargare il freno a’ miei pianti, richiesto tributo nella morte de giusti, per la perdita del pubblico bene, se non sapesse, che a dispetto della morte, viuono, e viuono beati, che il felicissimo Rè, morendo, hà lasciato Madre, e Reggente d’vn’altro Luigi, vn’altra Bianca, se non di nome, di nazione, di senno, di zelo, di valore, quale l’auuenturosa Genitrice di Luigi il Santo, perche dell’Augustissima stirpe d’Austria, perche Regina di Francia. Distilli pure in copia il Simulacro d’Orfeo penose gocciole d’affanno al fisso, e riuerente sguardo del Gran Macedone, predicano pure gl’Egizi Indouini per sì fatto portento; che tutti gl’ingegni del mondo si sarebbero in darno stancati scriuendo, e celebrando l’immensità de’ suoi pregi, che di pari con questi vanno quelli di Luigi il Giusto; vane perciò saranno tutte le fatiche di chi prouerà di colmarne i volumi, di chi pensarà con fiume d’aurea eloquenza, porgere tributi al mare delle sue immortali azioni, che sarebbe appena l’abbozatura de primi lauori. Non v’è chi possa dipingere nella propria bellezza il Cielo s’il Cielo non dipinge se stesso con l’oltramarino de’ suoi Zaffiri, con l’oro de’ suoi Luminari. A gl’Angeli si può credere sia riserbato il narrare dell’anima fortunata gl’encomi, e di pronunziarne l’opere ammirabili al Firmamento. Fra queste impossibilità asciugando per quanto m’è possibile il pianto, asciugherei parimente l’inchiostro, e con l’attonita mente fermerei la mano, abbandonerei la penna, riuerirei col silenzio le Diuine prerogatiue, che di scriuere mi son proposto, se non m’affidassi, che se l’inuittissimo Eroe viuendo, non sdegnò di gradire con fronte augusta l’oblazione del mio profondissimo, ed ereditario ossequio, e della mia costantissima fede, sia oggi dalle sourane Gerarchie per dilettarsi, e gradire, che nuouo Abel col cuore gli consacri olocausto immaculato di lodi. Misteriosi prodigi, prodigiosi misteri accompagnarono il suo Real nascimento. Sopra l’altare chiamato de’ pij impolluto di sangue, già s’offeriuano le vittime ad Apolline genitore, se nasceuano i Grandi; Allora che egli nacque lieto l’accolse prima della Cuna nel grembo la Pace, che dopo fiere stragi, e ruine respiraua consolata al trono d’Arrigo il Grande, l’abbracciò la Religione, preuedendo di respirare al trono di Luigi il Giusto. Balenarono i primi lampi del suo Religioso valore, quando appena nato, alzò tre volte le tenere pupille al Cielo, quando rise com’Ettore mirando il suo Padre, e se porse la mano infantile Carlo Sesto suo Predeceassore al morione dal Genitor’offertoli, egli la distese sopra lo sguainato brando, che il Magnanimo Arrigo gli appresentò, consacrando l’armi, e’l figliuolo al grande Dio de gli eserciti. Parue, per così dire, che il Cristianissimo Bambino giurasse in quel punto di voler conseruarsi vero primogenito, e braccio della Chiesa, che implorasse il Diuino aiuto a fauoreggiarlo contro gl’inimici della Fede, e del Regno; e ben poi s’è veduto, che s’vnirono ad accompagnare la regia spada tutte le grazie, e benedizioni di quella, che l’alto Profeta Geremia consegnò in visione dal Cielo al valoroso Maccabeo. Apparue al mondo quest’incomparabil Principe all’entrar d’vn secolo come prima marauiglia di quello, e de futuri, sotto il segno della Bilancia, Oroscopo sempre di fauoreuole augurio nella nascita degl’Eroi, sempre influente giustizia, e pietà. I primi accenti, che scaturissero ben’articolati dalla sua bocca, s’vdirono risonare Giesù. O stupore d’infante Diuoto? come dopo sciolto da teneri vagiti apprese per tempo parlatore religioso a sciogliere le parole nell’armonia di quel Santissimo Nome, a cui riuerente si genuflettono il Cielo, la Terra, e l’Abisso come s’ingegnò di render tributari la lingua, e’l cuore all’altissima, ed increata Sapienza, per la quale regnano i Regi, ed i Legislatori decretano il giusto. Quest’alti, e profondi principij di sentimenti pij, e diuoti, e li spiriti viuaci del Real Pargoletto conspirarono di stabilirlo sopr’ il maggior trono della felicità, e della gloria inuittissimo Eroe, Rè veramente Cristianissimo, vincitor di se stesso, trionfator degi’emuli, debellator de’nimici, difensor degl’amici, solleuator degl’oppressi, conculcator de’ ribelli, gastigator de’ maluagi, premiator de’buoni. La notte precedente al giorno del suo Real Battesimo furono veduti volare per i campi dell’aria accesi vapori di portentose meteore, quasi che il ciel volesse spiegar’ a caratteri di luce con penne di fuoco i vaticini altissimi del pietoso, & ardente zelo di tanto Eroe, che quelle fiamme a chi douessero esser luce d’allegrezza, e di pace, a chi calore di salute, e di vita, a chi ardore di desolazione, e di morte, ch’egli haurebbe trionfato col fuoco del fuoco, contraponendo il suo d’amor diuino a quello de’sensuali appetiti, ed in fine che quei lampi erano i chiarori d’vn Sole, che spuntaua nell’Oriente. Vestito del valore del Padre camminaua quasi con passi di Gigante di pari col Padre a gradi d’ogni virtù. Ascanio seguitaua Enea, ma col piè puerile, non pareggiaua a gran via il cammino paterno. Il palazzo Regio non era per lui sentina di delizie, ma officina d’armi, oue nelle dure fatiche faceualo il Genitor affannare. Souente a se comandaua di venir’ i piccoli figliuoli de’primi offiziali delle guardie Suizzere, in due schiere compartendogli, che d’vna egli si poneua nella fronte come Condottiero, e dell’altra creaua per capo il più spiritoso, il più a lui caro di quelli in finte, e bizzarre Zuffe esercitandosi. Soleua dir loro, allegramente miei soldati, sarete vna volta tutti miei Colonelli; così Ciro appresso l’Auo Astiage educandosi co’ fanciulli de’ Medi ne’ giuochi militari stancauasi. Quelli spiriti Marziali alimenti del suo valore sarebbero stati flutti di Mare incostante che passano, e più non sono, se non auessero auuto per salda pietra angolare, e fondamentale quelli d’vna religiosa pietà verso Dio. In vece de’ fanciulleschi trastulli spendeua souente l’ore nel Real Oratorio in adornar immagini, in arricchir’Altari, imitatore del Gran Macedone, che piccolo fanciullo infioraua le Vittime, e spargeua a piene mani ne’sacrifizi gl’incensi, o pure emulatore di Samuel, che tenero d’anni nel ministero del Tabernacolo con somma vigilanza adattauasi. Lungo tratto vn giorno in orazione dimorando fu auuertito che si sarebbe stancato, egli piamente rispose, che Luigi il Santo, del quale pregiauasi di portare il nome, e la Corona, e di calpestare l’orme Diuine, orando non si stancaua, ma s’auualoraua. Se qualche difficultà, come fanciullo interpose d’amministrare vn Giouedì Santo la funzione della lauanda in vece del Rè suo Padre da indisposizione impedito, punto, e compunto dalle pie, e sensate parole del Signor di Subrè suo Gouernatore con tanta vmiltà, e decoro, con sì copiosa effusione di lagrime in quel sacro Ministerio adoprossi, che ben le trasse di tenerezza, e di compunzione da gli occhi di tutti i circostanti, e poscia per tutta sua vita con sentimenti di diuozione, e contrizione sì grande in quest’opera sacra s’esercito, che non voglio affermare, ma credere si studiasse d’esser vero imitatore, e successore del buon Rè Ruberto, al quale in quel giorno, in quell’azione copriuano le Reali carni, in cambio di morbido lino, pungenti setole di mal tessuto Cilizio. Alla riuerenza, e pietà verso il Cielo accoppiò l’osseruanza verso i Parenti, guida infallibile alle più eleuate cime della felicità. Giacob ossequioso alla Madre, acquistò dal Padre la Primogenitura, e la pienezza delle benedizioni. Gioseffo sempre osseruante de’ precetti Paterni trouò per suo vanto mutarsi la seruitù in impero, in trono i ceppi, la carcere in regio tetto, la schiauina in porpora, i caratteri seruili in Thiàra, in lodi l’accuse, la disgrazia in fauore, l’inuidia de fratelli in sommessione, e del vecchio Padre il timore, e l’affanno in sicurezza, e conforto. Insegnò l’Angelico genio al pijssimo Luigi, che l’obbedire a’ genitori si caua dalla bocca del benedetto Cristo, che disse esser venuto in terra, non per far la volontà sua, ma quella del Padre. Inebriato di questi santi dettami soggettauasi il Real giouanetto all’ossequio, al rispetto, all’obbedienza douuta a parenti, che lo mirauano, ed ammirauano come di loro braccio, e fortezza, onore, e vita, ornamento, e tesoro. Conosceuano nel tenero germoglio già ripullulare, epilogate tutte le virtù eroiche, e cristiane de’ primi antepassati Monarchi della Francia, scorgeuano concorrere a gara tutte le perfezioni in lui per formar l’Idea d’vn Re Pio, d’vn Re inuitto, d’vn Re felice, d’vn Re Giusto. Ma quel colpo diabolico, e fatale, quel ferro esecrando, e detestabile temprato, ardirò di dire, dallo stesso orrendo spirito del tradimento col pianto dell’anime più disperate, col veleno delle Ceraste più orri bili dell’abisso, alla fucina più ardente di Lucifero, quel ferro vibrato dal braccio proditore d’vna furia vmanata infernale, sempre di funesta, e d’infausta memoria alla Francia, che a lei tolse il Grande Arrigo il suo Re, tolse parimente a Luigi il suo gran Padre, il quale di noue anni lasciollo nel comune dolore del Regno, come delizia, e giocondità della Genitrice, conforto, e speranza de’ Popoli, pregio sommo, esourano degli Eroi. Il senno senile, lo spirito eleuato, e grande, la religione, il decoro, la Maestà del Pupillo Re, pareua che non cedessero a’ più saggi consigli, a’ più generosi pensieri del più valoroso, e sensato Principe del Cristianesimo. Col medesimo applauso, con le medesime lodi, co’medesimi voti, che il giusto Re Iosia fù d’otto anni assunto allo Scettro d’Israel l’aurebbe la Francia collocato con la sola sourana autorità, e dipendenza di se stesso nel Soglio reale, se le Leggi l’auessero permesso, se la Madre Regina Reggente vna delle più auguste, e virtuose Donne, a cui mai aggrauasse la fronte il Diadema Monarchico, non fusse stata conosciuta più che valeuole a sostenere la mole di tant’Impero. Quelle voci di lamento, e di doglia sparse ne’ Regj funerali, ne lugubri apparati di morte, e quelle di bestemmie, e di maledizioni auuentate nel cammino del supplizio contro l’infame Parricida, appena s’erano cangiate in lieti clamori d’vn, Viua il Rè, riuerito con la Reggente nel Cielo della Maestà, che s’vdirono ferir l’aria grida, e rimbombi d’allegrezza, e di vittoria, hauendo il Marescial di Sciatres dalla Regina inuiato al soccorso di Giuliers, sì felicemente spiegati i vessilli liberatori nell’oppugnata Città, che quasi precorse con l’esecuzione, l’ordine mostrando al mondo, che se la Francia aueua perduto vn de’ suoi Capi non le mancaua lo spirito, e’l cuore, e l’assistenza, e la protezione del Rè delle genti, che quell’auuenturoso progresso era vaticinio, e preludio d’vn felicissimo corso delle future vittorie dell’armi Franzesi sotto il nuouo Monarca, la di cui potenza principalmente a prò de gli Amici, e Confederari farebbe riuscita come il fulmine, che frange ogni durezza, ed abbassa ogni sublimità. Non viueua il Giouanetto Rè per altro contento, che per quello della Madre, le loro volontà erano indiuise, i loro affetti contendeuano di maggioranza. Vero erede del nome, del zelo, e delle virtù di San Luigi, si dichiaraua di auer ingenita, e particolare auuersione contro gli Eretici, con singolar affetto accoglieua quelli, che si conuertiuano alla Fede Cattolica. Incredibile è raccontare quanto profittasse nel timor di Dio, e come seruisse di norma, e confusione a tutti, che lo contemplauano come Tipo, ed esemplare d’vna vita Religiosa, e Cristiana. Le sue orazioni, e preghiere erano sì frequenti, che aueuano del miracoloso. Oraua a braccia aperte quasi volesse distender l’ali per volare al Cielo a goder quel Dio, che diuotamente contemplaua, protestaua, e dimostraua in questa guisa la vera immagine della Croce, e poteua dire come Dauid, che alzaua le mani a’ precetti Diuini, perche gli bramaua, attendeua che nell’vna mano dall’alto gli pio uessero le rose della grazia, nell’altra i giacinti della misericordia, voleua imparare dal suo Creatore a vincere con le braccia distese il Demonio. Abbandonando le piume, e gli agi, leuauasi tal’ora nell’ore intempestiue de più alto silenzio profondamente orando. Opportuno tempo all’orazione è la notte, quelle preghiere, che traggono i loro splendori dalle tenebre arbitre di loro è Dio, e testimonio l’Angelo; di mezza notte sorgeua Dauid a lodare, e confessare la Diuina Maestà. Feruide sono le preci notturne: corrono gelide il giorno l’acque del fonte del Sole: spumano la notte bollenti. Cristo Signor nostro pernottaua le più volte in orazione. Giocondo ammiratore, ed ascoltatore del Regio Penitente, il P. Corone Giesuita suo Confessoro vsaua di dire, l’azioni del Rè trascenderanno senz’altro l’vmana condizione Queste fauille di pietà si cangiarono dopo ch’egli prese lo Scetro in diluuio d’incendj. Non è capace di regnare, chi non arde di zelo di conseruare la Diuina legge; alla porta di questa scuola sottopose con maggior brama i fasci del Regno, e dell’animo, che non fece Pompeo il Magno le scuri, e le verghe del Romano Impero a quella di Possidonio. Ne gli anni più fermi con fermezza d’animo abborriua ogni effemminato diletto. E la pudicizia, virtù così nobile, e generosa, che per nessun’altra può l’huomo più superbamente gloriarsi. Quello spirito Reale agitato da questa potenza quasi ruota di Ezecchiel nella ruota, girando intorno alla sfera del sommo Sole, l’attrassero a loro dall’immondizie della terra i raggi dell’Amor Diuino, creandolo abitacolo di pietà, di giustizia, e di religione. Se tal’ora trafissero il Principe Pudico le punture de’ pensieri carnali, fu tentazione salutare, perche riconoscesse la sua bassezza, e non aspirasse d’arriuare a’ pregi della Diuinità. San Paolo diceua, che gli era dato lo stimolo sensuale, perche non si insuperbisse, per la grandezza delle riuelazioni. Il grand’Alessandro affermaua, che quando non lo spronauano i libidinosi appetiti si stimaua di esser vn Dio quando lo tormentauano, conosceua d’esser huomo. Le tentazioni carnali sono l’antidoto ne’ buoni contro il veleno della superbia. Armossi però di tempra adamantina contra le saette infocate della lasciuia, e contro l’occasioni, che lo condussero sù l’orlo del precipizio. Macchinò l’antico inuidioso Serpente di rouinare quell’anima diuota, e pura, tese i lacci delle tentazioni con varj rauuolgimenti al Regio calcagno insidiando ; seruissi dell’ambizione di alcuni cortigiani per ridurre l’opera diabolica all’empio fine. Vna delle più belle, e più sfacciate Messaline della Francia fù condotta da quelli al suo cospetto, sperando di guadagnare nella di lui grazia, quando quell’animo inuincibile si rendesse vinto all’armi di bellezza lusingheuole, e pellegrina. Ma, o somma prouidenza dell’Eterno, dalla destra della ragione non gli scapparono sregolate le briglie per abissare nella voragine del senso quella Thensa d’auorio, e d’argento de’ suoi innocenti, e candidi costumi, che sosteneua il Diuino simulacro della Pudicizia, accompagnata da Santa Meditazione, da sacro rossore, da fermezza d’animo nella fede, da mente attonita, e fissa nel timore, e nell’amore del Rè de’Regi, e del Signor de Signori. Contro la turba, e l’assalto delli sguardi lasciui, de’ sospiri interrotti, e delle parole lusinghiere inuocò l’aiuto del Cielo; lo sostenne, e lo souuenne Dio, che suol prestar soccorso a gli huomini nelle loro maggiori, e pericolose necessità. Vnite tutte le virtù combattè, e vinse, si rallegrò di sì pregiata vittoria, perche vincere i piaceri del senso è piacere impareggiabile, ne si troua più segnalato Trofeo di quello, quando si trionfa del peccato. Non volle sottoscriuere col suo delitto quel perfido assioma cauato dalle cattedre di Satanasso, che tutto sia lecito a Grandi. Se l’età Giouanile induce al peccato, la Maestà Reale non è esente dalla pena. Le sue labbra assuefatte all’acque dolcissime del fonte del Saluatore abborrirono di bere l’onde torbide, il mortifero veleno della Cisterna dissipata del Lago fangoso de’ carnali diletti. Il suo cuore, che era vn Santuario dell’arca di Dio, non consentiua di offerire le vittime a Dagon, ne di adorare il Vitello in Oreb, per non tirarsi addosso le tempeste della Diuina vendetta. E’credibile, che auesse come Giob co’suoi occhi patteggiato, che non gli porgessero occasione di pensare a bellezza mortale. Se non ebbe pronto l’acceso tizzone, com’il Santo Dottore d’ Aquino per fugare la diabolica femmina, col fuoco del rossore del volto, dell’ira degli occhi, degli strali infuocati di parole maestose, e risentite, la scacciò intimorita, e confusa, e tant’abominazione impresse nell’animo delle libidinose lordure, che poscia detestò sempre come vanità pericolose le scolture, e le pitture lasciue. Autenticò questo pio sentimento allora che auendo onorato con la Real presenza vn festino in casa di Signor riguardeuole, dichiarossi nel partire, che sarebbe altra volta ritornato alle sue feste, se toglieua dalla Sala del Ballo scandoloso quadro di va impudica Venere. Dalle Storie sacre miniere de Tesori Celesti traeua, imitando nel leggerle l’Augustissimo Carlo Magno, le più speciose gemme per arricchirne l’anima, e nobilitarne l’intelletto. Non d’altronde, che da quell’erario aueua egli estratto questi santi dettàmi da lui opportuni, e spessi replicati, che il Palazzo de’ Potenti doucua essere vn Monastero, ogni lor Città vna Chiesa. Diceua come Teodosio, che l’vmano impero fuor del Diuino ossequio non era che vanità, dichiarauasi che se si douesse guadagnar tutto il mondo, e commetter vn peccato mortale, douersi perder il mondo, e non peccare, replicaua alcune fiate battendo le mani, che le grandezze della Terra erano vn fuggitiuo, e breue strepito di mano, diceua che volentieri aurebbe sacrificato la sua vita, purche in tutte le sue Prouincie fusse morta l’eresia, che pagherebbe sempre la conuersione di ogni Vgonotto a prezzo caro del suo sangue, che se vn solo ne fusse rimasto nel suo Reame, darebbe per guadagnarlo vn dito della sua destra. Il diporto di solleuarsi dalle cure lo cercaua com’il Santo Luigi nel real passatempo della caccia, ma fra boschi ancora procuraua di cauar delizie per l’anima, se trouaua diletti per il corpo. Ebbe a dire vn giorno al Sig: di Luynes, che consideraua nelle solitudini la felicità, che vi aueuono trouato i Santi Anacoriti con goderui il Paradiso disuniti dal Mondo, ed vniti con Dio. O come credo, che poco auanti solleuato se sopra sè, altamente meditando così nel suo cuore auesse parlato. Rauuiso in voi, ombrose Cauerne, l’ombre delle mondane grandezze, imparo da voi, scoscese dirupi, che i Regni, se Dio non gli sostiene, rouinano, voi mi mostrate mentiti sentieri de boschi, le vie bugiarde del Mondo, conosco che la vita mortale è fiore alla brina, erba alla falce, fronda al gelo, gelo alla fiamma, fiamma nell’aria, ombra nell’onda, nell’ombra, orma in poluere, poluere al vento. Ma non è da tacersi qual nembo di grazie celesti piouesse a suo fauore allora, che dalla caccia ritornando tutta negra, tonante, e grandinante l’aria, scaricò dalle più infiammate nugole fulmine mortale che di lui vccise il Cauallo, ed egli illeso rimase. L’Olimpo che sopra le nubi s’innalza, non è dalle saette percosso. Il giusto Eroe dalle penne de’suoi santi pensieri sopra le nugole dell’oscurità mortale innalzato, si rese inuulnerabile al colpo del fulgore precipitoso, seruigli di scudo l’esser l’anima sua cara a Dio, il quale per i giusti tiene le mani grauide di strali d’amore, e di vita, per gl’ingiusti di sdegno, e di morte. Volle il Regnator Eterno per occulto mistero riserbarlo a cose mirabili, e grandi, in altra maniera non gli sarebbe giouato, l’auer più lauri trionfali nella fronte, che capelli. Superstizioso concetto è del Volgo, il trouarsi contro i fulmini scampo. In vano Tiberio si sarebbe incoronato d’alloro, Augusto in Padiglione di pelle di Vitello marino ricouerato, Seuero in Lettiga della medesima materia riposto, se la sourana Onnipotenza auesse contro di loro aggiustare le mortali saette. Direbbero gli Etnici fauolosi, & adulatori, che il fulmine di Gioue fusse venuto ad inchinarsi al fulmine di Marte: dirò ben’io che lo strale della suorana vendetta, che pare abbia voluto alcune volte colpire sopra i buoni è portento, è protesta del vicino gastigo preparato ineuitabile a’rei. Minaccia Dio di leuare la Corona della Giustizia a chi si parte dalla Giustizia. Cadde a Salomone il Diadema della dignità, e dell’onore, perche lasciuo, perche idolatro. Non oscurò il Gran Luigi col fosco de gli errori, i raggi del decoro, e l’attributo di giusto, anzi intese di vsurpar’a Salomone quello forse non douutamente datoli di Conseruatore della Legge dell’Eccelso, e di meritare che se gli confacesse sopr’il paragone de gli antichi Regi quell’augusta, e candida Cydari, fregio Reale alle Chiome, quella Veste di Porpora ornamento al seno de’ Monarchi, symboli riueriti di clemenza con seuerità di giustizia con misericordia. Sapeua che Dio regnando, e giudicando nel Cielo è coronato d’Iride, è vestito di Sardio sanguigno; Misterj Celesti di giustizia indulgente, e misericordiosa, di vendicante, e seuera. Voleua che lo Scettro non gli seruisse per semplice pompa di Rè, ma per compendio delle Leggi vmane, e diuine; anelaua in quell’insegna di poter gloriarsi di sostenerla inuitto incolpabile, ed imitatore dell’Eterno Monarca; la costituì simile alla Diuina Saetta Abbari, alla Verga di Pallade, e di Mercurio, allo Scettro di Esiodo, d’Osiri, e di Giano. Pubblicò Leggi seuere contro l’auarizia, e venalità de’ Giudici; spezzò le mascelle a’ Leoni, e leuò loro di bocca le prede; procurò che nella Curia risedesse col sapere costanza, e fedeltà; non tollerò l’ingiurie, e l’oppressioni contro i poueri; studiossi di contenere ne’ termini diceuoli i potenti; intese, che delle sue Leggi non s’auesse a dire come di quelle de gli Ateniesi, ch’erano opere d’Aragni, che inuiluppauano i piccoli Volanti, squarciate da grandi, all’occasione fece apparire, che furono sbarrate di ferro, che imprigionauano le più superbe fiere della Terra, e reti adamantine, che ratteneuono i maggiori Peregrini dell’aria. Il salutare statuto già ne gli andati tempi da Luigi il Santo contr’il duello ordinato, e per trascorso abuso all’inosseruanza ridotto, rinouò con più rigorosa proclama. Duellauano i Franzesi per l’onore, egli con inuiolabile, e sacro decreto, dichiarò infami i duellanti. Il tenor dell’editto portò spauento a’sudditi, non per viltà d’animo, ma per finissimo zelo di onore. Non v’è briglia, che più ritenga vn cuor Franzese dell’orrore dell’infamia. Numa per autenticar maggiormente le Leggi che promulgaua, fingeua d’auer con Egeria spesso commercio, come con Apollo Platone, con Minerua Solone. Ma questo Santo editto fù al giustissimo Luigi dalla sourana Sapienza veramente dettato. Astrea siede nel Zodiaco fra la Libbra, e’l Leone, sono specchio al suo volto purissime Stelle. Questa Legge è riuerita, e temuta, è per tutti egualmente bilanciata, ne’ comandamenti Diuini si specchia, è Legge esecutrice di morte, Legge del Cielo che fulmina le Capanne, e le Torri. Con qual luminoso auuedimento eleggesse i principali Ministri di Stato per sua gloria, e per felicità de’ suoi popoli; basterà accennare che fra molti scelse il Card. di Richeleù, che seppe non meno vestito di Porpora, che di Prudenza, e Valore vestir di marauiglia i nimici della Corona, vincere con la virtù, la virtù, far sempre fiorire le glorie del Regno e le sue, l’asta d’Ettore, ed il senno di Palidamante adoprando. Con generosa pietà souuenne all’altrui pouertà, ed infortunio. Di copiosa somma di danaro, che ogni mese faceuasi numerare, (diceua egli) per i suoi gusti la maggior parte distribuiua a luoghi pij, a gl’infermi, a’carcerari, a persone oneste, e ben nate da sinistra sorte abbattute. Parli per esempio di tanti, che dir ne potrei, quello che alla ritrosità, e tardanza, di chi doueua di suo ordine souuenire a soggetto nobile alla mendicità ridotto di quantità considerabile di moneta, rimediò con santa, ed esemplare resoluzione tant’oro di propria mano al Bisognoso somministrando, che più necessità non lo costrinse di limosinare infelice. Da Nerua Augusto imparò di solleuare i Cittadini dalle calamitose miserie, dal religioso Re Ruberto la liberalità verso i poueri. I benefizi, e fauori, sostegni della Regia munificenza dispensò tempestiui; come la sedia d’Amicheo reggeuano il suo Trono le Grazie, e l’Ore. Rimunerò, premiò le più fiate col solo consiglio di se stesso, gastigò, condannò con l’altrui. Gioue in mezzo al concistoro de gli Dei auuentaua dalla sinistra le saette a’ mortali, solo e di suo puro volere ne chiamaua tallora alla Deità. Con fermezza, ed intrepidezza incontrò i trauagli, e pericoli, che l’affrontarono mostruosi, e spessi : auendo per sostegno il Cielo, cauò la tranquillità dalle tempeste, il porto dal naufragio, da’ pericoli la salute. Le tele ordite, e tessute contro il bene della Francia non riuscirono durissime a recidersi, come quelle de gli Aragni dell’Isola Cumana, furono col coltello della sourana Giustizia per mezzo della mano potente, e del braccio eccelso Reale facilmente troncate, e recise. Non fù motiuo di reuoluzione, di discordie domestiche, d’assalto d’armi, d’insidie straniere, che non lo trouasse d’animo impauido, e imperturbabile; che non rendesse al fine più stabili, e più eleuate le sue fortune, più risplendenti i suoi meriti. Il suo cuore era vn lucido smeraldo della vera speranza in Dio, esposto alla chiarezza dell’aria della protezion diuina, e a dispetto delle tenebre delle turbolenze risplendè più chiaro del Sole, e nell’acque de’trauagli apparue più luminoso, e maggiore. Selce battuta dall’acciaio sfauilla; oro tormentato nel fuoco s’affina; diamante da lauori percosso più s’abbellisce, e risplende; ogni piccola vermena d’alloro d’intrepida, e magnanima generosità ribatte ogni fulmine d’armata fortuna, vento gagliardo che estingue piccola fiamma auualora vn grande incendio; le cure difficultose agitanti vn grand’animo son’ esca, e fomento a gli ardori delle sue glorie. Più belli fioriscono i Gigli Franzesi, quanto con fremito più orgoglioso cospirano i venti per abbattergli; furono bagnati per sempre dalla rugiada dell’olio Sacro disceso dal Cielo, e sparsi da gli Angeli sul manto di Clodoneo per tramandarli in tutte le posterità più floridi a’ successori. Sibilauano, e minacciavano i dua fieri Basilischi, tradimento, ed inuidia contro il gloriosissimo Re, accorsero congiunti per seccare co’mortiferi sguardi nel più ferace campo dell’onore il più nobil’ fiore degli Eroi, ma tornarono indarno degl’ empi mostri i velenosi reflessi degl’occhi loro ributtati dal raggiante, ed addamantino specchio delle Regie virtù; caddero micidiali di lor medesimi, caddero traendo palpitanti, disperati singulti di sdegno, e di morte; seruirono abbattuti di Ponte trionfale al piede augusto per passare al Campidoglio di fortune maggiori. Quell’ardente zelo di richiamare dall’esilio la Religione; quella costante voglia, che rifiorisse in tutto il suo Regno la Fede; quella sospirata ambizione di pietà, e di gloria d’abbattere col suo valore l’eresia, l’inuitarono ad eleggere il primo campo de’ suoi sacri, e gloriosi Trofei il Principato di Bearna. Nel tempo di cinque giorni ridusse a sua diuozione più terre, che quei giorni non aueuano ore, più felice di Timoteo, a cui la fortuna offeriua dentro vna rete tutte le Città bastanti d’appagare i suoi generosi con cetti. Cattolicizò quel paese dal quale per lo spazio di cinquant’anni n’era stato esiliato il Culto diuino. Imitando il famoso Eraclio che recusò d’entrare con pompa reale in Gerusalemme di doue il Saluator del mondo n’era vscito a penosa, e vergognosa morte; rifiutò d’entrare ouante nella Città del Paù, dalla quale il figliuol di Dio era stato cacciato dagl’empj ministri di Caluino, espugnò S. Giouanni d’Angelì, prese Nerac, Clerac, Bergerac, ritornò a fare acquisto dell’Isola di Rè, dissipò l’armata nauale di Subissa, ridusse all’obbedienza Royan, Tonneus, Maneus, & altre Fortezze del Poytù, Guienna, e Linguadoca soggettò con violenza d’armi Mompolier, s’appagò che lauassero le macchie della lor fellonia, ed il sangue de’suoi soldati diffuso in quell’impresa; i pianti, e le supplicazioni di quei domati ribelli, cangiando le saette in Caduceo, e concedendo loro il perdono. Restaua la Roccella, che sotto Carlo il Sauio s’era già scossa dal giogo degl’Inglesi, e ben conueniua che ella incuruasse il collo al Trionfo, all’Impero di Luigi il Giusto, contro di cui aueua implorata l’assistenza di quella Nazione. Non si poteua più tollerare vna fiera velenosa, ch’infettaua con l’alito tutte le piazze vicine; doueuasi debellare la Babbilonia colma d’ira Diuina, e di vizzj abomineuoli, e rei, bisognaua conuertir’in ricetto d’obbedienza, e di fedeltà la sentina de’miscredenti, e ribelli, ridurre la Sinagoga di Satanasso in albergo del Santo, de’ Santi, il ma l’inueterato non poteua sanarsi che col ferro, e col fuoco. Gl’aspidi sordi non son capaci d’allettamento d’incanti, è necessario spezzar lor la fronte, perche sotto l’erbe non vccidino col morso. L’esortazioni, e le piaceuolezze riusciuano infruttuose per abbatter vn’Idra maggiore, e con più teste di quella di Lerna, la quale se non si mansuefece all’armonia del canto d’Orfeo, cadde abbattuta a’ colpi del braccio d’Alcide. Trafisse Finee gli adulteri, e placò l’ira del Cielo contro gl’Isdraeliti dal contagio trafitti. A sanar la Francia dalla peste del Caluinismo, a placare Dio per leuar le diuisioni de’ partiti vi voleua la spada del Rè, che trapassasse il cuore a gl’adulteri, più perfidi, e più ostinati della religione. Non ebbe di mestiero Sua Maestà dell’ingegnosa persuasione d’Amfiloco, come Teodosio per proseguir la guerra contro gl’heretici, tutto s’applicò a quest’impresa, nella quale s’accoppiarono lo Scettro Reale, e la verga di Cristo come linee paralelle di religione e di stato, che veniuono a chiudersi, e terminare nel centro della circonferenza di S. Chiesa, mostrando al mondo quanto vadino errati coloro che scrupoleggiano non poter’vnirsi gl’interessi politici, e di Dio, ilquale parue che prestasse al Re della sua potestà perche dominasse al mare, e mitigasse i moti, e flutti di quello. Macchina più superba, e miracolosa non viddero i Secoli passati, ed i presenti di quella ch’in mezzo all’onde inalzò. Impaziente nel principio tolleraua l’Oceano di vedersi imprigionar’ nel suo Regno, incatenar’ nel suo trono, percuoteuono l’onde con fremiti orgogliosi la saldissima mole, ma frangendosi nella dura resistenza, s’arretrauano spumando la lor confusione, e rigorgogliando più fiere, chiamauano con voce di tuono gli adirati venti a prestar loro impeto, soccorso, e valore; ma doue s’oppone secreta forza di Cielo sono l’onde di vetro, i venti di fumo. Se diede luogo il Giordano al transito di Giosuè per condurlo al trionfo di Ierico, diede al fin luogo, e cedè, per cosi dir’, l’Oceano alla famosa Diga per condurre il Giosuè della Francia a quello della Roccella. Il Ponte di Cesare sul Reno, di Xerse su l’Elesponto, di Dario sul Bosforo Tracio, la macchina di Macedone sul Canal di Tiro, del Farnese su la Schelda, furono opere celebri, e memorande. Ma che hanno che fare fiumi, e canali angusti, o breui tratti di mare con l’ampiezza dell’Oceano? Trasce se l’artifizio vmano la Diga, e quasi poteuasi chiamare fabbricata da potenza sopra naturale da mano diuina. Come spesso viddero le stelle vegliare l’intere notti il Grand’Eroe nelle marziali fatiche, quanti giorni nel maggior’ ardore del Sole, nel più rigoroso gelo di Borea corse incontro a’ più vicini pericoli, precorse i disegni de’nimici, vidde, antiuidde i loro pensieri, le loro operazioni, domò il loro ardimento, abbattè il lor’ orgoglio. In vece di porpora, e d’oro pregiossi l’Augusto suo petto di vestire il metallo, e l’acciaio; sostenne la Real fronte l’Elmo per diadema; l’inuitia destra rinnouando i secoli andati l’asta per scettto; cangiò il vasto Palazzo in Padiglione angusto; in cibo militare le Regie viuande; in duri arnesi le morbide piume; il Seggio in sella, il trono in corsiero. Congiunse le virtù d’intrepido, e valoroso campione con quelle di pijssimo Eroe. Il suo valore nasceua dalla sua pietà, egualmente osseruaua le leggi militari, e le Cristiane, diffidaua di se e fidauasi in Dio, conoscendo essere spezie di perfidia solo nelle proprie forze fidarsi, e che sono vsufruttuari d’vn’infinita potenza quelli, che sperano nella Diuina. Il negozio della guerra affrettaua con l’ozio dell’orazione, combatteua con le preghiere, e con l’armi, alzaua come Moisè le mani al Cielo, pregando, stringeua con quelle il ferro, come Giosuè combattendo. Ferire il Cielo co’ preghi, e l’inimico con l’armi è vn’violentare il Cielo a porger sicuri i Trofei. Fulminò, tonò l’aria all’orazioni d’Eliseo, precipitò rouinosa grandine a prò del supplicante Samuel, ambidue de’ Filistei trionfando; orò Giosafat, e disfece vn’esercito intero, vdì pregando l’inuitto Clodoueo le risposte Celesti, e dal Cielo protetto, disperse gli Arianni. Conuocarono le preghiere di Luigi gl’Elementi, che tutti a suo fauore conspirarono, il mare obbediua alla Diga, ch’a’ Roccellesi negaua l’ingresso d’ogni soccorso, s’ergeua la terra nelle reali circonuallazioni serrando all’intanate fiere l’vscita, e loro negando i suoi frutti. Col ferro, e col fuoco aueua il Marescial di Sciomberg disfatti gl’ Inglesi, rispinta il Signor di Toras la lor’ armata dall’Isola di Rè, il Duca di Guisa riportatone i rostrati trionfi ; era solo il Cielo aperto al gastigo di quegl’empi, perche giusto, serrato alle loro preghiere, perche ingiuste, che più? L’istess’inferno soggetto a’cenni del Cielo inuiò scatenate le Dire, che auuentarono contr’i perfidi ribelli il pallore, l’infermità, la fame, la sete, i pianti, i lamenti, i sospiri, la disperazione, la morte. Cederono, e caddero al fine i peruersi Amalaciti, e loro ingloriosi cadaueri non giacquero insepolti sù le sponde del fonte d’Endor, o’ del torrente Cisson, ma sù la riua dell Oceano strascinati dalle fiere, lacerati da gli Auuoltori, seruirono di vilissimo letame per fecondar maggiormente le Campagne della Santongia, perche più belli vi germogliassero i gigli, più sublimi gl’Allori della Francia. Caddero, e quasi Etiopi debellati s’inchinarono a trionfi, s’humiliarono baciando quel Suolo, che col piè vittorioso premeua Luigi il Giusto, col piede assuefatt’a camminar sopra gl’aspidi, a calpestare i Leoni, e Dragoni. Caddero, e tardi conobbero infelici, che il lor nuouo Balaam non era il Diuino Elifeo, nè la Generosa Iuditta la lor nouella Iezabel, persuadeua questa à perder la Patria con la vita; e per vltimo à ridur tutt’in cenere, richiamando l’esempio della rinomata Numanzia; predicaua quegli ch’il Digiuno forzato doueua conuertirsi in volontario per placar l’ira Diuina; ma la Franzese Babbilonia era dall’Alto riserbata intera alle palme del Franzese Alessandro ; ella non godeua i diuini priuilegi di Betulia, e Samaria, quell’astinenze, e preghiere non simboleggiauano co’ voti, e digiuni della pentita Niniue. Vantisi pur’à sua posta Duillio di auer’egli il primo veduto nel suo trionfo Nauale superba colonna inalzarsi, che il Gran Luigi la collocò della sua potenza, e fortuna sù le sponde Marine, com’il primo Domatore dell’armate, e dell’onde, emula di quella Egiziaca, che con caratteri d’oro la libertà delle Prouincie all’arriuo de’ fasci Romani prediceua. Conobbero i debellati Roccellesi i sereni auguri di libertà felice nella clemenza, ed vmiltà del Rè. O quanti sentendosi toccare il cuore da Dio non meno s’inchinarono a chieder venia al Rè che a Dio, scorgendo che la maggior vittoria è il rimaner vinto, doue la perdita è l’acquisto della Religione, doue si deue obbedire alle Leggi di giustissimo Monarca. Portaua Sua Maestà Oliui di vittoria, e di perdono, quegli gli spargeuano, e li porgeuano di sommessione, e di preghi, come i Locrensi a’Romani, i Cartaginesi a Scipione. Nella Valle Madianitica nella notte più intempestiua fù veduto lo stocco di Gedeone simboleggiato da vn Pane, che poscia in ferro cambiossi ministro di stragi, e ruine. Cangiò il Rè il suo in pane, souuenendo liberale, e pietoso a quei miseri, che già spirauano l’anima disperata, e digiuna nelle fauci d’Inferno, e di Morte. Finalmente restituì a Dio le Chiese, alle Chiese gli Altari, a gli Altari i Sacrifizi a’Sacrifizi la Religione, alla Religione l’ossequio, all’ossequio la Francia, alla Francia l’antico splendore, all’antico splendore la pienezza dell’autorità, e l’autorità costituì piena di potenza, di virtù, di stima, e di souranità. In troppo angusto campo si sarebbero racchiuse le sue glorie se questa fosse stata l’vltim’Olimpica delle sue marziali ghirlande. Aurebbe introdotto vergogna, ed aggrauio nel suo Reame, sfrondati i fiori della Corona, oscurati i raggi della Maestà, se auesse mancato del suo aiuto, e della sua protezione al Duca di Mantoua, circondato da formidabili armate, e ridotto in durissime angustie. Il riposo che permesse alle sue armi, fù la celerità di farle marciare verso i monti per schierarle in Italia, ne lo spauentarono l’inclemenza dell’aria, la strettezza de’ passi, le truppe armate, che gli guardauano, corse impauido a verificar nella sua persona il detto d’Arrigo il Grande, ch’egli, e’ suoi successori si sarebbero sempre spalancata la porta dell’Italia con la punta della spada. Al solo popolo d’Isdrael fù per facilità del suo passaggio permesso di veder volontari spezzarsi, ed adeguarsi al piano i massi più alti, e scoscesi dell’Arnon, e delle loro rouine i fabbricare funesti tumuli alle falangi d’Egitto, ch’insidiose fra quegl’antri ascondeuansi per darlo in preda alla morte. Non vidde Sua Maestà altro miracolo, che nel suo, e nel valor de’ suoi. Non v’era di mestiero de’ Pirofori, ch’agitassero correndo le faci nell’esercito per accender i soldati alla battaglia. Ne’ cuori Franzesi è forse più opportuno reprimere l’ardire, e l’ardore, che spronarlo, ed accenderlo. Non pugnò com’Anibale con macigni inanimati, ne come il famosissimo Re Francesco Primo trouò il solo intoppo nelle vie impraticabili dell’Alpi, egli le valicò ad onta dell’inaccessibile, dell’orrore, e rigore delle neui, e del gelo Sbaragliò ostinato incontro di brauissime schiere, e di trincierato sentiero, inalborò i vittoriosi stendardi a Susa, contentandosi di arrestarui la carriera del suo trionfo. Non venne per armar di strali la Discordia, ma per saettarla. Non comparuero i suoi Gigli inaffiati, o tinti del latte di Giunone come aspiranti a nuou’ imperi; brillaua nelle lor foglie di celeste miniatura l’Iride varieggiata come Paraninfa di Pace. Fù suo scopo di piantare gli vliui pacifici sù l’argine d’Italia per coronarla di tranquillità. Il suono, il tuono della sua Tromba fù considerato come precursore del fulmine della sua spada. Al grido de’ suoi trofei ogni difficultà si ricouerò nell’Asilio dell’ageuolezza. Al ruggito del Leone le fiere più formidabili si rinseluano, Non inondò le campagne di sangue, come Dauid feroce soccorritore di Ceila; liberò senza strage Casale, acquietò gli animi, accomodò i disordini, rappattumò le volontà, accordò le differenze, stabilì patti, e condizioni di concordia, e quiete. La sua, improuisa venuta, che cagionò stupore, e terrore, risultò in reuerenza, e contento de’ Principi, assicurati, ch’egli d’altro nome non si gloriaua, ne conduceua altro oggetto, che di liberatore, ed amico, non di vsurpatore, e nimico. L’auer dunque preso la Roccella, sforzato il passo di Susa, superato ciò ch’era difeso dal Mare, e coperto dalle Montagne, gli rappresentaua ogni impossibilità possibile, ogni difficultà superabile. Elesse diuinamente il preualersi della congiuntura di abbattere, di rouinare da’fondamenti il partito de gli Vgo notti. Non differi la spedizione in Linguadoca contro di loro più vtile, e di più alta consequenza, che l’occuparsi in Italia doue non vi voleua, che la Pace. Assali dunque con tanta felicità i ribelli, che vinti, e confusi viddero in meno di due mesi le for piazze espugnate, o rese, Montalbano lor vltimo ricetto soggiogato, annichilate le lor’ armi, costretta la lor pertinacia di vmiliarsi alla potenza, e clemenza Reale. Ma le prosperità più camminano incontro a gl’infortuni, allora che corrono più veloci. Sono conforti del Cielo i trauagli della Terra. Quel fosso dell’infirmità, oue precipita la salute è il sepolcro delle vanità mondane, è la trinciera della cognizione di se medesimo per ricorrer’ a Dio contro gli assalti del Demonio. Volle il Dator della Vita raffinare S.M. nella perfezione con mostrargli in faccia la morte. Fù sourapreso da fierissimo malore in Lione, ma nelle forze corporali abbattute, ripigliaua quelle dell’animo più gagliarde, con rimettersi tutto nelle braccia della Diuina Volontà. La medicina dell’Anima antepose omninamente a quella del corpo, come salutare al corpo, ed all’anima. Il Re Asa tutto ne’rimedi vmani confidando, terminò miseramente la vita. Coltiuò con man’inferma le palme, e gli vliui, auendo la sua formidabil armata sotto li Marescialli di Sciomberg, della Forza, e di Marillac espugnato gl’incommodi d’vn lungo, e difficil sentiero, sprezzata la terribilità della morte, che nel contagio faceua in Piemonte orribilissima strage, condotte le squadre animose, infaticabili a fronte della nimica per soccorrere la seconda volta Casale, ma con modo amicheuole, per l’intrepidezza, desterità, e valore del Cardinal MAZARINI, ne successe il desiderat’effetto indiuiso dalla recuperata salute del Re. Taccio l’auer poscia restituita la libertà a’Grigioni, conclusa la pace con l’Inghilterra, aperto il varco all’armate Franzesi in Italia con stabilirsi Possessore di Pinarolo, veduto il Duca di Mantoua da lui protetto, e difeso nello stato rimesso, e di quello dalla Cesarea Maestà rinuestito. Tralascio l’imprese fatte, le vittorie ottenute da’ suoi gloriossimi Generali, in Mare, in Fiandra, in Spagna, in Germania, in Italia, e sopratutte le benedizioni, e le grazie, che la Sourana Bontà copiosamente gli compartì, ammiro annouero dopo l’aspettazione di ventitreanni, quella della successione della stirpe. Era volontà di chi il tutto regge, che prima fusse affatto Cristianissima, ed vbbidiente la Francia, e poi nascesse l’erede della Corona per possederla incontaminata. Quando erano ridotti all’estremo i desiderj del Re, e della Regina, cresciuti nella priuazione a dismisura, all’eccesso delle lor brame, diede Dio quello delle sue grazie col nascimento del Regio Delfino. Non poteua la Diuina Giustizia rimunerare con meno, che con vna marauiglia celeste il merito della continenza de’Genitori. Da sì bella prerogatiua germogliano i miracoli. Leuarono le candide piume della continenza Isaia nell’alto a contemplare la Superna Maestà assisa soura eccelso, e lucidissimo Trono, Moisè spezzò la pietra, mutò l’aria, parlò spesso con Dio, Abramo fù eletto Padre delle Genti, e della Chiesa. Chi contrae, e conserua il Matrimonio tra’ fonti della Pudicizia, non tra le fiamme della Concupiscenza si può chiamare il suo Albergo vn domestico Tempio, la continenza Matrimoniale è ottima procreatice de’ figliuoli, e felicità de’ Maritati. L’eredità degl’incontinenti è la Morte, Her, & Onam successiuamente mariti di Thamar ne manifestano l’esempio. Contro gl’intemperanti hà il Demonio assoluta potestà, Sara figliuola di Raguel vide l’vn dopo l’altro di sette suoi Mariti carnesice il Diauolo, la quale poscia felice, & auuenturosa Consorte del buon Tobia conseguì da Dio, come nel seme d’Abramo, le benedizioni de’ figliuoli. Le versò tutt’il Cielo sopra il nato Eroe della Francia, perche superi il merito di tutti i suoi Antepassati? e chi sà; perche si adempisca nella Regia sua persona vn giorno l’alta Profezia, che vn Re gloriosissimo di Francia deua tornare a piantare i Gigli Reali nel lor primiero terreno sù la riua della Palude Meotide, ne’campi dell’incenerita Troia, ne’ vasti Regni dell’Asia, e seminargli in pompa trionfale per le vie di Gerosolima, collocarli in dì solenne di memoranda vittoria sul Tumulo Sacratissimo del Redentore, tesserne alle sue chiome il Serto Monarchico dell’Imperio dell’Oriente, intrecciato di Palme, d’Idume, illuminato delle più chiare gioie de’Lidi, dell’Aurora, e del Gange. A questa salda colonna eretta sù la porta del Tempio della Religione aggiunse poi il Fabbricator del tutto l’altra, vscendo alla luce il Real Duca d’Angiò, perche sieno emule di quelle due famose di bronzo, coronate di Gigli, sù l’entrata del superbissimo Tempio di Salomone inalzate, sacri Ieroglifici di fortezza, e valore. L’acquisto di tanto Tesoro, non lo riconoscendo per altro il Re, che per eccesso di profusa liberalità del Cielo, ne volle all’Imperatrice di quello, alla Purissima Madre di Dio farne solennissima oblazione, e voto come di se stesso, della Regina, del Reame, e de’ Popoli; poiche chi ricorre a quell’abisso di grazie non può abissar nel pelago delle tempeste mortali. Ma non voglio ch’errore di dimenticanza mi faccia passar con silenzio, che mai non giunse Sua Maestà personalmente a considerare, e riguardare piazza veruna quantunque inespugnabile per espugnarla, che non la vedesse alfin cedere alle sue forze, sottomettersi alle sue condizioni. Dicanlo le tante di sopra accennate nella Francia, dicanlo Edino, Nansì, Collibri, e Perpignano. Portaua forse quella celeste Magia nel fulgor dell’aspetto con la quale Gionata i Filistei abbatteua, o pure gli permise il Cielo la grazia dichiarata a Moisè, a Giosuè, che soggiogherebbero qualunque nimico terreno fusse dal lor piè calpestato. Aggiungo, che gli riuscì non meno in parità dell’autorità, ed efficacia degli offizj espugnare la voglia degli armati Regi, che le piazze con la virtù dell’aspetto, e dell’armi. Per mezzo del Duca d’Angolem, de’ Signori di Bettunes, e di Castel Nuouo da lui per solo zelo dell’altrui quiete a posta inuiati, acquietò i romori di Germania, e d’Vngheria, rappacificando Cesare, e’l Transiluano. Se geloso dell’aggrandimento de’vicini, della lor potenza, della saluezza, e difesa dell’Elettor di Treueri, e d’altri Confederati, ed amici, diede col fiato d’Austro Guerriero moto, e spirito al nembo procelloso del Settentrione a Gustauo Adolfo Re di Suezia; non lasciò però co’ sereni zeffiri, con l’aure placide delle sue zelanti richieste di rasserenarlo in parte, e fermarlo a non scaricare sopra le Città, e Terre Cattoliche le procelle de’ sacrilegi, de’ profanamenti, degli stupri, de’ sacchi, degl’incendi, e delle rapine. Lo stesso Barbaro Ottomanno implacabile nimico del Cristianesimo alla sua intercessione frenò l’ira, e’l furore, che minacciaua contr’antico, grande, potente, e conspicuo Potentato Italiano. La sua pietà, la sua fortuna, la sua giustizia, il suo valore inuitò, incitò Popoli per antica emulazione, per dissimiglianza di costumi, per differenza di Clima, e di Lingua contrarj alla Francia, a variar pensiero, e chiamarlo chi per Signore, e Sostegno, chi per Direttore, ed Amico. Finalmente bisogna confessare che l’antica Monarchia Franzese più fiorisce, quanto più cammina co’secoli. Ma non poteua soggiacere di vantaggio il gran Luigi alla mortalita, già fatto immortale, più per le proprie virtù, per la reputazione di tanti acquisti, per la sublimità di tante, fortune, che per la dignità Reale. Pareua in vn certo modo, che se tante volte aueua trionfato, altro non gli restasse, che di trionfare delle vanità, e della morte. Circondato da penosa infermità, trouò nelle spine degli affanni, come il Re Lodouico il Grasso suo antepassato le rose del vero conforto, e della fiducia in Dio, effetto proprio nel vicino passaggio all’altra vita de’ Giusti. Somma felicità è morire nel colmo delle felicità, ne breui sono i giorni di colui, che viuendo tant’ammirabili azioni abbia operato, quante appena altri grandissimi Eroi, che vissero fino all’vltima decrepità con tacita meditazione, sospirarono impossibili. Non mi diffonderò in raccontare con qual fermezza d’animo, con qual ilarità di volto si preparasse a non pauentare il terribile di tutti i terribili. Disse, mirando per vn’aperta finestra la Chiesa di San Dionigi, ecco la mia vltima abitazione, doue m’accingo di andare allegramente. Apre lieto la porta alla tremenda chiamata del Sommo Giudice, chi dalla speranza della misericordia Diuina, dall’opere buone è fatto del premio eterno sicuro; trema, e ripugna di comparire a quel giudizio rigoroso inappellabile, e giusto chi a se medesimo è consapeuole di esser per le sue colpe reo di gastigo, e di morte. Nel cammino della sua salute aspirò di esser guida a quelli, che vitra uiauano lontani per portare alla D. M. le vittime di due cuori riconciliati con lei. E sortò due celebri Personaggi, altissimi per sangue, e valore, Settatori de’ Dogmi di Caluino a farsi Cattolici, dicendo loro, che Dio gli aueua preseruati lungo tempo in vita, perche riconoscessero il loro errore. Angustiata l’anima sua dalla dimora di sgrauarsi del peso mortale, vsciuano spesso dalla regia bocca queste diuote parole, Tædet aniniam meam vitæ meæ. O consolazione ineffabile de’buoni che bramano quanto prima sciorsi dal Mondo, ed esser con Cristo. Affermaua non si curar più di viuere se non era per far penitenza, ed esercitar più efattamente la Pietà, e la Giustizia, e procurar sopra tutto la Pace, la quale se Dio non gli auesse conceduta viuendo, la sua anima si sarebbe prostrata dauanti a lui per impetrarla dalla sua misericordia. Egli aueua come Metello adempito i voti di vna gloriosa Guerra, aspiraua prima del morire, come Traiano di adempire quelli di vna gloriosa Pace. Quanti diuoti reflessi, quante pie meditazioni considerò sopra la caducità mortale! Ebbe a dire al Duca d’Angolem, che l’esser Re non esentaua dall’infermità, e dalla morte, ed al Signor di Liencurt, mostrandoli le braccia, stenuate, quelle parole da recitarsi ogn’ora: Memento homo, quia cinis es, & in cinerem reuerteris. Procurò di consolare l’amata; e dolente Regina, e i due magnanimi, e valorosi Eroi il Duca d’Orliens suo fratello, il Principe di Condè de Reali di Francia, esortandoli di conseruare vera concordia, e diligente custodia de’suoi amorosissimi, e piccoli figliuoli, e del regno. Fece tenere al Sacro Fonte dalla Principessa di Condè, e dal Cardinal MAZARINI il Delfino, chiamandolo LVIGI, volendo col nome lasciarli il simolacro della fortuna fabbricato d’oro diuino immortale delle altissime virtù Paterne, altro che quello di materiale, che i Cesari antichi, e superstiziosi nella più addobbata, e remota camera del Palazzo lasciauano per eredità a’successori. Terminata la Sacramental Confessione per riceuere il Santissimo Viatico, ottenuta dal Padre Dinet Giesuita suo Confessoro l’assoluzione, proruppe, alzando gli occhi al Cielo, in questo festoso versetto del Salmista. Lætatus sum in his quæ dicta sunt mihi in Domo Domini ibimus. Quindi per mano del Vescouo di Meaux primo Elemosiniero riceuè il Pane del Paradiso, e com’era suo costume, ferrò diuoramente gli occhi nel prenderlo, trasse sospiri di fuoco, spirò accenti di pentimento, e non potendo a terra prostrarsi, il meglio che possibile gli fù sul letto inchinossi, imitando i Cherubini, che si velauano la faccia con l’ali alla presenza dell’Arca di Dio, o pure gli Angeli, che assistendo alla Sacratissima Eucarestia abbagliati da quella luce con reuerente orrore non ardiscono liberamente di fissaru’i lumi. Approssimandosi l’ora del suo passaggio, auualorato da tutti i Sacramenti della Chiesa, nelle preghiere per la sua anima rispose diuotamente a’ Vescoui di Lizieux, e di Meaux, ed al Sig. di Vantador, e fissando immobilmente gli occhi specchio della fermezza dell’animo nel Crocifisso, accostateselo al petto con le braccia in croce, (come già alla sua morte il Cristianissimo Re Lodouico Quinto) rimirando il Costato del Saluatore sicuro varco per incamminarsi al Cielo, con segni d’infinita contrizione, di costanza, e di generosità, rese lo spirito fortunato al Creatore. Così cadde il Sole de gli Eroi, delle virtù, e della Francia nell’Oceano di morte estinto, Luigi il Pio, l’Inuitto, il Felice, il Giusto; quel Sole i di cui splendori illuminauano tutto l’ambito dell’Vniuerso, che non poteuano sostenere di mirare gli emuli della sua potenza, gl’inuidi della sua fortuna, cadde seco il pregio della pietà, il sostegno della Giustizia, la gloria del valore, la marauiglia della felicità. Ma ritornate a rimprigionarui nel mio seno lamenteuoli querele, errando dissi, esser questo lucidissimo Sole caduto estinto, fù peccato della penna, e non del cuore, o pure del cuore che ancora da sospiri agitato vacilla. Egli non soura carro mortale, come l’ambizioso Augusto nella vana pompa d’vn suo trionfo per le contrade Romane cinto di Diadema, fabbricata a guisa di Sole, ma soura Nuuola d’oro della mortalità trionfante, per l’aeree vie la fronte de suoi chiarissimi meriti in ghirlandata all’aurea Porta del Paradiso da lieta schiera de’ suoi gloriosi Antenati raccolto, giunse a godere le fiamme eterne del Diuino Amore mosse dall’aure dell’ali Beate de Serafini, ed ad inchinarsi a’piedi del Sommo Sole di Stelle, e di Sole ingemmati, oue oggi riuerente, e felice quell’incomprensibile Bellezza adorando, e contemplando, che lingua vmana non può ridire, intelletto non può capire, da quei lumi sereni irraggiato al pari del Sole risplende. Prima tra l’vmane vicissitudini dal peso mortale aggrauato nella sua Eclittica stancauasi, ora soura gli empirei Scanni serba la bellezza, la fermezza, e’l lume per tutta l’eternità felici, immutabili. Da quelle Beate Gerarchie alla considerazione della sua felicità, al desiderio de’ suoi pregi immortali l’Augustissima Regina, i Figliuoli, il Real Sangue, i Popoli dolcemente inuita, e chiama. Influisce con le benedizioni del Paradiso i veraci sentimenti di richiamare l’esiliata Pace, che dalla Francia attende di riassumere le perdute grandezze, già vicina non trouando altro scampo di ricouerarsi profuga, e raminga sotto l’altro Polo a gli Antipodi. Non furono tra le pompe del Regio funerale, come costumò la pazza Gentilità gl’inumani spettacoli degli efferati Gladiatori, ma la famosa battaglia di Roccroi, la fierissima oppugnazione, e resa di Tuenuille opere gloriose negli anni acerbi del maturo senno, e dell’inuitta destra del Duca d’Amghien inclito germe della Real Prosapia di Borbone, imitatore valoroso del Padre, e degli Aui. Concludo, che se nella morte del gran Profeta Giacob piansero le Prouincie barbare, e le straniere, a quella del gran Luigi hà tutto il mondo lagrimato, che chi per pietà non hà pianto, hà sparso per le sue miracolose azioni lagrime di superbissima inuidia. IL FINE. Il Sig. Canonico Bonsi si compiaccia di vedere se nel presente Panegirico si contenga cosa che repugni allo stamparlo, e riferisca appresso. Dat. il dì 12. Gen 1643. Vincenzi Rabatta Vic. Gen. La penna del Sig. Abbate Niccolò Strozzi destinata alle Lodi de Grandi hà saputo così bene accoppiare le Sacre con le Profane erudizioni, per descriuere la vita di vn Re perfectissimo, qual fù Luigi il Giusto, che non ammette censura; anzi perche può dare occasione di esercitarsi con sì glorioso esempio nella pietà cristiana, e ne buoni costumi a chi leggerà la presente opera, stimo che la medesima sia degna delle stampe. Lelio Bonsi Can. Fior. Attesa la presente relazione, si stampi il Panegirico, osseruati li soliti ordini. Dato il dì 14. Gen. 1643. Vincenzio Rabanta Vic. Gen. Si può stampare in Fiorenza li 14. Gennaio 1644. F. Iacomo de Castigl. Fior. Canc. del S. Off. per commessione del P. Reuerendissimo Inquisit. Gen. Alessandro Vestori Senatore Audit. di S.A.S.

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Delle lodi di Luigi XIII re di Francia e di Navarra, il Pio, l'Invitto, il Felice, il Giusto. Panegirico recitato in Firenze. All'Em. e Rev. Card. Mazzarrino. Strozzi, Niccolò Florence Massi, Amador; Landi, Lorenzo 1643

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Delle lodi di Luigi Decimoterzo Re di Francia, e di Navarra il Pio l'Invitto il Felice il Giusto. Panegirico. Dell'Abbate Niccolò Strozzi Canonico Fiorentino, Consigliere, & Elemosiniero della Maestà Cristianissima. All'Emin.mo et Rev.mo Sig. Card. Mazzarrini. In Fiorenza, nella Stamperia Nuova di Amador Massi, e Lorenzo Landi. Con Licenza de' SS. Superiori.
1643
DELLE LODI DI LVIGI DECIMOTERZO RE DI FRANCIA, E DI NAVARRA IL PIO L’INVITTO IL FELICE IL GIVSTO. PANEGIRICO. DELL’ABBATE NICCOLÒ STROZZI Canonico Fiorentino, Consigliero, & Elemosiniero della Maestà Cristianissima. ALL’ EMINENTISSIMO. ET REVERENDISSIMO. SIG. CARD. MAZARINI In Fiorenza, nella Stamperia Nuoua di Amador Massi, e Lorenzo Landi. Con Licenza de’ SS. Superiori. EMINENTISSIMO, E REVERENDISSIMO SIGNORE SV la riua dell’interminato Mare de’ pregi innumerabili del Gran Luigi d’immortale, e gloriosa memoria, hò raccolto (Eminentissimo Sig.) fra l’infinite, questa picciola Conchiglia delle sue Lodi, che nelle sterili arene delle inculte mie Carre già moribonda languisce, se dalla ruginda del suo patrocinio, e fauore non riceve e spirito, e vita. AV. Eminenza dunque la consacro, perche viua sott’il Cielo della sua autorità, e protezione, a V. Eminenza, che fù parte del Cuore di tanto Monarca, e tanto a parte de’ suoi profondi arcani, de’ suoi generosi consigli, ed oggi la vede il Mondo non meno un de’ Cardini della Chiesa, che della Francia, egualmente nella sua porpora folgorando gl’ardori di quella, gli splendori di questa. M’assicuro, che protetto da V. Eminenza saranno seco le lor Maestà per gradire quant’ hà potuto porgere d’humiltà deuota pouerissimo Altare, e qui reuerentemente le bacìo la Veste, mi pregio, e professo di viuere ogni giorno più. Di V. Eminenza Reverendissimo Humilissimo Oblig. Serenisimo e Fed.mo A Firenze il dì 31. di Gennaio 1643. ab Inc. Niccolò Strozzi. LE lagrime figliuole primogenite del Cuore, primizie de gli affanni, indiuisibili compagne dalla cuna all’auello dell’umana infelicità, aspirano di fabbricare, non di marmo, d’argento, e d’oro, ma di loro medesime fabbricatrici, e materia Obelisco pomposo di cordoglio, e d’onore al mortale, immortale del Gran Luigi. Imperfetta s’ergerebbe la superba struttura, se non vi concorressero a gara con l’Eternità, e con la Fama a scolpirui il glorioso nome, ad inalzarui il diuino simulacro, a collocarui memorie onorarie, e sepulcrali della pietà, della giustizia, della fortuna, del valore di tanto Monarca le lingue, le penne più celebri, e più chiare dell’vniuerso. Ma infallibile reflesso di ponderato discorso m’addita, che se tutti gli occhi della Terra lagrimassero, non sarebbero valeuoli appena di gettarne i fondamenti, se però non piangessero quelli del Cielo, ch’altro non sanno, ne ponno versare che rugiade di consolazione, e di gioia. Non lascerti però d’allargare il freno a’ miei pianti, richiesto tributo nella morte de giusti, per la perdita del pubblico bene, se non sapesse, che a dispetto della morte, viuono, e viuono beati, che il felicissimo Rè, morendo, hà lasciato Madre, e Reggente d’vn’altro Luigi, vn’altra Bianca, se non di nome, di nazione, di senno, di zelo, di valore, quale l’auuenturosa Genitrice di Luigi il Santo, perche dell’Augustissima stirpe d’Austria, perche Regina di Francia. Distilli pure in copia il Simulacro d’Orfeo penose gocciole d’affanno al fisso, e riuerente sguardo del Gran Macedone, predicano pure gl’Egizi Indouini per sì fatto portento; che tutti gl’ingegni del mondo si sarebbero in darno stancati scriuendo, e celebrando l’immensità de’ suoi pregi, che di pari con questi vanno quelli di Luigi il Giusto; vane perciò saranno tutte le fatiche di chi prouerà di colmarne i volumi, di chi pensarà con fiume d’aurea eloquenza, porgere tributi al mare delle sue immortali azioni, che sarebbe appena l’abbozatura de primi lauori. Non v’è chi possa dipingere nella propria bellezza il Cielo s’il Cielo non dipinge se stesso con l’oltramarino de’ suoi Zaffiri, con l’oro de’ suoi Luminari. A gl’Angeli si può credere sia riserbato il narrare dell’anima fortunata gl’encomi, e di pronunziarne l’opere ammirabili al Firmamento. Fra queste impossibilità asciugando per quanto m’è possibile il pianto, asciugherei parimente l’inchiostro, e con l’attonita mente fermerei la mano, abbandonerei la penna, riuerirei col silenzio le Diuine prerogatiue, che di scriuere mi son proposto, se non m’affidassi, che se l’inuittissimo Eroe viuendo, non sdegnò di gradire con fronte augusta l’oblazione del mio profondissimo, ed ereditario ossequio, e della mia costantissima fede, sia oggi dalle sourane Gerarchie per dilettarsi, e gradire, che nuouo Abel col cuore gli consacri olocausto immaculato di lodi. Misteriosi prodigi, prodigiosi misteri accompagnarono il suo Real nascimento. Sopra l’altare chiamato de’ pij impolluto di sangue, già s’offeriuano le vittime ad Apolline genitore, se nasceuano i Grandi; Allora che egli nacque lieto l’accolse prima della Cuna nel grembo la Pace, che dopo fiere stragi, e ruine respiraua consolata al trono d’Arrigo il Grande, l’abbracciò la Religione, preuedendo di respirare al trono di Luigi il Giusto. Balenarono i primi lampi del suo Religioso valore, quando appena nato, alzò tre volte le tenere pupille al Cielo, quando rise com’Ettore mirando il suo Padre, e se porse la mano infantile Carlo Sesto suo Predeceassore al morione dal Genitor’offertoli, egli la distese sopra lo sguainato brando, che il Magnanimo Arrigo gli appresentò, consacrando l’armi, e’l figliuolo al grande Dio de gli eserciti. Parue, per così dire, che il Cristianissimo Bambino giurasse in quel punto di voler conseruarsi vero primogenito, e braccio della Chiesa, che implorasse il Diuino aiuto a fauoreggiarlo contro gl’inimici della Fede, e del Regno; e ben poi s’è veduto, che s’vnirono ad accompagnare la regia spada tutte le grazie, e benedizioni di quella, che l’alto Profeta Geremia consegnò in visione dal Cielo al valoroso Maccabeo. Apparue al mondo quest’incomparabil Principe all’entrar d’vn secolo come prima marauiglia di quello, e de futuri, sotto il segno della Bilancia, Oroscopo sempre di fauoreuole augurio nella nascita degl’Eroi, sempre influente giustizia, e pietà. I primi accenti, che scaturissero ben’articolati dalla sua bocca, s’vdirono risonare Giesù. O stupore d’infante Diuoto? come dopo sciolto da teneri vagiti apprese per tempo parlatore religioso a sciogliere le parole nell’armonia di quel Santissimo Nome, a cui riuerente si genuflettono il Cielo, la Terra, e l’Abisso come s’ingegnò di render tributari la lingua, e’l cuore all’altissima, ed increata Sapienza, per la quale regnano i Regi, ed i Legislatori decretano il giusto. Quest’alti, e profondi principij di sentimenti pij, e diuoti, e li spiriti viuaci del Real Pargoletto conspirarono di stabilirlo sopr’ il maggior trono della felicità, e della gloria inuittissimo Eroe, Rè veramente Cristianissimo, vincitor di se stesso, trionfator degi’emuli, debellator de’nimici, difensor degl’amici, solleuator degl’oppressi, conculcator de’ ribelli, gastigator de’ maluagi, premiator de’buoni. La notte precedente al giorno del suo Real Battesimo furono veduti volare per i campi dell’aria accesi vapori di portentose meteore, quasi che il ciel volesse spiegar’ a caratteri di luce con penne di fuoco i vaticini altissimi del pietoso, & ardente zelo di tanto Eroe, che quelle fiamme a chi douessero esser luce d’allegrezza, e di pace, a chi calore di salute, e di vita, a chi ardore di desolazione, e di morte, ch’egli haurebbe trionfato col fuoco del fuoco, contraponendo il suo d’amor diuino a quello de’sensuali appetiti, ed in fine che quei lampi erano i chiarori d’vn Sole, che spuntaua nell’Oriente. Vestito del valore del Padre camminaua quasi con passi di Gigante di pari col Padre a gradi d’ogni virtù. Ascanio seguitaua Enea, ma col piè puerile, non pareggiaua a gran via il cammino paterno. Il palazzo Regio non era per lui sentina di delizie, ma officina d’armi, oue nelle dure fatiche faceualo il Genitor affannare. Souente a se comandaua di venir’ i piccoli figliuoli de’primi offiziali delle guardie Suizzere, in due schiere compartendogli, che d’vna egli si poneua nella fronte come Condottiero, e dell’altra creaua per capo il più spiritoso, il più a lui caro di quelli in finte, e bizzarre Zuffe esercitandosi. Soleua dir loro, allegramente miei soldati, sarete vna volta tutti miei Colonelli; così Ciro appresso l’Auo Astiage educandosi co’ fanciulli de’ Medi ne’ giuochi militari stancauasi. Quelli spiriti Marziali alimenti del suo valore sarebbero stati flutti di Mare incostante che passano, e più non sono, se non auessero auuto per salda pietra angolare, e fondamentale quelli d’vna religiosa pietà verso Dio. In vece de’ fanciulleschi trastulli spendeua souente l’ore nel Real Oratorio in adornar immagini, in arricchir’Altari, imitatore del Gran Macedone, che piccolo fanciullo infioraua le Vittime, e spargeua a piene mani ne’sacrifizi gl’incensi, o pure emulatore di Samuel, che tenero d’anni nel ministero del Tabernacolo con somma vigilanza adattauasi. Lungo tratto vn giorno in orazione dimorando fu auuertito che si sarebbe stancato, egli piamente rispose, che Luigi il Santo, del quale pregiauasi di portare il nome, e la Corona, e di calpestare l’orme Diuine, orando non si stancaua, ma s’auualoraua. Se qualche difficultà, come fanciullo interpose d’amministrare vn Giouedì Santo la funzione della lauanda in vece del Rè suo Padre da indisposizione impedito, punto, e compunto dalle pie, e sensate parole del Signor di Subrè suo Gouernatore con tanta vmiltà, e decoro, con sì copiosa effusione di lagrime in quel sacro Ministerio adoprossi, che ben le trasse di tenerezza, e di compunzione da gli occhi di tutti i circostanti, e poscia per tutta sua vita con sentimenti di diuozione, e contrizione sì grande in quest’opera sacra s’esercito, che non voglio affermare, ma credere si studiasse d’esser vero imitatore, e successore del buon Rè Ruberto, al quale in quel giorno, in quell’azione copriuano le Reali carni, in cambio di morbido lino, pungenti setole di mal tessuto Cilizio. Alla riuerenza, e pietà verso il Cielo accoppiò l’osseruanza verso i Parenti, guida infallibile alle più eleuate cime della felicità. Giacob ossequioso alla Madre, acquistò dal Padre la Primogenitura, e la pienezza delle benedizioni. Gioseffo sempre osseruante de’ precetti Paterni trouò per suo vanto mutarsi la seruitù in impero, in trono i ceppi, la carcere in regio tetto, la schiauina in porpora, i caratteri seruili in Thiàra, in lodi l’accuse, la disgrazia in fauore, l’inuidia de fratelli in sommessione, e del vecchio Padre il timore, e l’affanno in sicurezza, e conforto. Insegnò l’Angelico genio al pijssimo Luigi, che l’obbedire a’ genitori si caua dalla bocca del benedetto Cristo, che disse esser venuto in terra, non per far la volontà sua, ma quella del Padre. Inebriato di questi santi dettami soggettauasi il Real giouanetto all’ossequio, al rispetto, all’obbedienza douuta a parenti, che lo mirauano, ed ammirauano come di loro braccio, e fortezza, onore, e vita, ornamento, e tesoro. Conosceuano nel tenero germoglio già ripullulare, epilogate tutte le virtù eroiche, e cristiane de’ primi antepassati Monarchi della Francia, scorgeuano concorrere a gara tutte le perfezioni in lui per formar l’Idea d’vn Re Pio, d’vn Re inuitto, d’vn Re felice, d’vn Re Giusto. Ma quel colpo diabolico, e fatale, quel ferro esecrando, e detestabile temprato, ardirò di dire, dallo stesso orrendo spirito del tradimento col pianto dell’anime più disperate, col veleno delle Ceraste più orri bili dell’abisso, alla fucina più ardente di Lucifero, quel ferro vibrato dal braccio proditore d’vna furia vmanata infernale, sempre di funesta, e d’infausta memoria alla Francia, che a lei tolse il Grande Arrigo il suo Re, tolse parimente a Luigi il suo gran Padre, il quale di noue anni lasciollo nel comune dolore del Regno, come delizia, e giocondità della Genitrice, conforto, e speranza de’ Popoli, pregio sommo, esourano degli Eroi. Il senno senile, lo spirito eleuato, e grande, la religione, il decoro, la Maestà del Pupillo Re, pareua che non cedessero a’ più saggi consigli, a’ più generosi pensieri del più valoroso, e sensato Principe del Cristianesimo. Col medesimo applauso, con le medesime lodi, co’medesimi voti, che il giusto Re Iosia fù d’otto anni assunto allo Scettro d’Israel l’aurebbe la Francia collocato con la sola sourana autorità, e dipendenza di se stesso nel Soglio reale, se le Leggi l’auessero permesso, se la Madre Regina Reggente vna delle più auguste, e virtuose Donne, a cui mai aggrauasse la fronte il Diadema Monarchico, non fusse stata conosciuta più che valeuole a sostenere la mole di tant’Impero. Quelle voci di lamento, e di doglia sparse ne’ Regj funerali, ne lugubri apparati di morte, e quelle di bestemmie, e di maledizioni auuentate nel cammino del supplizio contro l’infame Parricida, appena s’erano cangiate in lieti clamori d’vn, Viua il Rè, riuerito con la Reggente nel Cielo della Maestà, che s’vdirono ferir l’aria grida, e rimbombi d’allegrezza, e di vittoria, hauendo il Marescial di Sciatres dalla Regina inuiato al soccorso di Giuliers, sì felicemente spiegati i vessilli liberatori nell’oppugnata Città, che quasi precorse con l’esecuzione, l’ordine mostrando al mondo, che se la Francia aueua perduto vn de’ suoi Capi non le mancaua lo spirito, e’l cuore, e l’assistenza, e la protezione del Rè delle genti, che quell’auuenturoso progresso era vaticinio, e preludio d’vn felicissimo corso delle future vittorie dell’armi Franzesi sotto il nuouo Monarca, la di cui potenza principalmente a prò de gli Amici, e Confederari farebbe riuscita come il fulmine, che frange ogni durezza, ed abbassa ogni sublimità. Non viueua il Giouanetto Rè per altro contento, che per quello della Madre, le loro volontà erano indiuise, i loro affetti contendeuano di maggioranza. Vero erede del nome, del zelo, e delle virtù di San Luigi, si dichiaraua di auer ingenita, e particolare auuersione contro gli Eretici, con singolar affetto accoglieua quelli, che si conuertiuano alla Fede Cattolica. Incredibile è raccontare quanto profittasse nel timor di Dio, e come seruisse di norma, e confusione a tutti, che lo contemplauano come Tipo, ed esemplare d’vna vita Religiosa, e Cristiana. Le sue orazioni, e preghiere erano sì frequenti, che aueuano del miracoloso. Oraua a braccia aperte quasi volesse distender l’ali per volare al Cielo a goder quel Dio, che diuotamente contemplaua, protestaua, e dimostraua in questa guisa la vera immagine della Croce, e poteua dire come Dauid, che alzaua le mani a’ precetti Diuini, perche gli bramaua, attendeua che nell’vna mano dall’alto gli pio uessero le rose della grazia, nell’altra i giacinti della misericordia, voleua imparare dal suo Creatore a vincere con le braccia distese il Demonio. Abbandonando le piume, e gli agi, leuauasi tal’ora nell’ore intempestiue de più alto silenzio profondamente orando. Opportuno tempo all’orazione è la notte, quelle preghiere, che traggono i loro splendori dalle tenebre arbitre di loro è Dio, e testimonio l’Angelo; di mezza notte sorgeua Dauid a lodare, e confessare la Diuina Maestà. Feruide sono le preci notturne: corrono gelide il giorno l’acque del fonte del Sole: spumano la notte bollenti. Cristo Signor nostro pernottaua le più volte in orazione. Giocondo ammiratore, ed ascoltatore del Regio Penitente, il P. Corone Giesuita suo Confessoro vsaua di dire, l’azioni del Rè trascenderanno senz’altro l’vmana condizione Queste fauille di pietà si cangiarono dopo ch’egli prese lo Scetro in diluuio d’incendj. Non è capace di regnare, chi non arde di zelo di conseruare la Diuina legge; alla porta di questa scuola sottopose con maggior brama i fasci del Regno, e dell’animo, che non fece Pompeo il Magno le scuri, e le verghe del Romano Impero a quella di Possidonio. Ne gli anni più fermi con fermezza d’animo abborriua ogni effemminato diletto. E la pudicizia, virtù così nobile, e generosa, che per nessun’altra può l’huomo più superbamente gloriarsi. Quello spirito Reale agitato da questa potenza quasi ruota di Ezecchiel nella ruota, girando intorno alla sfera del sommo Sole, l’attrassero a loro dall’immondizie della terra i raggi dell’Amor Diuino, creandolo abitacolo di pietà, di giustizia, e di religione. Se tal’ora trafissero il Principe Pudico le punture de’ pensieri carnali, fu tentazione salutare, perche riconoscesse la sua bassezza, e non aspirasse d’arriuare a’ pregi della Diuinità. San Paolo diceua, che gli era dato lo stimolo sensuale, perche non si insuperbisse, per la grandezza delle riuelazioni. Il grand’Alessandro affermaua, che quando non lo spronauano i libidinosi appetiti si stimaua di esser vn Dio quando lo tormentauano, conosceua d’esser huomo. Le tentazioni carnali sono l’antidoto ne’ buoni contro il veleno della superbia. Armossi però di tempra adamantina contra le saette infocate della lasciuia, e contro l’occasioni, che lo condussero sù l’orlo del precipizio. Macchinò l’antico inuidioso Serpente di rouinare quell’anima diuota, e pura, tese i lacci delle tentazioni con varj rauuolgimenti al Regio calcagno insidiando ; seruissi dell’ambizione di alcuni cortigiani per ridurre l’opera diabolica all’empio fine. Vna delle più belle, e più sfacciate Messaline della Francia fù condotta da quelli al suo cospetto, sperando di guadagnare nella di lui grazia, quando quell’animo inuincibile si rendesse vinto all’armi di bellezza lusingheuole, e pellegrina. Ma, o somma prouidenza dell’Eterno, dalla destra della ragione non gli scapparono sregolate le briglie per abissare nella voragine del senso quella Thensa d’auorio, e d’argento de’ suoi innocenti, e candidi costumi, che sosteneua il Diuino simulacro della Pudicizia, accompagnata da Santa Meditazione, da sacro rossore, da fermezza d’animo nella fede, da mente attonita, e fissa nel timore, e nell’amore del Rè de’Regi, e del Signor de Signori. Contro la turba, e l’assalto delli sguardi lasciui, de’ sospiri interrotti, e delle parole lusinghiere inuocò l’aiuto del Cielo; lo sostenne, e lo souuenne Dio, che suol prestar soccorso a gli huomini nelle loro maggiori, e pericolose necessità. Vnite tutte le virtù combattè, e vinse, si rallegrò di sì pregiata vittoria, perche vincere i piaceri del senso è piacere impareggiabile, ne si troua più segnalato Trofeo di quello, quando si trionfa del peccato. Non volle sottoscriuere col suo delitto quel perfido assioma cauato dalle cattedre di Satanasso, che tutto sia lecito a Grandi. Se l’età Giouanile induce al peccato, la Maestà Reale non è esente dalla pena. Le sue labbra assuefatte all’acque dolcissime del fonte del Saluatore abborrirono di bere l’onde torbide, il mortifero veleno della Cisterna dissipata del Lago fangoso de’ carnali diletti. Il suo cuore, che era vn Santuario dell’arca di Dio, non consentiua di offerire le vittime a Dagon, ne di adorare il Vitello in Oreb, per non tirarsi addosso le tempeste della Diuina vendetta. E’credibile, che auesse come Giob co’suoi occhi patteggiato, che non gli porgessero occasione di pensare a bellezza mortale. Se non ebbe pronto l’acceso tizzone, com’il Santo Dottore d’ Aquino per fugare la diabolica femmina, col fuoco del rossore del volto, dell’ira degli occhi, degli strali infuocati di parole maestose, e risentite, la scacciò intimorita, e confusa, e tant’abominazione impresse nell’animo delle libidinose lordure, che poscia detestò sempre come vanità pericolose le scolture, e le pitture lasciue. Autenticò questo pio sentimento allora che auendo onorato con la Real presenza vn festino in casa di Signor riguardeuole, dichiarossi nel partire, che sarebbe altra volta ritornato alle sue feste, se toglieua dalla Sala del Ballo scandoloso quadro di va impudica Venere. Dalle Storie sacre miniere de Tesori Celesti traeua, imitando nel leggerle l’Augustissimo Carlo Magno, le più speciose gemme per arricchirne l’anima, e nobilitarne l’intelletto. Non d’altronde, che da quell’erario aueua egli estratto questi santi dettàmi da lui opportuni, e spessi replicati, che il Palazzo de’ Potenti doucua essere vn Monastero, ogni lor Città vna Chiesa. Diceua come Teodosio, che l’vmano impero fuor del Diuino ossequio non era che vanità, dichiarauasi che se si douesse guadagnar tutto il mondo, e commetter vn peccato mortale, douersi perder il mondo, e non peccare, replicaua alcune fiate battendo le mani, che le grandezze della Terra erano vn fuggitiuo, e breue strepito di mano, diceua che volentieri aurebbe sacrificato la sua vita, purche in tutte le sue Prouincie fusse morta l’eresia, che pagherebbe sempre la conuersione di ogni Vgonotto a prezzo caro del suo sangue, che se vn solo ne fusse rimasto nel suo Reame, darebbe per guadagnarlo vn dito della sua destra. Il diporto di solleuarsi dalle cure lo cercaua com’il Santo Luigi nel real passatempo della caccia, ma fra boschi ancora procuraua di cauar delizie per l’anima, se trouaua diletti per il corpo. Ebbe a dire vn giorno al Sig: di Luynes, che consideraua nelle solitudini la felicità, che vi aueuono trouato i Santi Anacoriti con goderui il Paradiso disuniti dal Mondo, ed vniti con Dio. O come credo, che poco auanti solleuato se sopra sè, altamente meditando così nel suo cuore auesse parlato. Rauuiso in voi, ombrose Cauerne, l’ombre delle mondane grandezze, imparo da voi, scoscese dirupi, che i Regni, se Dio non gli sostiene, rouinano, voi mi mostrate mentiti sentieri de boschi, le vie bugiarde del Mondo, conosco che la vita mortale è fiore alla brina, erba alla falce, fronda al gelo, gelo alla fiamma, fiamma nell’aria, ombra nell’onda, nell’ombra, orma in poluere, poluere al vento. Ma non è da tacersi qual nembo di grazie celesti piouesse a suo fauore allora, che dalla caccia ritornando tutta negra, tonante, e grandinante l’aria, scaricò dalle più infiammate nugole fulmine mortale che di lui vccise il Cauallo, ed egli illeso rimase. L’Olimpo che sopra le nubi s’innalza, non è dalle saette percosso. Il giusto Eroe dalle penne de’suoi santi pensieri sopra le nugole dell’oscurità mortale innalzato, si rese inuulnerabile al colpo del fulgore precipitoso, seruigli di scudo l’esser l’anima sua cara a Dio, il quale per i giusti tiene le mani grauide di strali d’amore, e di vita, per gl’ingiusti di sdegno, e di morte. Volle il Regnator Eterno per occulto mistero riserbarlo a cose mirabili, e grandi, in altra maniera non gli sarebbe giouato, l’auer più lauri trionfali nella fronte, che capelli. Superstizioso concetto è del Volgo, il trouarsi contro i fulmini scampo. In vano Tiberio si sarebbe incoronato d’alloro, Augusto in Padiglione di pelle di Vitello marino ricouerato, Seuero in Lettiga della medesima materia riposto, se la sourana Onnipotenza auesse contro di loro aggiustare le mortali saette. Direbbero gli Etnici fauolosi, & adulatori, che il fulmine di Gioue fusse venuto ad inchinarsi al fulmine di Marte: dirò ben’io che lo strale della suorana vendetta, che pare abbia voluto alcune volte colpire sopra i buoni è portento, è protesta del vicino gastigo preparato ineuitabile a’rei. Minaccia Dio di leuare la Corona della Giustizia a chi si parte dalla Giustizia. Cadde a Salomone il Diadema della dignità, e dell’onore, perche lasciuo, perche idolatro. Non oscurò il Gran Luigi col fosco de gli errori, i raggi del decoro, e l’attributo di giusto, anzi intese di vsurpar’a Salomone quello forse non douutamente datoli di Conseruatore della Legge dell’Eccelso, e di meritare che se gli confacesse sopr’il paragone de gli antichi Regi quell’augusta, e candida Cydari, fregio Reale alle Chiome, quella Veste di Porpora ornamento al seno de’ Monarchi, symboli riueriti di clemenza con seuerità di giustizia con misericordia. Sapeua che Dio regnando, e giudicando nel Cielo è coronato d’Iride, è vestito di Sardio sanguigno; Misterj Celesti di giustizia indulgente, e misericordiosa, di vendicante, e seuera. Voleua che lo Scettro non gli seruisse per semplice pompa di Rè, ma per compendio delle Leggi vmane, e diuine; anelaua in quell’insegna di poter gloriarsi di sostenerla inuitto incolpabile, ed imitatore dell’Eterno Monarca; la costituì simile alla Diuina Saetta Abbari, alla Verga di Pallade, e di Mercurio, allo Scettro di Esiodo, d’Osiri, e di Giano. Pubblicò Leggi seuere contro l’auarizia, e venalità de’ Giudici; spezzò le mascelle a’ Leoni, e leuò loro di bocca le prede; procurò che nella Curia risedesse col sapere costanza, e fedeltà; non tollerò l’ingiurie, e l’oppressioni contro i poueri; studiossi di contenere ne’ termini diceuoli i potenti; intese, che delle sue Leggi non s’auesse a dire come di quelle de gli Ateniesi, ch’erano opere d’Aragni, che inuiluppauano i piccoli Volanti, squarciate da grandi, all’occasione fece apparire, che furono sbarrate di ferro, che imprigionauano le più superbe fiere della Terra, e reti adamantine, che ratteneuono i maggiori Peregrini dell’aria. Il salutare statuto già ne gli andati tempi da Luigi il Santo contr’il duello ordinato, e per trascorso abuso all’inosseruanza ridotto, rinouò con più rigorosa proclama. Duellauano i Franzesi per l’onore, egli con inuiolabile, e sacro decreto, dichiarò infami i duellanti. Il tenor dell’editto portò spauento a’sudditi, non per viltà d’animo, ma per finissimo zelo di onore. Non v’è briglia, che più ritenga vn cuor Franzese dell’orrore dell’infamia. Numa per autenticar maggiormente le Leggi che promulgaua, fingeua d’auer con Egeria spesso commercio, come con Apollo Platone, con Minerua Solone. Ma questo Santo editto fù al giustissimo Luigi dalla sourana Sapienza veramente dettato. Astrea siede nel Zodiaco fra la Libbra, e’l Leone, sono specchio al suo volto purissime Stelle. Questa Legge è riuerita, e temuta, è per tutti egualmente bilanciata, ne’ comandamenti Diuini si specchia, è Legge esecutrice di morte, Legge del Cielo che fulmina le Capanne, e le Torri. Con qual luminoso auuedimento eleggesse i principali Ministri di Stato per sua gloria, e per felicità de’ suoi popoli; basterà accennare che fra molti scelse il Card. di Richeleù, che seppe non meno vestito di Porpora, che di Prudenza, e Valore vestir di marauiglia i nimici della Corona, vincere con la virtù, la virtù, far sempre fiorire le glorie del Regno e le sue, l’asta d’Ettore, ed il senno di Palidamante adoprando. Con generosa pietà souuenne all’altrui pouertà, ed infortunio. Di copiosa somma di danaro, che ogni mese faceuasi numerare, (diceua egli) per i suoi gusti la maggior parte distribuiua a luoghi pij, a gl’infermi, a’carcerari, a persone oneste, e ben nate da sinistra sorte abbattute. Parli per esempio di tanti, che dir ne potrei, quello che alla ritrosità, e tardanza, di chi doueua di suo ordine souuenire a soggetto nobile alla mendicità ridotto di quantità considerabile di moneta, rimediò con santa, ed esemplare resoluzione tant’oro di propria mano al Bisognoso somministrando, che più necessità non lo costrinse di limosinare infelice. Da Nerua Augusto imparò di solleuare i Cittadini dalle calamitose miserie, dal religioso Re Ruberto la liberalità verso i poueri. I benefizi, e fauori, sostegni della Regia munificenza dispensò tempestiui; come la sedia d’Amicheo reggeuano il suo Trono le Grazie, e l’Ore. Rimunerò, premiò le più fiate col solo consiglio di se stesso, gastigò, condannò con l’altrui. Gioue in mezzo al concistoro de gli Dei auuentaua dalla sinistra le saette a’ mortali, solo e di suo puro volere ne chiamaua tallora alla Deità. Con fermezza, ed intrepidezza incontrò i trauagli, e pericoli, che l’affrontarono mostruosi, e spessi : auendo per sostegno il Cielo, cauò la tranquillità dalle tempeste, il porto dal naufragio, da’ pericoli la salute. Le tele ordite, e tessute contro il bene della Francia non riuscirono durissime a recidersi, come quelle de gli Aragni dell’Isola Cumana, furono col coltello della sourana Giustizia per mezzo della mano potente, e del braccio eccelso Reale facilmente troncate, e recise. Non fù motiuo di reuoluzione, di discordie domestiche, d’assalto d’armi, d’insidie straniere, che non lo trouasse d’animo impauido, e imperturbabile; che non rendesse al fine più stabili, e più eleuate le sue fortune, più risplendenti i suoi meriti. Il suo cuore era vn lucido smeraldo della vera speranza in Dio, esposto alla chiarezza dell’aria della protezion diuina, e a dispetto delle tenebre delle turbolenze risplendè più chiaro del Sole, e nell’acque de’trauagli apparue più luminoso, e maggiore. Selce battuta dall’acciaio sfauilla; oro tormentato nel fuoco s’affina; diamante da lauori percosso più s’abbellisce, e risplende; ogni piccola vermena d’alloro d’intrepida, e magnanima generosità ribatte ogni fulmine d’armata fortuna, vento gagliardo che estingue piccola fiamma auualora vn grande incendio; le cure difficultose agitanti vn grand’animo son’ esca, e fomento a gli ardori delle sue glorie. Più belli fioriscono i Gigli Franzesi, quanto con fremito più orgoglioso cospirano i venti per abbattergli; furono bagnati per sempre dalla rugiada dell’olio Sacro disceso dal Cielo, e sparsi da gli Angeli sul manto di Clodoneo per tramandarli in tutte le posterità più floridi a’ successori. Sibilauano, e minacciavano i dua fieri Basilischi, tradimento, ed inuidia contro il gloriosissimo Re, accorsero congiunti per seccare co’mortiferi sguardi nel più ferace campo dell’onore il più nobil’ fiore degli Eroi, ma tornarono indarno degl’ empi mostri i velenosi reflessi degl’occhi loro ributtati dal raggiante, ed addamantino specchio delle Regie virtù; caddero micidiali di lor medesimi, caddero traendo palpitanti, disperati singulti di sdegno, e di morte; seruirono abbattuti di Ponte trionfale al piede augusto per passare al Campidoglio di fortune maggiori. Quell’ardente zelo di richiamare dall’esilio la Religione; quella costante voglia, che rifiorisse in tutto il suo Regno la Fede; quella sospirata ambizione di pietà, e di gloria d’abbattere col suo valore l’eresia, l’inuitarono ad eleggere il primo campo de’ suoi sacri, e gloriosi Trofei il Principato di Bearna. Nel tempo di cinque giorni ridusse a sua diuozione più terre, che quei giorni non aueuano ore, più felice di Timoteo, a cui la fortuna offeriua dentro vna rete tutte le Città bastanti d’appagare i suoi generosi con cetti. Cattolicizò quel paese dal quale per lo spazio di cinquant’anni n’era stato esiliato il Culto diuino. Imitando il famoso Eraclio che recusò d’entrare con pompa reale in Gerusalemme di doue il Saluator del mondo n’era vscito a penosa, e vergognosa morte; rifiutò d’entrare ouante nella Città del Paù, dalla quale il figliuol di Dio era stato cacciato dagl’empj ministri di Caluino, espugnò S. Giouanni d’Angelì, prese Nerac, Clerac, Bergerac, ritornò a fare acquisto dell’Isola di Rè, dissipò l’armata nauale di Subissa, ridusse all’obbedienza Royan, Tonneus, Maneus, & altre Fortezze del Poytù, Guienna, e Linguadoca soggettò con violenza d’armi Mompolier, s’appagò che lauassero le macchie della lor fellonia, ed il sangue de’suoi soldati diffuso in quell’impresa; i pianti, e le supplicazioni di quei domati ribelli, cangiando le saette in Caduceo, e concedendo loro il perdono. Restaua la Roccella, che sotto Carlo il Sauio s’era già scossa dal giogo degl’Inglesi, e ben conueniua che ella incuruasse il collo al Trionfo, all’Impero di Luigi il Giusto, contro di cui aueua implorata l’assistenza di quella Nazione. Non si poteua più tollerare vna fiera velenosa, ch’infettaua con l’alito tutte le piazze vicine; doueuasi debellare la Babbilonia colma d’ira Diuina, e di vizzj abomineuoli, e rei, bisognaua conuertir’in ricetto d’obbedienza, e di fedeltà la sentina de’miscredenti, e ribelli, ridurre la Sinagoga di Satanasso in albergo del Santo, de’ Santi, il ma l’inueterato non poteua sanarsi che col ferro, e col fuoco. Gl’aspidi sordi non son capaci d’allettamento d’incanti, è necessario spezzar lor la fronte, perche sotto l’erbe non vccidino col morso. L’esortazioni, e le piaceuolezze riusciuano infruttuose per abbatter vn’Idra maggiore, e con più teste di quella di Lerna, la quale se non si mansuefece all’armonia del canto d’Orfeo, cadde abbattuta a’ colpi del braccio d’Alcide. Trafisse Finee gli adulteri, e placò l’ira del Cielo contro gl’Isdraeliti dal contagio trafitti. A sanar la Francia dalla peste del Caluinismo, a placare Dio per leuar le diuisioni de’ partiti vi voleua la spada del Rè, che trapassasse il cuore a gl’adulteri, più perfidi, e più ostinati della religione. Non ebbe di mestiero Sua Maestà dell’ingegnosa persuasione d’Amfiloco, come Teodosio per proseguir la guerra contro gl’heretici, tutto s’applicò a quest’impresa, nella quale s’accoppiarono lo Scettro Reale, e la verga di Cristo come linee paralelle di religione e di stato, che veniuono a chiudersi, e terminare nel centro della circonferenza di S. Chiesa, mostrando al mondo quanto vadino errati coloro che scrupoleggiano non poter’vnirsi gl’interessi politici, e di Dio, ilquale parue che prestasse al Re della sua potestà perche dominasse al mare, e mitigasse i moti, e flutti di quello. Macchina più superba, e miracolosa non viddero i Secoli passati, ed i presenti di quella ch’in mezzo all’onde inalzò. Impaziente nel principio tolleraua l’Oceano di vedersi imprigionar’ nel suo Regno, incatenar’ nel suo trono, percuoteuono l’onde con fremiti orgogliosi la saldissima mole, ma frangendosi nella dura resistenza, s’arretrauano spumando la lor confusione, e rigorgogliando più fiere, chiamauano con voce di tuono gli adirati venti a prestar loro impeto, soccorso, e valore; ma doue s’oppone secreta forza di Cielo sono l’onde di vetro, i venti di fumo. Se diede luogo il Giordano al transito di Giosuè per condurlo al trionfo di Ierico, diede al fin luogo, e cedè, per cosi dir’, l’Oceano alla famosa Diga per condurre il Giosuè della Francia a quello della Roccella. Il Ponte di Cesare sul Reno, di Xerse su l’Elesponto, di Dario sul Bosforo Tracio, la macchina di Macedone sul Canal di Tiro, del Farnese su la Schelda, furono opere celebri, e memorande. Ma che hanno che fare fiumi, e canali angusti, o breui tratti di mare con l’ampiezza dell’Oceano? Trasce se l’artifizio vmano la Diga, e quasi poteuasi chiamare fabbricata da potenza sopra naturale da mano diuina. Come spesso viddero le stelle vegliare l’intere notti il Grand’Eroe nelle marziali fatiche, quanti giorni nel maggior’ ardore del Sole, nel più rigoroso gelo di Borea corse incontro a’ più vicini pericoli, precorse i disegni de’nimici, vidde, antiuidde i loro pensieri, le loro operazioni, domò il loro ardimento, abbattè il lor’ orgoglio. In vece di porpora, e d’oro pregiossi l’Augusto suo petto di vestire il metallo, e l’acciaio; sostenne la Real fronte l’Elmo per diadema; l’inuitia destra rinnouando i secoli andati l’asta per scettto; cangiò il vasto Palazzo in Padiglione angusto; in cibo militare le Regie viuande; in duri arnesi le morbide piume; il Seggio in sella, il trono in corsiero. Congiunse le virtù d’intrepido, e valoroso campione con quelle di pijssimo Eroe. Il suo valore nasceua dalla sua pietà, egualmente osseruaua le leggi militari, e le Cristiane, diffidaua di se e fidauasi in Dio, conoscendo essere spezie di perfidia solo nelle proprie forze fidarsi, e che sono vsufruttuari d’vn’infinita potenza quelli, che sperano nella Diuina. Il negozio della guerra affrettaua con l’ozio dell’orazione, combatteua con le preghiere, e con l’armi, alzaua come Moisè le mani al Cielo, pregando, stringeua con quelle il ferro, come Giosuè combattendo. Ferire il Cielo co’ preghi, e l’inimico con l’armi è vn’violentare il Cielo a porger sicuri i Trofei. Fulminò, tonò l’aria all’orazioni d’Eliseo, precipitò rouinosa grandine a prò del supplicante Samuel, ambidue de’ Filistei trionfando; orò Giosafat, e disfece vn’esercito intero, vdì pregando l’inuitto Clodoueo le risposte Celesti, e dal Cielo protetto, disperse gli Arianni. Conuocarono le preghiere di Luigi gl’Elementi, che tutti a suo fauore conspirarono, il mare obbediua alla Diga, ch’a’ Roccellesi negaua l’ingresso d’ogni soccorso, s’ergeua la terra nelle reali circonuallazioni serrando all’intanate fiere l’vscita, e loro negando i suoi frutti. Col ferro, e col fuoco aueua il Marescial di Sciomberg disfatti gl’ Inglesi, rispinta il Signor di Toras la lor’ armata dall’Isola di Rè, il Duca di Guisa riportatone i rostrati trionfi ; era solo il Cielo aperto al gastigo di quegl’empi, perche giusto, serrato alle loro preghiere, perche ingiuste, che più? L’istess’inferno soggetto a’cenni del Cielo inuiò scatenate le Dire, che auuentarono contr’i perfidi ribelli il pallore, l’infermità, la fame, la sete, i pianti, i lamenti, i sospiri, la disperazione, la morte. Cederono, e caddero al fine i peruersi Amalaciti, e loro ingloriosi cadaueri non giacquero insepolti sù le sponde del fonte d’Endor, o’ del torrente Cisson, ma sù la riua dell Oceano strascinati dalle fiere, lacerati da gli Auuoltori, seruirono di vilissimo letame per fecondar maggiormente le Campagne della Santongia, perche più belli vi germogliassero i gigli, più sublimi gl’Allori della Francia. Caddero, e quasi Etiopi debellati s’inchinarono a trionfi, s’humiliarono baciando quel Suolo, che col piè vittorioso premeua Luigi il Giusto, col piede assuefatt’a camminar sopra gl’aspidi, a calpestare i Leoni, e Dragoni. Caddero, e tardi conobbero infelici, che il lor nuouo Balaam non era il Diuino Elifeo, nè la Generosa Iuditta la lor nouella Iezabel, persuadeua questa à perder la Patria con la vita; e per vltimo à ridur tutt’in cenere, richiamando l’esempio della rinomata Numanzia; predicaua quegli ch’il Digiuno forzato doueua conuertirsi in volontario per placar l’ira Diuina; ma la Franzese Babbilonia era dall’Alto riserbata intera alle palme del Franzese Alessandro ; ella non godeua i diuini priuilegi di Betulia, e Samaria, quell’astinenze, e preghiere non simboleggiauano co’ voti, e digiuni della pentita Niniue. Vantisi pur’à sua posta Duillio di auer’egli il primo veduto nel suo trionfo Nauale superba colonna inalzarsi, che il Gran Luigi la collocò della sua potenza, e fortuna sù le sponde Marine, com’il primo Domatore dell’armate, e dell’onde, emula di quella Egiziaca, che con caratteri d’oro la libertà delle Prouincie all’arriuo de’ fasci Romani prediceua. Conobbero i debellati Roccellesi i sereni auguri di libertà felice nella clemenza, ed vmiltà del Rè. O quanti sentendosi toccare il cuore da Dio non meno s’inchinarono a chieder venia al Rè che a Dio, scorgendo che la maggior vittoria è il rimaner vinto, doue la perdita è l’acquisto della Religione, doue si deue obbedire alle Leggi di giustissimo Monarca. Portaua Sua Maestà Oliui di vittoria, e di perdono, quegli gli spargeuano, e li porgeuano di sommessione, e di preghi, come i Locrensi a’Romani, i Cartaginesi a Scipione. Nella Valle Madianitica nella notte più intempestiua fù veduto lo stocco di Gedeone simboleggiato da vn Pane, che poscia in ferro cambiossi ministro di stragi, e ruine. Cangiò il Rè il suo in pane, souuenendo liberale, e pietoso a quei miseri, che già spirauano l’anima disperata, e digiuna nelle fauci d’Inferno, e di Morte. Finalmente restituì a Dio le Chiese, alle Chiese gli Altari, a gli Altari i Sacrifizi a’Sacrifizi la Religione, alla Religione l’ossequio, all’ossequio la Francia, alla Francia l’antico splendore, all’antico splendore la pienezza dell’autorità, e l’autorità costituì piena di potenza, di virtù, di stima, e di souranità. In troppo angusto campo si sarebbero racchiuse le sue glorie se questa fosse stata l’vltim’Olimpica delle sue marziali ghirlande. Aurebbe introdotto vergogna, ed aggrauio nel suo Reame, sfrondati i fiori della Corona, oscurati i raggi della Maestà, se auesse mancato del suo aiuto, e della sua protezione al Duca di Mantoua, circondato da formidabili armate, e ridotto in durissime angustie. Il riposo che permesse alle sue armi, fù la celerità di farle marciare verso i monti per schierarle in Italia, ne lo spauentarono l’inclemenza dell’aria, la strettezza de’ passi, le truppe armate, che gli guardauano, corse impauido a verificar nella sua persona il detto d’Arrigo il Grande, ch’egli, e’ suoi successori si sarebbero sempre spalancata la porta dell’Italia con la punta della spada. Al solo popolo d’Isdrael fù per facilità del suo passaggio permesso di veder volontari spezzarsi, ed adeguarsi al piano i massi più alti, e scoscesi dell’Arnon, e delle loro rouine i fabbricare funesti tumuli alle falangi d’Egitto, ch’insidiose fra quegl’antri ascondeuansi per darlo in preda alla morte. Non vidde Sua Maestà altro miracolo, che nel suo, e nel valor de’ suoi. Non v’era di mestiero de’ Pirofori, ch’agitassero correndo le faci nell’esercito per accender i soldati alla battaglia. Ne’ cuori Franzesi è forse più opportuno reprimere l’ardire, e l’ardore, che spronarlo, ed accenderlo. Non pugnò com’Anibale con macigni inanimati, ne come il famosissimo Re Francesco Primo trouò il solo intoppo nelle vie impraticabili dell’Alpi, egli le valicò ad onta dell’inaccessibile, dell’orrore, e rigore delle neui, e del gelo Sbaragliò ostinato incontro di brauissime schiere, e di trincierato sentiero, inalborò i vittoriosi stendardi a Susa, contentandosi di arrestarui la carriera del suo trionfo. Non venne per armar di strali la Discordia, ma per saettarla. Non comparuero i suoi Gigli inaffiati, o tinti del latte di Giunone come aspiranti a nuou’ imperi; brillaua nelle lor foglie di celeste miniatura l’Iride varieggiata come Paraninfa di Pace. Fù suo scopo di piantare gli vliui pacifici sù l’argine d’Italia per coronarla di tranquillità. Il suono, il tuono della sua Tromba fù considerato come precursore del fulmine della sua spada. Al grido de’ suoi trofei ogni difficultà si ricouerò nell’Asilio dell’ageuolezza. Al ruggito del Leone le fiere più formidabili si rinseluano, Non inondò le campagne di sangue, come Dauid feroce soccorritore di Ceila; liberò senza strage Casale, acquietò gli animi, accomodò i disordini, rappattumò le volontà, accordò le differenze, stabilì patti, e condizioni di concordia, e quiete. La sua, improuisa venuta, che cagionò stupore, e terrore, risultò in reuerenza, e contento de’ Principi, assicurati, ch’egli d’altro nome non si gloriaua, ne conduceua altro oggetto, che di liberatore, ed amico, non di vsurpatore, e nimico. L’auer dunque preso la Roccella, sforzato il passo di Susa, superato ciò ch’era difeso dal Mare, e coperto dalle Montagne, gli rappresentaua ogni impossibilità possibile, ogni difficultà superabile. Elesse diuinamente il preualersi della congiuntura di abbattere, di rouinare da’fondamenti il partito de gli Vgo notti. Non differi la spedizione in Linguadoca contro di loro più vtile, e di più alta consequenza, che l’occuparsi in Italia doue non vi voleua, che la Pace. Assali dunque con tanta felicità i ribelli, che vinti, e confusi viddero in meno di due mesi le for piazze espugnate, o rese, Montalbano lor vltimo ricetto soggiogato, annichilate le lor’ armi, costretta la lor pertinacia di vmiliarsi alla potenza, e clemenza Reale. Ma le prosperità più camminano incontro a gl’infortuni, allora che corrono più veloci. Sono conforti del Cielo i trauagli della Terra. Quel fosso dell’infirmità, oue precipita la salute è il sepolcro delle vanità mondane, è la trinciera della cognizione di se medesimo per ricorrer’ a Dio contro gli assalti del Demonio. Volle il Dator della Vita raffinare S.M. nella perfezione con mostrargli in faccia la morte. Fù sourapreso da fierissimo malore in Lione, ma nelle forze corporali abbattute, ripigliaua quelle dell’animo più gagliarde, con rimettersi tutto nelle braccia della Diuina Volontà. La medicina dell’Anima antepose omninamente a quella del corpo, come salutare al corpo, ed all’anima. Il Re Asa tutto ne’rimedi vmani confidando, terminò miseramente la vita. Coltiuò con man’inferma le palme, e gli vliui, auendo la sua formidabil armata sotto li Marescialli di Sciomberg, della Forza, e di Marillac espugnato gl’incommodi d’vn lungo, e difficil sentiero, sprezzata la terribilità della morte, che nel contagio faceua in Piemonte orribilissima strage, condotte le squadre animose, infaticabili a fronte della nimica per soccorrere la seconda volta Casale, ma con modo amicheuole, per l’intrepidezza, desterità, e valore del Cardinal MAZARINI, ne successe il desiderat’effetto indiuiso dalla recuperata salute del Re. Taccio l’auer poscia restituita la libertà a’Grigioni, conclusa la pace con l’Inghilterra, aperto il varco all’armate Franzesi in Italia con stabilirsi Possessore di Pinarolo, veduto il Duca di Mantoua da lui protetto, e difeso nello stato rimesso, e di quello dalla Cesarea Maestà rinuestito. Tralascio l’imprese fatte, le vittorie ottenute da’ suoi gloriossimi Generali, in Mare, in Fiandra, in Spagna, in Germania, in Italia, e sopratutte le benedizioni, e le grazie, che la Sourana Bontà copiosamente gli compartì, ammiro annouero dopo l’aspettazione di ventitreanni, quella della successione della stirpe. Era volontà di chi il tutto regge, che prima fusse affatto Cristianissima, ed vbbidiente la Francia, e poi nascesse l’erede della Corona per possederla incontaminata. Quando erano ridotti all’estremo i desiderj del Re, e della Regina, cresciuti nella priuazione a dismisura, all’eccesso delle lor brame, diede Dio quello delle sue grazie col nascimento del Regio Delfino. Non poteua la Diuina Giustizia rimunerare con meno, che con vna marauiglia celeste il merito della continenza de’Genitori. Da sì bella prerogatiua germogliano i miracoli. Leuarono le candide piume della continenza Isaia nell’alto a contemplare la Superna Maestà assisa soura eccelso, e lucidissimo Trono, Moisè spezzò la pietra, mutò l’aria, parlò spesso con Dio, Abramo fù eletto Padre delle Genti, e della Chiesa. Chi contrae, e conserua il Matrimonio tra’ fonti della Pudicizia, non tra le fiamme della Concupiscenza si può chiamare il suo Albergo vn domestico Tempio, la continenza Matrimoniale è ottima procreatice de’ figliuoli, e felicità de’ Maritati. L’eredità degl’incontinenti è la Morte, Her, & Onam successiuamente mariti di Thamar ne manifestano l’esempio. Contro gl’intemperanti hà il Demonio assoluta potestà, Sara figliuola di Raguel vide l’vn dopo l’altro di sette suoi Mariti carnesice il Diauolo, la quale poscia felice, & auuenturosa Consorte del buon Tobia conseguì da Dio, come nel seme d’Abramo, le benedizioni de’ figliuoli. Le versò tutt’il Cielo sopra il nato Eroe della Francia, perche superi il merito di tutti i suoi Antepassati? e chi sà; perche si adempisca nella Regia sua persona vn giorno l’alta Profezia, che vn Re gloriosissimo di Francia deua tornare a piantare i Gigli Reali nel lor primiero terreno sù la riua della Palude Meotide, ne’campi dell’incenerita Troia, ne’ vasti Regni dell’Asia, e seminargli in pompa trionfale per le vie di Gerosolima, collocarli in dì solenne di memoranda vittoria sul Tumulo Sacratissimo del Redentore, tesserne alle sue chiome il Serto Monarchico dell’Imperio dell’Oriente, intrecciato di Palme, d’Idume, illuminato delle più chiare gioie de’Lidi, dell’Aurora, e del Gange. A questa salda colonna eretta sù la porta del Tempio della Religione aggiunse poi il Fabbricator del tutto l’altra, vscendo alla luce il Real Duca d’Angiò, perche sieno emule di quelle due famose di bronzo, coronate di Gigli, sù l’entrata del superbissimo Tempio di Salomone inalzate, sacri Ieroglifici di fortezza, e valore. L’acquisto di tanto Tesoro, non lo riconoscendo per altro il Re, che per eccesso di profusa liberalità del Cielo, ne volle all’Imperatrice di quello, alla Purissima Madre di Dio farne solennissima oblazione, e voto come di se stesso, della Regina, del Reame, e de’ Popoli; poiche chi ricorre a quell’abisso di grazie non può abissar nel pelago delle tempeste mortali. Ma non voglio ch’errore di dimenticanza mi faccia passar con silenzio, che mai non giunse Sua Maestà personalmente a considerare, e riguardare piazza veruna quantunque inespugnabile per espugnarla, che non la vedesse alfin cedere alle sue forze, sottomettersi alle sue condizioni. Dicanlo le tante di sopra accennate nella Francia, dicanlo Edino, Nansì, Collibri, e Perpignano. Portaua forse quella celeste Magia nel fulgor dell’aspetto con la quale Gionata i Filistei abbatteua, o pure gli permise il Cielo la grazia dichiarata a Moisè, a Giosuè, che soggiogherebbero qualunque nimico terreno fusse dal lor piè calpestato. Aggiungo, che gli riuscì non meno in parità dell’autorità, ed efficacia degli offizj espugnare la voglia degli armati Regi, che le piazze con la virtù dell’aspetto, e dell’armi. Per mezzo del Duca d’Angolem, de’ Signori di Bettunes, e di Castel Nuouo da lui per solo zelo dell’altrui quiete a posta inuiati, acquietò i romori di Germania, e d’Vngheria, rappacificando Cesare, e’l Transiluano. Se geloso dell’aggrandimento de’vicini, della lor potenza, della saluezza, e difesa dell’Elettor di Treueri, e d’altri Confederati, ed amici, diede col fiato d’Austro Guerriero moto, e spirito al nembo procelloso del Settentrione a Gustauo Adolfo Re di Suezia; non lasciò però co’ sereni zeffiri, con l’aure placide delle sue zelanti richieste di rasserenarlo in parte, e fermarlo a non scaricare sopra le Città, e Terre Cattoliche le procelle de’ sacrilegi, de’ profanamenti, degli stupri, de’ sacchi, degl’incendi, e delle rapine. Lo stesso Barbaro Ottomanno implacabile nimico del Cristianesimo alla sua intercessione frenò l’ira, e’l furore, che minacciaua contr’antico, grande, potente, e conspicuo Potentato Italiano. La sua pietà, la sua fortuna, la sua giustizia, il suo valore inuitò, incitò Popoli per antica emulazione, per dissimiglianza di costumi, per differenza di Clima, e di Lingua contrarj alla Francia, a variar pensiero, e chiamarlo chi per Signore, e Sostegno, chi per Direttore, ed Amico. Finalmente bisogna confessare che l’antica Monarchia Franzese più fiorisce, quanto più cammina co’secoli. Ma non poteua soggiacere di vantaggio il gran Luigi alla mortalita, già fatto immortale, più per le proprie virtù, per la reputazione di tanti acquisti, per la sublimità di tante, fortune, che per la dignità Reale. Pareua in vn certo modo, che se tante volte aueua trionfato, altro non gli restasse, che di trionfare delle vanità, e della morte. Circondato da penosa infermità, trouò nelle spine degli affanni, come il Re Lodouico il Grasso suo antepassato le rose del vero conforto, e della fiducia in Dio, effetto proprio nel vicino passaggio all’altra vita de’ Giusti. Somma felicità è morire nel colmo delle felicità, ne breui sono i giorni di colui, che viuendo tant’ammirabili azioni abbia operato, quante appena altri grandissimi Eroi, che vissero fino all’vltima decrepità con tacita meditazione, sospirarono impossibili. Non mi diffonderò in raccontare con qual fermezza d’animo, con qual ilarità di volto si preparasse a non pauentare il terribile di tutti i terribili. Disse, mirando per vn’aperta finestra la Chiesa di San Dionigi, ecco la mia vltima abitazione, doue m’accingo di andare allegramente. Apre lieto la porta alla tremenda chiamata del Sommo Giudice, chi dalla speranza della misericordia Diuina, dall’opere buone è fatto del premio eterno sicuro; trema, e ripugna di comparire a quel giudizio rigoroso inappellabile, e giusto chi a se medesimo è consapeuole di esser per le sue colpe reo di gastigo, e di morte. Nel cammino della sua salute aspirò di esser guida a quelli, che vitra uiauano lontani per portare alla D. M. le vittime di due cuori riconciliati con lei. E sortò due celebri Personaggi, altissimi per sangue, e valore, Settatori de’ Dogmi di Caluino a farsi Cattolici, dicendo loro, che Dio gli aueua preseruati lungo tempo in vita, perche riconoscessero il loro errore. Angustiata l’anima sua dalla dimora di sgrauarsi del peso mortale, vsciuano spesso dalla regia bocca queste diuote parole, Tædet aniniam meam vitæ meæ. O consolazione ineffabile de’buoni che bramano quanto prima sciorsi dal Mondo, ed esser con Cristo. Affermaua non si curar più di viuere se non era per far penitenza, ed esercitar più efattamente la Pietà, e la Giustizia, e procurar sopra tutto la Pace, la quale se Dio non gli auesse conceduta viuendo, la sua anima si sarebbe prostrata dauanti a lui per impetrarla dalla sua misericordia. Egli aueua come Metello adempito i voti di vna gloriosa Guerra, aspiraua prima del morire, come Traiano di adempire quelli di vna gloriosa Pace. Quanti diuoti reflessi, quante pie meditazioni considerò sopra la caducità mortale! Ebbe a dire al Duca d’Angolem, che l’esser Re non esentaua dall’infermità, e dalla morte, ed al Signor di Liencurt, mostrandoli le braccia, stenuate, quelle parole da recitarsi ogn’ora: Memento homo, quia cinis es, & in cinerem reuerteris. Procurò di consolare l’amata; e dolente Regina, e i due magnanimi, e valorosi Eroi il Duca d’Orliens suo fratello, il Principe di Condè de Reali di Francia, esortandoli di conseruare vera concordia, e diligente custodia de’suoi amorosissimi, e piccoli figliuoli, e del regno. Fece tenere al Sacro Fonte dalla Principessa di Condè, e dal Cardinal MAZARINI il Delfino, chiamandolo LVIGI, volendo col nome lasciarli il simolacro della fortuna fabbricato d’oro diuino immortale delle altissime virtù Paterne, altro che quello di materiale, che i Cesari antichi, e superstiziosi nella più addobbata, e remota camera del Palazzo lasciauano per eredità a’successori. Terminata la Sacramental Confessione per riceuere il Santissimo Viatico, ottenuta dal Padre Dinet Giesuita suo Confessoro l’assoluzione, proruppe, alzando gli occhi al Cielo, in questo festoso versetto del Salmista. Lætatus sum in his quæ dicta sunt mihi in Domo Domini ibimus. Quindi per mano del Vescouo di Meaux primo Elemosiniero riceuè il Pane del Paradiso, e com’era suo costume, ferrò diuoramente gli occhi nel prenderlo, trasse sospiri di fuoco, spirò accenti di pentimento, e non potendo a terra prostrarsi, il meglio che possibile gli fù sul letto inchinossi, imitando i Cherubini, che si velauano la faccia con l’ali alla presenza dell’Arca di Dio, o pure gli Angeli, che assistendo alla Sacratissima Eucarestia abbagliati da quella luce con reuerente orrore non ardiscono liberamente di fissaru’i lumi. Approssimandosi l’ora del suo passaggio, auualorato da tutti i Sacramenti della Chiesa, nelle preghiere per la sua anima rispose diuotamente a’ Vescoui di Lizieux, e di Meaux, ed al Sig. di Vantador, e fissando immobilmente gli occhi specchio della fermezza dell’animo nel Crocifisso, accostateselo al petto con le braccia in croce, (come già alla sua morte il Cristianissimo Re Lodouico Quinto) rimirando il Costato del Saluatore sicuro varco per incamminarsi al Cielo, con segni d’infinita contrizione, di costanza, e di generosità, rese lo spirito fortunato al Creatore. Così cadde il Sole de gli Eroi, delle virtù, e della Francia nell’Oceano di morte estinto, Luigi il Pio, l’Inuitto, il Felice, il Giusto; quel Sole i di cui splendori illuminauano tutto l’ambito dell’Vniuerso, che non poteuano sostenere di mirare gli emuli della sua potenza, gl’inuidi della sua fortuna, cadde seco il pregio della pietà, il sostegno della Giustizia, la gloria del valore, la marauiglia della felicità. Ma ritornate a rimprigionarui nel mio seno lamenteuoli querele, errando dissi, esser questo lucidissimo Sole caduto estinto, fù peccato della penna, e non del cuore, o pure del cuore che ancora da sospiri agitato vacilla. Egli non soura carro mortale, come l’ambizioso Augusto nella vana pompa d’vn suo trionfo per le contrade Romane cinto di Diadema, fabbricata a guisa di Sole, ma soura Nuuola d’oro della mortalità trionfante, per l’aeree vie la fronte de suoi chiarissimi meriti in ghirlandata all’aurea Porta del Paradiso da lieta schiera de’ suoi gloriosi Antenati raccolto, giunse a godere le fiamme eterne del Diuino Amore mosse dall’aure dell’ali Beate de Serafini, ed ad inchinarsi a’piedi del Sommo Sole di Stelle, e di Sole ingemmati, oue oggi riuerente, e felice quell’incomprensibile Bellezza adorando, e contemplando, che lingua vmana non può ridire, intelletto non può capire, da quei lumi sereni irraggiato al pari del Sole risplende. Prima tra l’vmane vicissitudini dal peso mortale aggrauato nella sua Eclittica stancauasi, ora soura gli empirei Scanni serba la bellezza, la fermezza, e’l lume per tutta l’eternità felici, immutabili. Da quelle Beate Gerarchie alla considerazione della sua felicità, al desiderio de’ suoi pregi immortali l’Augustissima Regina, i Figliuoli, il Real Sangue, i Popoli dolcemente inuita, e chiama. Influisce con le benedizioni del Paradiso i veraci sentimenti di richiamare l’esiliata Pace, che dalla Francia attende di riassumere le perdute grandezze, già vicina non trouando altro scampo di ricouerarsi profuga, e raminga sotto l’altro Polo a gli Antipodi. Non furono tra le pompe del Regio funerale, come costumò la pazza Gentilità gl’inumani spettacoli degli efferati Gladiatori, ma la famosa battaglia di Roccroi, la fierissima oppugnazione, e resa di Tuenuille opere gloriose negli anni acerbi del maturo senno, e dell’inuitta destra del Duca d’Amghien inclito germe della Real Prosapia di Borbone, imitatore valoroso del Padre, e degli Aui. Concludo, che se nella morte del gran Profeta Giacob piansero le Prouincie barbare, e le straniere, a quella del gran Luigi hà tutto il mondo lagrimato, che chi per pietà non hà pianto, hà sparso per le sue miracolose azioni lagrime di superbissima inuidia. IL FINE. Il Sig. Canonico Bonsi si compiaccia di vedere se nel presente Panegirico si contenga cosa che repugni allo stamparlo, e riferisca appresso. Dat. il dì 12. Gen 1643. Vincenzi Rabatta Vic. Gen. La penna del Sig. Abbate Niccolò Strozzi destinata alle Lodi de Grandi hà saputo così bene accoppiare le Sacre con le Profane erudizioni, per descriuere la vita di vn Re perfectissimo, qual fù Luigi il Giusto, che non ammette censura; anzi perche può dare occasione di esercitarsi con sì glorioso esempio nella pietà cristiana, e ne buoni costumi a chi leggerà la presente opera, stimo che la medesima sia degna delle stampe. Lelio Bonsi Can. Fior. Attesa la presente relazione, si stampi il Panegirico, osseruati li soliti ordini. Dato il dì 14. Gen. 1643. Vincenzio Rabanta Vic. Gen. Si può stampare in Fiorenza li 14. Gennaio 1644. F. Iacomo de Castigl. Fior. Canc. del S. Off. per commessione del P. Reuerendissimo Inquisit. Gen. Alessandro Vestori Senatore Audit. di S.A.S.